Ginoidi di ieri, oggi e domani
di Fabrizio “Astrofilosofo” Melodia
Ginoide: femminile di androide, termine poco usato per indicare la tipologia di un essere artificiale modellata sull’aspetto femminile e non maschile.
Perché questa premessa? Altra lezione sul sessismo nel linguaggio? Sia mai. Mi serviva per introdurre una storia, che, unendosi ad altre, andrà a comporre quel grande mosaico – accennato nella nota precedente in “bottegs” – sull’arrivo del robot casalingo Nao all’interno del mio quadro cioè la mia personale ricerca sull’uomo artificiale e sull’universo che l’ha prodotto.
Andiamo con ordine, partendo dal mondo reale e in particolare da una ragazzina molto promettente nella scherma che alla tenera età di 11 anni viene colpita da quella che, almeno al principio, sembrava una banale influenza. Sarà invece una brutta forma di meningite batterica, che le causerà estese infezioni con relative necrosi sia agli avambracci che alle gambe e i medici dovranno amputarle per salvarla. Dopo 104 giorni di degenza ospedaliera, e con le cicatrici della malattia ancora presenti sul viso, Beatrice Vio, detta affettuosamente “Bebe”, sarà dimessa dall’ospedale. Affrontando di petto gli effetti della malattia, si rimetterà in pista ricominciando subito la scuola, mentre si sottopone alla riabilitazione motoria e alla fisioterapia al Centro Protesi INAIL di Vigorso di Budrio, in provincia di Bologna, noto per lo stato avanzato delle ricerche in campo di protesi a seguito di infortuni sul lavoro e non solo, il quale accoglie pazienti da ogni parte del mondo.
Grazie alla fisioterapia e alla riabilitazione, oltre all’innesto di protesi alla gambe per muoversi liberamente, Beatrice Vio riprende la carriera agonistica di schermitrice circa un anno dopo la malattia, grazie a una protesi speciale studiata appositamente per sostenere un fioretto. Da quel momento, con grande determinazione e solarità, Beatrice Vio macinerà vittorie su vittorie, arrivando a collezionare recentemente, quasi diciannovenne, la sua decima vittoria consecutiva che le apre la strada per i giochi Paraolimpici di Rio, fra non molto. Nel suo palmares figurano vittorie sia a livello individuale che a squadre nella scherma sia nel 2012 che nel 2013 e ora continua la scalata: vedremo dove questa piccola “cyborg” saprà arrivare con tutta la forza della sua giovinezza e la voglia di farcela.
Invece a Giusy Versace, nipote del ben noto stilista Gianni Versace, le gambe furono portate via a 28 anni, nel 2005: un brutto incidente mentre era in viaggio sulla Salerno-Reggio Calabria. Tornata a guidare nel 2007, dopo aver passato un lungo periodo in riabilitazione, coltiva la passione per la corsa, arrivando a correre con un paio di protesi in fibra di carbonio. Diventa così la prima donna italiana a correre con doppia amputazione agli arti inferiori, arrivando nel 2012 a un soffio dal record europeo correndo, ai campionati di Torino, i 100 metri in 15”50. A sorpresa, questo quasi record non le varrà la convocazione alle Paraolimpiadi di Londra nel 2012, ma questo, lungi dallo scoraggiarla, la porterà ad impegnarsi con costanza e determinazione crescente, abbassando i suoi tempi fino a stabilire il record ai campionati di Grosseto: 14’44 sempre sui 100 metri e 27”95 sui 200. Sempre a Grosseto, ha fatto il suo esordio correndo i 400, ottenendo il nuovo record italiano con il tempo di 1’04”21. Inoltre detiene il record italiano sui 60 indoor della sua categoria con il tempo di 9”67. Giusy Versace ha finora portato a casa 11 titoli italiani e si sta allenando per le prossime Olimpiadi di Rio per dare il meglio.
Sono soltanto alcuni esempi di “ginoidi” reali, donne metà umano e metà macchine: cioè donne con innesti cibernetici, frutto della più moderna tecnologia sviluppata nel centro ricerche dell’Inail.
Il filosofo Renato Cartesio, nel suo fondamentale testo «Principia Philosophiae» (1644) individuò – come ho già accennato nel precedente articolo e, se non l’avete ancora letto affrettatevi a farlo o incorrerete nello spoiler – nella realtà esterna un perfetto funzionamento meccanicistico, dove tutto è spiegabile in base alla “res extensa”, cioè la “materia” di cui tutti facciamo esperienza, e del suo movimento nello spazio: l’universo non è altro che un gigantesco meccanismo simile a un orologio, gli animali sono che ingranaggi di un meccanismo più vasto, automi meccanici attivati da movimenti semplici e costanti.
