Genova qui e ora
di Gianluca Ricciato
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“Il mio Mediterraneo non è quello delle cartoline. La felicità non ti viene mai regalata, te la devi inventare.”
Jean Claude Izzo
Genova qui e ora è una città che si sporge ancora sul Mediterraneo.
Genova qui e ora è anche una città, “quella in cui affiorano l’amarezza e la grandiosità dei sogni”, come scrisse il marsigliese Izzo nel suo ultimo libro poco prima di morire.
Genova qui e ora è molto più di una città, è un modo di vivere vecchio e nuovo al tempo stesso che in quei giorni ci assalì.
Genova qui e ora è un concentrato di desideri che da allora non se ne è più andato, anzi che esonda più passa il tempo e più si avverano quelle cose.
Genova qui e ora è l’esibizione spettacolare di una catapulta che ci sputava fuori dal ‘900 dopo aver distrutto tutte le cose belle del ‘900, la vita, l’arte, la bellezza, la trasgressione, le avanguardie, i quartieri, i teatri, i cinema, le trattorie, la solidarietà delle comunità, e ci aveva lasciato in preda ad un futuro tecnocratico senza futuro.
Genova qui e ora è il futuro tecnocratico senza futuro dove alcune (poche? molte?) persone che allora sfilavano dietro uno striscione immenso con la scritta “libertà di movimento” oggi urlano contro chi cammina libero in strada e tifano per il lasciapassare del capitale globale.
Genova qui e ora è un pesto al basilico fresco che inonda le città e i paesi, gli orti e i balconi di fronte al mare, inonda l’aria di un senso della vita ancestrale che non è barattabile con la vita in scatola delle multinazionali agroalimentari.
Genova qui e ora siamo noi che allora giovani e forti ma fragili e insicuri ci rendemmo conto che la nostra salute era un terno al lotto nel grande gioco della finanza globale e degli interessi biotecnologici.
Genova qui e ora è la convinzione mai morta che sui nostri corpi loro non passeranno più, né con le jeep, né con gli stivali dei loro servi, né con i trattamenti sanitari obbligatori, né con le psicosi globali, e non fa niente che sul momento pochi capiranno, lo capiranno poi.
Genova qui e ora sono gli insulti di chi per vent’anni non ha capito che era in corso un’infodemia globale, insulti di chi non ha voluto o saputo mettere in discussione la voce unica del padrone planetario, di chi si è arreso alla narrazione universale del capitale globale come migliore dei mondi possibili.
Genova qui e ora è il delitto perfetto, la televisione che ha ucciso la realtà. E l’ha sostituita con i dispositivi mobili sui quali chiunque può predicare qualsiasi slogan progressista mentre razzola una vita dedita al consumo capitalista, una vita esattamente identica a quella del suo nemico virtuale.
Genova qui e ora è stato ritrovarsi vittima di una infame infodemia che ti trasformava nel giro di pochi giorni, mesi e anni, rispettivamente in: violento, terrorista, insurrezionalista, nemico della tecnologia, dietrologo e complottista, negazionista, passatista e fuori dal tempo, inutilmente idealista, irresponsabile, pericoloso, untore e perfino privilegiato. Privilegiato. A seconda della psicosi che in quel preciso giorno, mese o anno andava propagandata al suddito globale.
Genova qui e ora è stata la possibilità di uscire fuori dall’acquario, finalmente, anche se non tutti l’hanno capito, perché quella violenza esplosiva stava autodenunciando la fine della democrazia e la fine di una civiltà, come solo due mesi dopo sarebbe stato evidente e definitivo con l’attentato colossal che avrebbe cambiato la storia.
Genova qui e ora è stata la possibilità di uscire fuori dall’acquario asfissiante del centro dell’impero e vedere finalmente il margine: le periferie, le campagne, le montagne, il mare, gli orizzonti perduti.
Genova qui e ora sono per noi i nuovi orizzonti profondi e le nuove prospettive millenarie di vita che nacquero nel momento in cui la parola d’ordine diventò quella di smettere di auto-distruggerci e distruggere il mondo, di smettere di alimentare relazioni false, di smettere di consumare nocività, di smettere di essere complici dello sfruttamento.
Genova qui e ora sono le scelte di vita che alcune, alcuni fecero e che furono decise esattamente in quel momento, in quei giorni: non consumerò più per il capitale, non produrrò più per il capitale, creerò reti solidali laterali e marginali che dovranno diventare centri diffusi, e dovrò cambiare, cambiare davvero dall’interno, perché non serviranno più le vecchie utopie del prendere il potere per cambiare il mondo, il mondo cambierà senza prendere il potere se sapremo davvero cambiare dentro.
Genova è qui e ora nonostante tutto.
Nonostante l’impossibilità di mettere in pratica tutto questo tutto e subito, nonostante le sirene infami di chi ha tradito tutto questo fingendosi amico e facendoci sopra carriera politica o lavorativa, nonostante chi si dice di sinistra e pensa e vive seguendo le narrazioni di regime della destra capitalista, nonostante gli insanabili scontri di oggi tra chi in quel momento invece stava a fatica imparando a condividere pratiche, lotte e desideri, nonostante anarchici contro marxisti contro ecologisti contro femministe contro sindacalisti contro attivisti contro tutto quello contro cui straparli ogni giorno nelle guerre virtuali.
A causa della frustrazione di non saper più mettere in discussione niente di una vita vittima della tecnocrazia.
A causa della frustrazione di aver dilapidato la moneta preziosa di un movimento altermondialista, di un movimento dei movimenti, di un movimento che usciva dalle ottusità ideologiche del ‘900 e da 2000 anni di divide et impera del potere occidentale, o almeno ci provava e c’era chi ci stava provando, e continua a farlo.
A causa di una fottuta, perenne e drammatica infelicità.
Genova è qui e ora per riprenderci la felicità.
Note
Le due citazioni iniziali sono entrambe di Jean Claude Izzo, rispettivamente da “Aglio, menta e basilico” e da “Il sole dei morenti”
“Il delitto perfetto: la televisione ha ucciso la realtà?” è il titolo di un libro di Jean Baudrillard
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