Gianfranco Manfredi: qualche verità su piazza Fontana
Il fumetto «Cani sciolti» (in edicola) ricorda: Valpreda innocente, Pinelli assassinato, la strage è di Stato
di db
Vi consiglio di andare in edicola e scrutare nel settore fumetti: fra l’eterno Tex (che a me non piace) e «Julia» (una serie che amo da 249 mesi) troverete il numero 8 di «Cani sciolti», serie ideata da Gianfranco Manfredi. Il titolo è «La strage».
Del 12 dicembre 1969 si parla. E trovate moltre scomode verità: faticosamente acquisite allora da molte e molti; oggi insabbiate o negate, annacquate oppure cancellate.
Cosa intendo?
Apriamo, quasi a caso, qualche pagina.
«Milano saprà reagire. Questa città è medaglia d’oro della Resistenza. Non si piegherà mai ai fascisti e ai militari» (pag 31).
E in un flashforward (o meglio in un continuo avanti e indietro nel tempo, come è tipico di questa serie): «Il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli venne gettato dalla finestra della questura di Milano dove si trovava sotto interrogatorio la notte del 15 dicembre 1969» (pagina 39).
«Non è chiaro che ci stanno criminalizzando tutti? Omosessuali, ribelli, riformisti… Qui si fa di ogni erba un fascio littorio. E Valpreda lo sbattono in prima pagina come un mostro» (pag 44).
E alla domanda “cosa pensa della pista anarchica?» ecco la risposta: «Gli anarchici sono comodi capri espiarori. Un’esigua minoranza. E l’italia non brilla certo per il rispetto delle minoranze. La strage è stata orchestrata dai servizi segreti» (pagg 50-51).
E così via.
Nell’ultima pagina due dei ragazzi protagonisti stanno completando la scritta sul muro – «VALPREDA E’ INNOCENT» – quando arriva un loro compagno e fa: «Dovevi scrivere anche PINELLI ASSASSINATO e LA STRAGE E’ DI STATO». E l’ultima nuvola saggiamente conclude: «Ok, facciamo un muro a testa».
Dire le cose come stanno: bravissimo Manfredi.
Nella penultima pagina uno dei protagonisti spiega alla figlia che «nel marzo del 1970» (in realtà era giugno, ma cambia poco) «uscì un libro inchiesta davvero fondamentale […] svelò a tutti il piano politico che si nascondeva sotto le bombe e il ruolo avuto dai fascisti e dai corpi dello Stato. Leggilo, son cose che bisogna sapere». E mostra la copertina di «La strage di Stato». Questa.
Mentre questa è la più recente riedizione.
Un gesto – consigliare quel libro – che tante volte (persino poche settimane fa a un ventenne che… nulla sapeva di piazza Fontana) ho fatto anche io. Del libro Manfredi parla all’inizio, introducendo l’episodio; per la verità anche con un paio di valutazioni su cui concordo solo in parte… Ma importa ben poco – forse zero – se ci sono analisi che qua e là si differenziano. Importa tantissimo che Manfredi parli di «La strage di stato» in un fumetto (da edicola, dunque a larga diffusione), ne sposi l’analisi e inviti a leggerlo. Un grande grazie.
DUE PAROLE ANCORA SU «CANI SCIOLTI»
Al di là di questo numero 8 così drammatico la serie funziona? Nel presentarla avevo scritto (*) di un’idea audace come il nome di queste iniziative della Bonelli (Audace) che di solito è più prudentina. Per chi non conosce Manfredi aggiungo che è scrittore, musicista e musicologo ma qui in “bottega” abbiamo parlato soprattutto del fumettaro e dunque di «Magico Vento», «Volto nascosto» e «Shangai Devil».
Una valutazione dopo 8 numeri? A me i testi piacciono (i disegni meno) anche se qualche episodio – andare avanti e indietro nel tempo non è facile – è meno riuscito e qualche stereotipo ogni tanto (inevitabilmente?) affiora. Criticuzze ma fermo restando che… avercene di fumetti così.
