L’uomo che faceva buuu

di Gianluca Cicinelli

Siamo nella galleria degli orrori, ma non è la scena di un crimine recintata con il nylon a strisce della polizia investigativa di Csi Miami, è proprio il vecchio tunnel di quando eravamo bambini, di quando credevamo che l’orrore abitasse a migliaia di chilometri da casa nostra, insomma siamo in un parco giochi, e anche di quelli un po’ all’antica, orrori caserecci, la strega che all’improvviso ti sfiora con la ramazza, l’impiccato che sbuca fuori dal buio con un urlo agghiacciante, cose così.

Siedo orgogliosamente sul sedile posteriore della macchinetta che corre sui binari del tunnel della paura, davanti ci sono Ilaria e Federica, all’epoca dieci e otto anni. Ufficialmente sono loro che dovrebbero divertirsi ma me la godo anche io, riesco a vedere nel buio con un certo anticipo quello che sta per accadere pochi metri dopo, dovrei dire che torno bambino ma non saprei dire da dove, così, quando dopo due minuti gli occhi si abituano al buio, mi sento di colpo come in quei racconti dove i tuoi compagni credendoti morto ti hanno abbandonato da solo nella jungla e devi orientarti senza bussola e senza cibo difendendoti dalle bestie feroci, con tutti i sensi all’erta.

Le ragazze mostrano grande dignità, urlano senza strafare, riescono a fare qualche battutaccia e io mi sento realizzato nella parte del rassicuratore adulto. Abbiamo come abitudine relazionale quella di raccontarci i meccanismi delle cose che viviamo mentre le facciamo, al cinema siamo arrivati al punto che quando la più piccola teme che il protagonista stia per essere squartato la più grande la rassicura: il film dura un’ora e mezza, il protagonista non può morire dopo venti minuti, poi chi si sposerebbe la bonazza che lo accompagna quando si caccia nei casini?

Il giro dura da qualche minuto, s’intravede la luce di fine corsa, ci rilassiamo per un momento. E’ allora che da dietro la curva appena superata, da un punto a lato che sembra più buio perchè noi siamo alla luce, sbuca all’improvviso e con tempismo perfetto un tizio in carne umana che mi batte sulla spalla e ci urla nelle orecchie il più classico dei: Buuuuuuuuuuu!!!!!!!
Facciamo un salto sui sedili tutti e tre e urliamo come matti, il cuore in gola che batte forte e perdiamo quella lucidità che ci avrebbe permesso di considerare che se il cuore ci balzasse realmente in gola saremmo molto morti e anzichè in un parco giochi ci troveremmo nella casa di Freddy Krueger. Non parliamo e restiamo sbigottiti per almeno trenta secondi, il tempo necessario per arrivare alla fine del giro e far salire un’altra famiglia sul trabiccolo. Le ragazze prima di andarsene gettano un’occhiata indignata nella direzione da cui venivamo, verso quella curva che ci ha impedito di vantarci a fine corsa del nostro eroico coraggio.

Sconfitti all’ultima curva, come Franco Bitossi, ciclista non dopato e sanguigno soprannominato “Cuore matto” perchè aveva la tachicardia, che nel ’72, ai mondiali di Gap, va in fuga solitaria a 4 chilometri dall’arrivo, ma continua a voltarsi e a smanettare sul cambio e viene raggiunto e superato a meno di un metro dal traguardo da Marino Basso che vince il mondiale. Ilaria e Federica non sapranno mai in vita loro di Franco Bitossi, ma io quel giorno piansi, allora me lo potevo permettere perchè avevo anche il corpo da bambino, perchè al gioco delle boccette in spiaggia prendevo sempre la biglia con la faccia di Bitossi.
Giurai a me stesso che se fossi arrivato in testa all’ultima curva di un mondiale non mi sarei mai voltato indietro. Poi, evidentemente a causa di un complotto internazionale, mai mi capitò di arrivare nè primo nè ultimo nè con tutto il gruppo a un mondiale, quindi ancora oggi non so se mi sarei girato e convivo con questo tragico dubbio esistenziale.

