Giancarlo Bifi: fratelli di un’Italia disunita
L’unità non è mai avvenuta. Nelle tappe d’avvicinamento ai festeggiamenti dei 150 anni dall’unità d’Italia, tutto sfuma, perde peso, mai come adesso ci si accorge che c’è poco da festeggiare. C’è una parte consistente della popolazione che si riconosce unicamente nel proprio campanile o al massimo nel proprio territorio. Una nazione l’Italia che di comune ha unicamente la lingua, una nazione ancora giovane, nata mettendo insieme tanti staterelli sotto la regia del Piemonte, gli stessi piemontesi i cui padri hanno cercato di piemontizzare tutto il Paese e che solo qualche settimana fa hanno eletto come presidente della regione un esponente della Lega, che non riesce di certo ad appassionarsi alla festa. Invece questo anniversario potrebbe essere colto come occasione, per interrogarsi sulle differenze culturali, sociali dei diversi territori e paradossalmente spingere la discussione sulle possibili ma concrete vicinanze nella diversità. Riflettere su quali sono i risultati di una strada lunga 150 anni, gli errori, le occasioni mancate, le possibilità sprecate, fino ad auspicare l’unione nella differenza, nell’utopia di arrivare un giorno alla grande unione di tutte le popolazioni della terra, al mondo. Migrazioni interne hanno portato a confondere genti e parlate ma non ancora a unire: dietro la difesa della cultura o della religione, il più delle volte si nasconde la paura di perdere il proprio borsellino. Finché ci saranno confini e bandiere, finché ci sarà il desiderio di dominio, di sfruttamento economico, commerciale è difficile che la parola “unità” possa avere senso. Occorre unirsi per unire, non è un percorso semplice ma è l’unico cammino possibile. Intraprendere finalmente un viaggio che porti l’uomo ad unirsi agli altri uomini in modo da realizzare l’unità mondiale, essere finalmente liberi uomini in una libera terra, in cui ciò che unisce sia la condivisione di ricchezze e responsabilità nell’uguaglianza. Che dite è possibile giungere a questo o l’uomo è così naturalmente meschino, malvagio, da far prevalere a ogni costo con qualunque mezzo sempre l’egoismo, l’io sul noi? Allora, forse continuare a interrogarsi su ciò che siamo, sul tentare di far prevalere l’essere sull’avere, può aiutarci a trovare nuove antiche ragioni per stare insieme.
La cosa che temo è che si fronteggeranno due retoriche; quella padana della critica al risorgimento (ovviamente ignorando del tutto la critica gramsciana, e che siamo comunisti noi?) e quella fascista di esaltazione dell’identità nazionale giocata in chiave razzista (e che siamo rom noi?). La tua idea di unita’ mondiale è forte e bella, un contravveleno a queste due retoriche…