Giangiuseppe Pili su Tortuga
1685, Rogerio de Capos, gesuita e sicario per conto dell’ordine della compagnia di Gesù, è nostromo di un galeone spagnolo, prima di essere arruolato a forza nelle file della pirateria. Di formazione cattolica, al principio sembra recalcitrante di fronte al vitalismo funereo della pirateria, poi si fa sempre più coinvolgere fino a diventare egli stesso un ribelle. Le pulsioni primordiali sono l’unico vero comando di una masnada di superuomini, al di là di ogni ipocrisia e falsa morale. Ma l’arrivo di una schiava nera bellissima, muta e ancor più per questo affascinante, stravolgeranno il cuore ambiguo di Rogerio, sempre così legato ai suoi pregiudizi cattolici e alla nuova causa. L’amore potrà trionfare in mezzo ad un macabro scenario in cui l’istinto e la violenza predomina sulla ragione?
Valerio Evangelisti sembra voler dar vita all’idea nietzscheana della vita oltre ogni morale. I pirati sono descritti come eroi di un mondo dell’avvenire, come Nietzsche parla dell’oltreuomo, capace di superare le limitazioni della morale degli schiavi, cioè ebraico-cristiana. Continuamente Evangelisti mette in bocca di De Lussan e di altri personaggi, marginali per quantità ma non per centralità, l’idea che la pirateria sia l’immagine del mondo del futuro, dove la morale falsa della cristianità venga finalmente cancellata per dare spazio all’umanità senza più legge se non quella della natura: sopraffazione del più debole, atrocità e voglia di vivere oltre ogni limite. La vita dei briganti è descritta in modo conturbante. Lo sfogo degli istinti repressi genera gioia e, al contempo, morte e instabilità.
Questa è una lettura filosofica del libro. Ma è un’opera che ben si presta a molte interpretazioni. Ciò che Evangelisti propone non è solo una parabola dell’uomo al di là di ogni imperativo categorico, è anche una fedele ricostruzione storica di un mondo da sempre relegato dalla società benpensante all’aldilà del mondo. Una realtà fantasma che non deve essere vicina alla vita quotidiana di uomini ordinari perché troppo violenta e capace di dare ragione alla distruzione dell’ordine costituito. I pirati, infatti, vivono “liberamente” le loro idee e le loro convinzioni, sino all’autodistruzione. Immagine esemplare di un mondo intero è il titanico De Grammont, personaggio eroico, ciclopico e realistico, simbolo dell’oltreuomo, capace di affermare i suoi propri ideali truci nella storia. Questa interpretazione “realista” del romanzo è suffragata anche dall’estrema perizia nella descrizione delle attività dei singoli pirati, non tacendo di particolari storici rilevanti e veritieri. Un esempio per tutti: le analogie tra i pirati e gli eserciti regolari dell’epoca. Era davvero come ci dice Evangelisti: due facce identiche della stessa medaglia, ma solo perché l’una non visibile dall’altra si pensa che siano diverse e l’una migliore, l’altra peggiore.
Lo stile è spedito, sicuro e rapido, talvolta anche crudo e generoso di particolari accattivanti, ossessivi. I termini tecnici sono ridotti all’osso così come i riferimenti storici esterni alle vicende proprie del libro. Tutto è funzionale alla storia.
Forse l’unica incertezza del libro potrebbe essere rintracciata proprio nello stesso Rogerio, non abbastanza ambiguo, nonostante le chiare intenzioni dell’autore.
Tuttavia, questo romanzo storico è un affresco della realtà così-com’è-stata, al di là di ogni nostalgica visione della storia, idea che falsifica la verità invece che esaltarla. Non solo. Esso offre lo spunto per una seria riflessione dell’ambiguità intrinseca nei caratteri della nostra società e della potenza della visione alternativa: una vita senza morale vissuta sul principio dell’affermazione di sé ad ogni costo. L’onestà intellettuale di Evangelisti e la puntualità delle riflessioni “metafisiche” danno vita ad un libro da leggere.
Valerio Evangelisti
Tortuga
Mondadori.
16,50 euri per 330 pagine