Giangiuseppe Pili: intorno a Kubrick

Non ho risposte semplici: un genio del ciema si racconta

Questo non è un libro “scritto e diretto” da Stanley Kubrick e presentarlo come se lo fosse è veramente disonesto. Il titolo originale suona: Stanley Kubrick Interviews, cioè “Interviste di Stanley Kubrick”… Si tratta di una raccolta di articoli, per lo più interviste che vertono su Orizzonti di gloria, Il dottor Stranamore: ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba e 2001, Odissea nello spazio con l’unica eccezione di un articolo brevissimo del 1969 pubblicato poi su Action (pp. 115-119).

I materiali sono sostanzialmente di due generi, per altro, mischiati insieme: le parole dirette del regista e le domande, più o meno mediocri, dei giornalisti. L’unica eccezione riguarda l’articolo già citato. Inutile dire che le parti scritte dai giornalisti, più o meno di settore, possono interessare solamente chi leggesse questo libro sperando di avere brandelli della vita del misterioso Kubrick. D’altra parte, solo leggendo le domande disarmanti a cui Kubrick fu sottoposto, ci si rende conto di quanto seccante dovesse essere, per un uomo la cui ricerca della verità e dell’assoluto estetico erano di portata metafisica, rispondere a delle domande del tipo “come spende i suoi soldi?” Così si capiscono meglio le ragioni di un uomo che ha deciso di mantenere la propria vita privata e non una pietanza del banchetto allestito per la massa. Per fortuna, Kubrick era solito eludere i quesiti del tutto inessenziali e si concentrava sempre attorno ai problemi del proprio cinema e della sua visione del mondo, se questo era importante per comprendere il film. L’unica eccezione da segnalare, per quanto riguarda il potenziale interesse diretto dei pezzi non del regista, riguarda il capitolo di Jeremy Bernstein PROFILO DI STANLEY KUBRICK del 1966. Per il resto, il materiale giornalistico informativo è piuttosto mediocre e ridondante: le introduzioni delle interviste al personaggio “Kubrick” manifestano tutte la dipendenza dello scribacchino di turno alla propria testata giornalistica (così quello della rivista Rolling Stones farà osservazioni sulle scelte musicali mentre quello di Playboy (sic!) farà delle considerazioni generali sull’espatrio in Inghilterra del regista che, tra l’altro, costituisce una delle domande costanti e perfettamente inutili).

Elencare tutti i difetti del libro risulta un lavoro facile e fastidioso: facile perché sono davvero tanti ed evidenti, fastidioso perché lo si vorrebbe evitare. Dunque, oltre alla già citata bassa qualità dell’informazione giornalistica e alle domande del tutto inessenziali e alla disonestà di chi ha messo in copertina il nome di Kubrick come fosse l’autore effettivo del libro, le carenze riguardano anche la ridondanza delle domande e delle risposte: per esempio, sono un chiodi fisso l’espatrio di Kubrick in Inghilterra piuttosto che la sua paura per il volo e per le armi nucleari o su quale sia la migliore interpretazione di 2001 e se, dopo la morte, Kubrick si sarebbe fatto ibernare. E anche le risposte sono sempre molto simili perché il regista aveva l’abitudine di correggere (proprio così!) il materiale giornalistico che lo riguardava e aggiungeva o toglieva parti per riuscire a trasmettere il suo messaggio in modo meno distorto possibile. Così si ha un effetto di ridondanza (perché Kubrick riprendeva, talvolta, le risposte già date e le riproponeva identiche) che, talvolta, può portare alla confusione di fronte a ciò che si sta leggendo: lo si è già letto oppure no?, una domanda di portata paradossale.

Altro difetto forte del libro è la parzialità delle informazioni riportate: potendo riassumere in dati, si può dire che il cinquanta per cento si impernia attorno all’analisi di 2001, Odissea nello spazio, il trenta per cento è dei film precedenti, in particolare ai documentari degli esordi e ai primi due lungometraggi, e il restante venti per tutto il resto. Da notare che del magnifico Barry Lyndon, di Shining e di Eyes Wide Shut non si fa nemmeno cenno, se non per dire, di Shining, che è stato poco applaudito dalla critica e di Barry Lyndon che è stato un parziale fiasco al botteghino e si preferisce riportare brani in cui Kubrick si concentra sul film mai realizzato su Napoleone! Una vergogna se si tiene conto che sia Barry Lyndon che Shining che Eyes Wide Shut sono tre film profondamente interessanti dal punto di vista filmico e introspettivo: il primo tratta della visione dell’uomo in rapporto alla società, il secondo esplora le paure del proprio inconscio, l’ultimo tratta dell’intricato mondo della sessualità. Tutti temi, ci pare, di qualche pregnanza. Probabilmente, uno dei problemi rilevanti è che chi ha posto le domande si poneva obbiettivi molto diversi rispetto a ciò che avrebbe dovuto mentre chi ha redatto il libro ha voluto concentrare lo spazio per il film più controverso perché di difficile interpretazione (che, per altro, Kubrick non tradisce minimamente). Poche le parole per Spartacus, qualcuna in più per Arancia Meccanica e Full Metal Jacket. Che il peso del botteghino c’entri nulla?

Questi i difetti, e i pregi? Sebbene assai pochi, essi riscattano pienamente tutto il fastidio che un lettore onesto può legittimamente provare di fronte ad un raggiro pecuniario bello e buono: la profondità del pensiero di Kubrick è talmente abissale che anche solo alcune frasi riportate reggono interamente il prezzo del libro. Si può benissimo dire che di 250 pagine se ne possano salvare solo 50, ma quelle cinquanta sono talmente importanti che dovrebbero diventare patrimonio della cultura collettiva. Infatti, a parte qualche riferimento tecnico ai propri film, assai raro, Kubrick enuncia i principi contenutistici dei propri lavori e lo fa con una razionale lucidità che lascia senza fiato per l’ammirazione che si finisce per provare per lui anche qualora non ci si riconosca appieno nel suo cinema. Facciamo qualche esempio.

 

Se la vita è così priva di senso, lei crede che valga la pena di viverla?

Sì, per quelli di noi che in qualche modo riescono ad affrontare la propria mortalità. La stessa mancanza di senso della vita costringe l’uomo a creare un senso proprio. Naturalmente i bambini cominciano la propria vita con la facoltà di meravigliarsi intatta, e la capacità di provare una gioia totale alla vista di qualcosa di semplice come il verde di una foglia. Man mano che crescono, però, la consapevolezza della morte e della decomposizione comincia a influire sulla loro coscienza e a erodere subdolamente la loro gioia di vivere, il loro idealismo… e la loro presunzione di immortalità. Man mano che un bimbo matura, si vede intorno solo morte e dolore, e comincia a perdere fiducia nella bontà intrinseca dell’uomo. (…) L’aspetto terribile dell’universo non è la sua ostilità, ma sua indifferenza: se però riusciamo a fare i conti con questa indifferenza e ad accettare le sfide della vita all’interno dei limiti della morte (…), la nostra esistenza in quanto specie può avere un senso e una realizzazione autentici. Per quanto sia vasta l’oscurità, dobbiamo procurarci da soli la nostra luce. (pp. 111-112)

 

Lascia disarmati esattamente come chi per primo, preso il microscopio, vide la cellula dentro l’organismo complesso. Solo un uomo capace di giungere ai vertici dell’indagine sulla realtà sino a cogliere le sfumature più sottili dell’animo umano poteva poi creare dei capolavori in cui la verità si fonde con l’immaginario abbastanza da riuscire ad essere “vera arte” perché profondamente rappresentativa. Kubrick, oltre ad essere un pensatore visionario, era anche un regista e uomo scientifico nel senso letterale del termine. Quando studiava un film a tema, come Barry Lyndon o 2001, leggeva ogni libro disponibile sull’argomento e consultava personalmente autorità accreditate, ad esempio Marvin Minsky, grande logico matematico e uno dei padri fondatori dell’Intelligenza Artificiale, per sapere se i computer avrebbero, nel 2001, potuto pensare in modo simile agli uomini. Ma è anche la tipologia argomentativa che Kubrick utilizza di continuo ad essere di matrice scientifica, nel senso che si avvale di dati fattuali (talune volte addirittura di statistiche) ipotesi e induzioni da queste.