Usciamo dal tunnel degli orrori un po’ mesti, la ferita brucia ancora e ci vuole una buona mezzora prima che riusciamo a riprendere la nostra abituale verve. Federica indica le”Cascate del West” come possibile prossima meta, così, stancamente, ci immettiamo in una lunghissima fila.
E’ quasi soltanto per un riflesso condizionato, da dispettosi professionisti, che cominciamo scartare e mangiarci i nostro panini solo quando arriviamo davanti a un bambino di otto anni e cento chili, distribuiti in modo che la sua altezza coincida con la larghezza. Li mangiamo davanti a lui perchè il ragazzo strilla come un ossesso verso i suoi genitori che vuole un panino, così, appena tiriamo fuori i nostri, le sue urla raggiungono un’intensità pari soltanto all’odio eterno dei suoi genitori contro di noi, mentre commentiamo ad alta voce che quei panini che stiamo mangiando devono essere stati confezionati da un Vissani del catering per quanto sono buoni e gustosi. Si, è vero, ci mettiamo anche d’accordo di lasciarci mezzo panino e buttarlo con gran chiasso nel cestino dicendo ad alta voce “peccato che siamo troppo pieni” prima di uscire dall’orizzonte del piccolo mostro, ormai preda di una crisi isterica, ma non siamo del tutto soddisfatti.

La prima a tornare sull’argomento mentre attraversiamo le cascate è Ilaria, che si chiede se “il signore che fa buuu” riceve un regolare stipendio. L’immagine è suggestiva in effetti, pensare che nel tempo del precariato più selvaggio ci sia qualcuno stipendiato per fare buuuu alla gente ci colpisce alla grande e ci permette di iniziare a organizzare la nostra riscossa. Forse i suoi contributi per la pensione non li versano all’Inps italiano ma a quello di Yellowstone, forse l’uomo è stato raccomandato per quel lavoro da Amelia la strega che ammalia, le ipotesi iniziano ad accavallarsi. Federica immagina che l’uomo, tornando a casa la sera stanco, racconti alla moglie la difficile giornata di lavoro: “Sai cara oggi ho fatto buuuu a tre americani”, “Ho una tendinite all’indice della mano destra a furia di battere sulla spalla dei visitatori”. Come anche possiamo immaginare la moglie affettuosa e un po’ apprensiva che gli chiede: “Caro, hai fatto tanti buuu oggi al lavoro?”

Mentre ci chiediamo cosa sia scritto sulla carta d’identità dell’uomo che fa buuu alla voce “lavoro”, ci ricordiamo che al termine della fila per le “Cascate del West” c’è un altro signore che, ogni tre persone che terminano la fila e stanno per salire sulle imbarcazioni, conta e urla “burdel, burdel, burdel, barcaaa!!!”, dando indicazione all’uomo che prepara le barche di prepararne un’altra. Ci chiediamo quindi se sono amici con l’uomo che fa buuu e pensando anche alle rispettive mogli, immaginiamo la scena del giorno libero in cui la moglie dell’uomo che fa buuu incita il marito a sbrigarsi, “altrimenti arriviamo tardi dall’uomo che fa burdel burdel burdel barca”! Siamo in Romagna e burdel sta per bambino, il signore chiama ormai così anche i vetusti genitori che accompagnano i più piccoli.

Queste riflessioni ci restituiscono il buon umore e ci danno una grande idea per mettere in piedi un piano. Abbiamo capito che non avremo pace finchè non usciremo veramente vincitori dal tunnel degli orrori e parola dopo parola ci viene in mente un’idea talmente assurda che potrebbe essere realizzabile. Per ingannare l’attesa ci facciamo un giro sullo Shuttle, che ti butta, da seduto, da cento metri a un metro da terra nel giro di tre secondi, scatenando la vomitina più selvaggia, ma ormai nulla puo più fermarci: si torna al tunnel degli orrori!

Ci organizziamo in questo modo. Faremo tre giri nel tunnel dell’orrore prima di fare quel che abbiamo in mente, tre giri che permetteranno a uno di noi per volta di sedere in tutti e tre i diversi sedili della macchina sui binari, di modo che ognuno potrà osservare, con la conferma successiva degli altri, com’è organizzata l’intera galleria e dove sono disposti trucchi e persone. Soprattutto per dare vita al nostro progetto abbiamo necessità di capire se il giro si svolge sempre con analoghe modalità o ci sono delle variazioni da mettere in conto. Ma siamo in Italia e dunque non possiamo sbagliare: anche nel parco della fantasia il lavoro è organizzato in modalità monotona.

Fatti i tre giri, mappa del tunnel in testa, siamo pronti per il quarto, quinto dalla mattina, giro nel tunnel dell’orrore. Due famiglie davanti a noi, la tensione cresce, cerco d’immaginarmi il signore che fa buu con il volto di Marino Basso, il mio vero rivale, per far crescere il desiderio di vendetta spietata. Una famiglia davanti a noi, facciamo silenzio e ripassiamo mentalmente il piano e i posti dove disporci, non possiamo sbagliare. Saliti!!!!