Per il buon Cartesio però, procedendo secondo il suo noto metodo, l’essere umano si discosta e si contrappone a tale classificazione degli animali: egli possiede la “res cogitans”, ovvero il “pensiero”, un’attività cosciente che non può essere spiegata in alcun modo meccanico.
Cartesio non è il primo a usare tali similitudini: anche il medico padovano Andrea Vesalio, nelle sue tavole anatomiche raccolte in «De humani corporis fabrica» (1537-1543) inaugura una nuova pratica di dissezione anatomica basata sull’osservazione diretta e non sul commento dei testi, fondando di fatto la nuova medicina rinascimentale, in cui è chiara l’assimilazione del corpo umano a una macchina, in quanto costituito da un insieme di organi osservabili e analizzabili in sé e per sé, di cui è possibile descriverne con accuratezza il funzionamento, in modo da formare un discorso scientifico su di esso.
Al dualismo cartesiano si opporranno duramente gli illuministi, soprattutto con il filosofo LaMettrie, ma anche Thomas Hobbes, i quali radicalizzeranno la critica, negando l’esistenza della sostanza del pensiero, assimilandolo al movimento meccanico della materia. Tali posizioni saranno portate all’estremo dal filosofo Denis Diderot, il promotore della nota «Enciclopedia», il quale avrà modo di affermare con estrema chiarezza che l’uomo, in ogni sua attività, è un prodotto della natura e quindi ogni sua creazione è strettamente “naturale”, per quanto innovativa sia. L’essere umano non può quindi in alcun modo superare l’orizzonte della natura per quanto grande sia il suo ingegno umano, che da essa comunque viene. Dunque naturalismo e meccanicismo sono strettamente uniti: mantenendo uniti il microcosmo e il macrocosmo del pensiero e del corpo, del mondo e del cosmo, di cui il Rinascimento si era fatto portavoce.
In era moderna, l’evoluzione di questo pensiero antidualistico ha dato origine alla cosiddetta teoria del cyborg, espressa in modo chiaro e preciso dalla filosofa e femminista statunitense Donna Haraway, docente di teoria femminista e scienza tecnologica alla European Graduate School di Saas-Fee in Svizzera nonché di teoria femminista e storia della scienza e della tecnologia nel dipartimento di Storia della Coscienza dell’Università di Santa Cruz in California.
Studiando attentamente le implicazioni della tecnologia e della scienza in generale sulla vita dell’uomo moderno, lo stesso ambito in cui casualmente ma non troppo si muove proprio la fantascienza, Donna Haraway riporta in luce il nucleo fondamentale della cultura europea, puntata sulla discussione tra dualismo cartesiano e suo superamento.
Tale dualismo non si manifesta solo come contrapposizione fra corpo e mente, ma anche fra naturale e artificiale, uomo e donna. Come si può notare, tale dualismo, come per Cartesio, non è affatto bilanciato, ma propende per il predominio di un elemento sull’altro.
Scrive la Haraway: «nella tradizione occidentale sono esistiti persistenti dualismi e sono stati tutti funzionali alle logiche e alle pratiche del dominio sulle donne, sulla gente di colore, sulla natura, sui lavoratori, sugli animali: dal dominio cioè di chiunque fosse costruito come altro col compito di rispecchiare il sè», in sostanza il dominio avviene quando una parte vuole primeggiare sul tutto, dimenticando che essa stessa è uguale agli altri.
Sostanzialmente il senso di alterità viene vissuto come paura dell’ignoto, di ciò che è altro da sé e dunque non conosciuto, timore divino: vissuta o con la fuga/rifiuto o con la distruzione dell’ignoto, in quanto non comprensibile e quindi percepito come ostile.
Ecco dunque come l’immagine del cyborg diventa non solo un’invenzione fantascientifica ma una metafora universale, un archetipo collettivo vissuto da tutti e in ogni cultura.
«Alla fine del Ventesimo secolo, in questo nostro tempo mitico, siamo tutti chimere, ibridi teorizzati e fabbricati di macchina e organismo: in breve siamo tutti dei cyborg (…). Il cyborg è una creatura di un mondo post-genere: non ha niente da spartire con la bisessualità» scrive la Haraway in «Manifesto Cyborg». E più avanti: «il cyborg è la nostra ontologia, ci dà la nostra politica […] Il cyborg è una sorta di sé postmoderno collettivo e personale, disassemblato e riassemblato. E’ il sé che le femministe devono elaborare».