 

Crede che le persone che assistono a un atto di violenza sullo schermo vengano spinte a commetterne uno simile nella società?

No, e credo che si debba tener conto di un fatto anche più importante. E’ stato dimostrato che anche dopo l’ipnosi profonda, in uno stato postipnotico, la gente non fa ciò che è contrario alla propria natura, quindi l’idea che una persona possa essere corrotta da un film secondo me è completamente sbagliata.

(…) Quindi non penso che la violenza realistica, che al momento sembra essere quella che sta causando tanto scalpore, potrebbe davvero indurre in qualcuno il desiderio di copiarla, persino se si trattasse di una persona influenzabile dai film, fatto contrario a ogni ricerca svolta. (p. 177)

 

Dunque, argomento fondato sull’esperienza personale, ragionamento su alcuni assunti e conferma delle ipotesi mediante le opinioni scientifiche accreditate di generi diversi: in questo caso, Kubrick fa riferimento sia alla prassi psicoanalitica che a ricerche statistiche su campioni di popolazione. E quando a Kubrick vien data la possibilità di enunciare le sue ipotesi sulle cause della violenza, ancora fa un’analisi comparata di varie possibilità, mostrando di non lasciare nulla al caso e di prendere in considerazione valide alternative concorrenti:

 

(…) I politici, dirottando l’attenzione dei media sulla questione se il cinema e la tv contribuiscano alla violenza, riescono comodamente a evitare di osservare le vere cause della violenza nella società, che per esempio possono essere:

  1. il peccato originale, secondo l’opinione teologica,

  2. l’ingiusto sfruttamento economico, secondo la visione marxista;

  3. le frustrazioni e pressioni emotive, secondo la visione psicologica,

  4. i fattori basati sulla teoria del cromosoma Y, secondo la visione biologica. (p. 177).

 

Interessantissimi sono i commenti di Kubrick intorno ai registi più importanti (Chaplin ed Eisentstejn) e alla democrazia, definita il peggior sistema politico con l’eccezione di tutti gli altri.

 

Altri pregi secondari sono l’ottima qualità della rilegatura e dell’impaginazione che sono sempre gradite. Ma utile può essere anche la filmografia finale, con l’elenco di tutti i film e delle loro caratteristiche salienti e un’essenziale cronologia della vita e delle opere del grande regista.

In conclusione, ci troviamo tra le mani un libro che si fonda sulla grandezza del pensiero di Kubrick, riassumibile in cinquanta di quelle duecentocinquanta pagine. Tuttavia, ci sentiamo lo stesso di consigliare la lettura di questo testo, prezioso per tutti coloro che vogliano spingersi oltre la semplice superficie della vita.

 

STANLEY KUBRIK

NON HO RISPOSTE SEMPLICI, IL GENIO DEL CINEMA SI RACCONTA

MINIMUM FAX editore

PAGINE 296, EURO 14,50


(ripreso da www.scuolafilosofica.com)

 

BREVE NOTA PER MARTEDOSSI  (cioè gli ortossi del martedì)

Tutto ma proprio tutto Kubrick è fantascienza. Chi dice di no si presenti entro le 16 allo spazioporto Wranx e ci penso io a spiegarglielo. (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • Beh… mi ha fatto proprio bene leggere questo post.
    Una recensione ben curata e che ho trovato onesta.
    Mi è assai complicato, da qui, avere tutti i libri che vorrei per le mani.
    Accumulo propositi.
    Grazie, Daniele.

    c.

  • Ho molto apprezzato la lucidità di questa recensione che indica, con misura e obiettività, i vantaggi e gli svantaggi della pubblicazione della Minimum Fax su Kubrick.

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