(*) «Cani sciolti»: nuvolette dalle parti del ’68
NOTA DELLA BOTTEGA
Per chi (troppo giovane?) nulla sa di Piazza Fontana consigliamo questi due post: 12 dicembre 1969: una «scor-data» per piazza Fontana…e 12 dicembre, la strage è di Stato
Gianfranco Manfredi, che pure ha fatto cose egregie e continua a farle, non mi suscita simpatia. Certi piacioni di sinistra fanno gli antagonisti, i perseguitati e, al tempo stesso, hanno entrature da paura nelle principali case editrici. Se anche, per assurdo, mi venisse offerto, non vorrei mai pubblicare per la Feltrinelli. Delle due, l’una. Un certo Gesù di Nazareth diceva che non è mai lecito servire due padroni.
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Sulla strage di Stato, sulla macchinazione che ha colpito il movimento anarchico e il movimento tutto, tanto è stato detto e non sarò certo io ad aggiungere qualcosa di nuovo.
Desidero solo ricordare che, sulle prime, la Fai, Federazione anarchica italiana – il PCI degli anarchici – lasciò Pietro Valpreda e i compagni del 22 marzo, colpevoli di essere degli scissionisti, completamente da soli. Ed oggi pretenderebbe di avere il monopolio della loro difesa. Una bella faccia tosta.
Pino, Giuseppe Pinelli non era della Fai. È bene sottolinearlo.
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Alcuni link, per ricordare.
Una significativa intervista fatta a Pietro da Sergio Zavoli.
Parte 1.
https://youtu.be/QnDddY1JE40
Parte 2.
https://youtu.be/twBcdd6n_-U
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Silvia, una delle due figlie di Pino: “Scomparsi gli atti relativi a mio padre”.
https://youtu.be/cFaLWFYRg-s
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La testimonianza di Lello Valitutti avrebbe inchiodato il commissario Luigi Calabresi alle sue responsabilità. Non è mai stata presa in considerazione.
https://youtu.be/t4hCAwJlyeE
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12 dicembre 1969. Valpreda innocente, Pinelli assassinato, la strage è di Stato.
(dall’estero) trattandosi della FAI e dell’ostilità militante verso i cosiddetti scissionisti credo di poter aggiungere quanto ricercatore che le cose sono… sempre andate cosi, col movimento anarchico “ufficiale” : questa gente è a l’Anarchia cio che la musica militare è alla musica
Mi viene davvero difficile pensare che chi scrive sia necessariamente servo di chi pubblica.
Gianfranco Manfredi fu uno splendido cantautore della metà degli anni 70. Splendido come musica, perché non conforme allo stereotipo delle canzoni di protesta, e splendido come testi, perché nient’affatto retorici e realmente liberi di volare, così come volava chi faceva politica a quei tempi. Interessante scrittore di libri e poi fumettista. La concretezza dei fatti è sicuramente al di la delle simpatie. A qualcuno non piace andare al mare, ma non per questo dovrà essere necessariamente contro il mare e chi ci va. Nella miseria del presente, fa davvero piacere che esistano realtà come questa. Ma chi ha detto che non c’è più?
Giorgio Bertani: un intellettuale, un editore, un militante
di Michele Franco
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Nei giorni scorsi ha lasciato questo mondo Giorgio Bertani.
La sua scomparsa ha trovato spazio sul quotidiano “il Manifesto” e in alcuni post attraverso i Social condivisi da compagni vintage come chi scrive questa. Una morte, sostanzialmente, passata sotto silenzio sintpmatica della colossale opera di rimozione di un patrimonio culturale e teorico che andrebbe salvaguardato, difeso ed utilizzato creativamente e fuori da ogni astratta mummificazione ideologica e dogmatica.
Eppure Giorgio – attraverso la sua casa editrice – occupa un posto di rilievo nella storia dell’editoria indipendente, della ricerca critica collettiva e nell’attenzione, mai banale, alle novità culturali, politiche e pratiche che in un particolare scorcio del Novecento hanno segnato l’epopea della trasformazione rivoluzionaria in Italia e nello scenario internazionale,
La Bertani editore ha pubblicato migliaia di titoli: da tutte le opere teatrali di Dario Fo, ai manuali di controinformazione e lotta di Medicina Democratica, di Psichiatria Democratica fino alla diffusione dei testi dei movimenti rivoluzionari del Terzo Mondo che, in Italia, erano noti solo grazie all’impegno ed alla passione di un altro grande compagno/editore, Giangiacomo Feltrinelli, morto, però, nel 1972.
Le sue collane sono state lette e diffuse ampiamente non solo negli ambienti politicizzati ma trovarono adeguato posto anche nelle librerie ufficiali. Ancora oggi – a distanza di circa 40 anni – diversi libri, editi da Giorgio, sono delle autentiche gemme utili ed ancora spendibili nella indispensabile battaglia delle idee contro la disinformazione deviante del capitale e le sue narrazioni tossiche.
Giorgio pubblicò inediti di Marx, di Rosa Luxemburg, di Mao ma anche imponenti lavori di controinformazione a proposito di istituzioni totali, processi produttivi e le prime trasformazioni urbane che iniziavano a delinearsi in quel periodo. Il suo fiuto editoriale non disdegnò testi che spaziavano nel campo delle arti e della letteratura che fecondavano in quello snodo della storia politica italiana particolarmente stimolante e foriero di innovazioni e rotture.
Nel ’77 – diciotto anni compiuti da poco – ricordo nitidamente l’acquisto del libro “Bologna ’77: Fatti nostri” il quale – a fronte dell’indecente opera di mistificazione ed opacizzazione politica di quello straordinario movimento condotta prevalentemente dall’allora PCI e dai suoi dirigenti piegati alla logica del compromesso storico e delle leggi emergenziali in materia di ordine pubblico – avviò una articolata campagna di verità e giustizia in omaggio alla memoria di Francesco Lorusso caduto sotto i colpi di pistola dei carabinieri.
Quel libro – con il linguaggio di oggi l’avremmo definito un instant book – diffuso a migliaia di copie divenne una sorta di simbolo di una generazione, che iniziava a conoscere i primi effetti della crisi capitalistica, alla quale lo stato rispose prima con una feroce repressione e, poco dopo, con alcune misure di “politiche attive per il lavoro” (il preavviamento al lavoro, la Legge 285).
Interpretare, però, la figura di Giorgio Bertani solo come editore, anche se coraggioso e compagno, sarebbe riduttivo. In una Verona – negli anni ’60 e ’70 – che non si era ancora trasformata in quell’autentico buco nero della reazione che segna – purtroppo – la sua odierna cifra politica e sociale Giorgio Bertani incarnava quella attitudine militante che legava, costantemente, il piano della teoria con quello della prassi.
Infatti Giorgio fu il protagonista, assieme ad alcuni altri compagni, del rapimento, a Milano nel 1962, per quattro giorni, del viceconsole di Spagna per protestare contro la decisione del regime franchista di passare per le armi alcuni antifascisti iberici. Quell’azione – nel tumultuoso contesto di quegli anni – contribuì a determinare le condizioni per fermare l’esecuzione della condanna a morte contro i prigionieri del regime di Francisco Franco. In seguito, Giorgio, anche dopo la chiusura della sua casa editrice, è continuato ad essere una presenza attiva (e simpatica) nei momenti politici della sua città con una particolare attenzione ai temi ambientali.
Chiudendo questo, doveroso, ricordo di Giorgio Bertani pubblico le copertine di alcuni suoi testi, tra le migliaia di lavori editoriali che andrebbero tutti conosciuti, specie dalle giovani generazioni di compagni ed attivisti, i quali sono carichi di un personale valore affettivo che, nonostante i decenni trascorsi, non è andato affievolendosi.
Che la terra sia lieve a Giorgio Bertani ed a tutti gli uomini giusti!
Fortissimo questo fumetto, anche se descrive i giovani del ’68 come appartenenti a una classe sociale benestante.