Il corpo umano è in continua evoluzione grazie alla sua integrazione con la tecnologia dove i dualismi e le opposizioni vengono messi in discussione fino ad assurgere a nuova creatura in un mondo fortemente disumanizzato, mercificato e preda del Mercato, dove la civiltà si è arenata sulle logiche del neoliberismo e l’essere umano perde consistenza rispetto alla vittoria del capitalismo bancario e “sociale” che genera, distrugge e ricrea se stesso, in ciclo continuo, come ogni buona catena di montaggio che si rispetti.
Tale ispirazione e movimento sotterraneo sono stati raccolti in maniera potenti da vari autori moderni di fantascienza, accomunati dall’avvento della tecnologia e del massiccio uso della rete Internet, comunemente – e spesso in modo approssimativo – raggruppati dall’etichetta Cyberpunk.
Tale definizione verrà principalmente usata da Bruce Sterling, uno dei maggiori esponenti del “movimento”, ma sarà fortemente criticata da William Gibson, ben lontano dall’aver formulato un manifesto di tale movimento: «Non sono mai stato davvero convinto che il Cyberpunk fosse un movimento letterario in senso formale. Questa visione viene distorta dal piacere di Sterling nell’utilizzare la retorica di un movimento radicale, pur sospettando che un certo elemento di umoristica autoconsapevolezza si perda nella traduzione [….] Per Cyberpunk io intendo una tendenza della cultura pop degli ultimi dieci anni circa, qualcosa che noi possiamo scorgere nella narrativa, fumetti, musica, cinema, videoclip, moda».
Un movimento dunque che, se mai fosse mai realmente e formalmente esistito, si sarebbe estinto già alla fine degli anni ’80, lasciando la carcassa e i resti a marcire, fertilizzando bene il terreno e producendo interessanti risultati a cui nemmeno Gibson e Sterling avrebbero pensato.
Una delle tematiche ricorrenti del “cyberpunk” fu proprio quella del cyborg, ma essa era dichiaratamente ispirata a un romanzo precedente ovvero «Le tre stimmate di Palmer Eldritch» di Philip K. Dick, e da molti viene fatta risalire anche allo scrittore e filosofo Aldous Huxley con il romanzo «Il mondo nuovo» e in parte a George Orwell con «1984» e ad Alfred Bester con il romanzo «Destinazione stelle».
«”Dio promette la vita eterna” disse Eldritch. “Io posso fare di meglio; posso metterla in commercio”»: così afferma il protagonista del romanzo di Dick, l’avido e avventato imprenditore del futuro Palmer Eldritch, più un cyborg che un uomo, a cui un incidente ha portato via occhi, una mano e i denti, sostituiti da tecnologie, le tre stimmate del titolo.
Eldritch, imprenditore assolutamente sfacciato e che per i soldi venderebbe anche la madre, deve affrontare la feroce concorrenza di Leo Bulero, spregiudicato affarista che rifila ai terrestri residenti su Marte le perfette riproduzioni di case terrestri in miniatura, che ospitano all’interno Perky Pat, la bambola Barbie del futuro. Tutto ciò viene accompagnato dalla droga illegale ma tollerata Can-D, che permette di vivere nell’illusione di essere ancora sulla Terra.
Eldritch, nell’intento di surclassare Bulero, stringe un patto d’affari con gli alieni: l’incontro porterà a una mutazione radicale di Eldritch, che acquisirà la capacità di creare a piacimento illusioni iper realistiche per i terrestri, di cui lui ha il totale controllo. Realtà illusorie e visioni allucinate tendono a formare una prigione mentale da cui sembra impossibile uscirne.
Il finale aperto non dice se Eldritch, la cui futura morte pare inesorabile, sia stato veramente messo fuori gioco, dato che i personaggi continuano ad avere allucinazioni nelle quali le persone attorno a loro assumono i tratti spaventosi del cyborg.
Una conclusione provvisoria?
Mai come ora le donne sono chiamate a confrontarsi con una realtà sempre più capitalista e maschocentrica, dove la mercificazione del corpo e soprattutto il controllo mentale, la fanno da padroni. Mai come ora però il futuro non è androide, ma ginoide.
Ne riparleremo.
L’IMMAGINE
Bella vero? Fabrizio l’ha trovata in rete, dopodichè ha cercato l’autore o l’autrice… senza fortuna. Io pure ricordo questa immagine – o una molto simile – nella copertina di un libro però la memoria per ora non mi sorregge. Chi ci aiuta? Nel frattempo doverosamente scriviamo “copyright dell’immagine dei rispettivi autori. Nessuna infrazione di copyright è intenzionale”. (db)