Restiamo in silenzio quando l’impiccato, che ormai chiamiamo Bob come un vecchio amico, emette il suo urlo strozzato come da contratto. Per poco non sbattiamo per terra con una mano la vecchia vestita da strega che ci fa il solletico con la ramazza, tanto siamo concentrati verso il nostro obiettivo e non vogliamo essere distratti. Ancora un minuto. Ci siamo, abbiamo davanti a noi cinquanta metri di rettilineo poi i binari curvano a sinistra, poi rettilineo e poi ultima curva a destra. A metà rettilineo scendo in corsa, la macchina va abbastanza piano, mentre Ilaria e Federica preparano le loro borse. Abbiamo capito durante le nostre precedenti esplorazioni che l’uomo che fa buuu si nasconde nel semicerchio privo di luce che collega le due curve tramite il rettilineo.

Vedo la macchina con le ragazze curvare a sinistra, allora inizio a correre cercando di non guardare la luce e finalmente, dandomi completamente le spalle, vedo nell’oscurità a tre metri l’uomo che fa buu che si sta accingendo a spaventare la macchina con Ilaria e Federica, iniziando a corricchiare dietro di loro, mentre io corro dietro a lui. C’è rumore di macchinari e non si sentono i passi.  Allora, con tutto il fiato che Bitossi doveva avere nei polmoni quando dopo trecento chilometri durissimi quel giorno a Gap trovò la forza per piantare sui pedali gente come Eddy Merckx detto il cannibale, accendo la torcia per illuminarlo, segnale per le ragazze, e gli urlo nelle orecchie il più fantastico dei buuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu!!!!!!!!!!!!!!!!!!, mentre dalla macchina partono due gavettoni d’acqua che lo centrano in pieno.

Adesso urliamo si, ma non più per la paura, siamo come impazziti di gioia e facciamo gli occhi straniti e le facce buffe e ridiamo a crepapelle. Ci guardano tutti come matti, ma pensano solo che ci siamo presi un bello spavento e non ci fanno tantissimo caso. E appena scendiamo dalla macchina una volta finito il giro, io sono risalito all’ultima curva per non dare nell’occhio, usciamo di corsa dal tunnel che fu dell’orrore e a un certo punto corriamo proprio per la paura che il signore che fa buuu ci abbia già denunciato all’Interpol e le polizie di tutto il mondo ci stiano dando la caccia.  Alzo le braccia al cielo come avrebbe dovuto fare Franco Bitossi quel giorno ai mondiali, adesso so con certezza, dopo quarant’anni circa di ricerca interiore profonda, che non mi sarei voltato a quell’ultima curva.
Le ragazze hanno dimostrato una mira fantastica oltre che essere meravigliose per fantasia e determinazione e che freddezza! Non vorrei trovarmi nei panni dei loro fidanzati o forse dovrei prendere da parte questi sfortunati ragazzi e avvisarli quantomeno del pericolo che
corrono.

Abbiamo sentito distintamente nel buio l’uomo che fa buuu urlare per lo spavento quando gli ho urlato da dietro e di stupore quando è stato colpito dai due gavettoni. Quell’urlo spaventato dell’uomo pagato per spaventare, nessuno ce lo toglie dalla testa, avrebbe provocato inevitabilmente una risata irresistibile anche alla bocca che emette l’urlo disegnata da Munch!

Non osiamo quasi mai pensare a quel povero signore che fa buuu, quello in carne e ossa. Ci siamo comportati davvero male con lui, in fondo stava solo lavorando. Però poi sulla bilancia della giustizia bisogna anche mettere che se tu fai buuu a me un giorno devi aspettarti che io faccio buuu a te. Ancora oggi, che sono passati alcuni anni e uno di noi tira fuori questa storia dai ricordi, ci immaginiamo ridendo il signore che fa buuu tornare a casa tristissimo quella sera e raccontare alla moglie: “Sai cara, oggi al lavoro mi è successa una cosa davvero strana …”. Cerchiamo di figurarci la notte tormentata che deve aver passato, pensando magari di dimettersi all’indomani dal suo incarico, incoraggiato poi dalla moglie ad andare avanti perchè di professionisti come lui che fanno buuu così bene non se ne trovano più in giro.

Da allora, nel nostro lessico familiare, questo episodio è e sarà per sempre noto come: “Il giorno che facemmo il controbuuu”.

.



per informazioni e invio testi:
clelia pierangela pieri – xdonnaselva@yahoo.it
luigi di costanzo       – onig1@libero.it

Clelia

6 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *