Giustizia per “Miguel” e per il Chiapas

Radiologo, contadino, ciclo-attivista. Michele Colosio viveva e lottava al fianco delle comunità locali, San Cristobal del las Casas. 20 mesi dopo il suo omicidio il processo al presunto killer non è ancora iniziato. La famiglia e gli amici si mobilitano per chiedere la verità.

di Gianpaolo Contestabile (*)

 

 

La sera dell’11 luglio 2021, Michele Colosio viene ferito da un colpo d’arma fuoco dietro casa sua, nel quartiere Relicario, a San Cristobal de Las Casas, in Chiapas. Durante il tragitto in ospedale un infarto gli toglie la vita. Aveva 42 anni. I segni riportati sulle nocche delle mani dimostrano che Michele ha lottato fino all’ultimo con il suo aggressore per difendere la propria vita così come da anni si batteva per migliorare le condizioni di vita delle comunità con cui collaborava.

COLOSIO SI ERA TRASFERITO nel sud nel Messico nel 2013 dopo aver prestato servizio all’ospedale civile di Brescia lavorando come radiologo per cinque anni con i bambini del reparto di oncologia pediatrica. Conosceva già il Messico perché una volta finiti gli studi universitari aveva intrapreso un viaggio in America Latina collaborando come volontario con varie associazioni, fra cui Vientos culturales.

Dopo la morte del padre «ha fatto la scelta di licenziarsi e partire per San Cristobal perché la città gli era rimasta nel cuore – raccontano la mamma Daniela e il fratello Claudio -, diceva che era una città magica, che lì si respirava bene, c’è una certa armonia e le persone si vogliono bene».

SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS è stata per anni la meta di giovani provenienti da tutto il pianeta con l’obiettivo di costruire un mondo diverso. La vicinanza con le comunità zapatiste, i progetti sociali, gli spazi artistici e culturali hanno reso questa cittadina unica nel suo genere. Michele faceva parte di questo esercito internazionale di artigiani, artisti ed attivisti che hanno trovato una nuova casa nell’altipiano del Chiapas. A San Cristobal, collaborava con la Casa della Salute Comunitaria “Yi’bel Ik’ – Raíz del viento”, uno spazio di cura solidale e autogestito. Con l’associazione Rueda Libre Chiapas acquistava rottami di biciclette per aggiustarle e donarle ai bambini delle comunità. Aveva creato un suo logo, Biciketl, con cui stampava magliette con disegni di varie biciclette per promuovere uno stile di vita sostenibile.

LA MAMMA DANIELA RACCONTA che Michele aveva comprato un terreno in una comunità indigena a 12 chilometri da San Cristobal per realizzare i suoi progetti biosostenibili: «Amava e rispettava la madre terra – ricorda Daniela -, ripeteva che tutti dipendiamo da lei e per questo merita rispetto. Fedele al suo motto era entrato nell’ottica del contadino, gli piaceva sporcarsi le mani con la terra, allevava animali, coltivava e produceva formaggi».

L’uccisione di Michele sancisce per molti il segnale che l’utopia possibile di San Cristobal, il mondo dove costruire altri mondi, assomiglia oggi sempre di più all’incubo che si vive nel resto del paese.

Il primo gennaio del 1994, dal municipio di San Cristobal, la comandancia dell’EZLN lanciò al mondo un grido di pace ma oggi questa stessa città si sta trasformando in un’attrazione turistica dove i gruppi criminali riciclano soldi e sfilano armati per le vie del centro facendo fuoco indisturbati.

Le organizzazioni narcotrafficanti di Sinaloa e Jalisco si scontrano per il controllo del territorio con armamenti militari e le stesse popolazioni originarie finiscono coinvolte nell’economia criminale. Sempre più isolate le comunità zapatiste, a causa della pandemia e dell’avanzata dei gruppi armati criminali o legati alle strutture partitiche che reprimono i movimenti sociali.

MICHELE AVEVA DECISO di restare e di resistere dal basso con il suo lavoro comunitario senza lasciarsi intimidire dal clima di violenza che ormai abbraccia tutto il Chiapas.

Nel gennaio del 2022 viene arrestato il presunto killer di Colosio, ma resta un mistero il movente dell’omicidio e gli eventuali mandanti, dato che la scena del crimine non sembra essere compatibile con un tentativo di rapina finito male. Dopo più di un anno e mezzo il processo non è ancora iniziato, lo scorso primo marzo è stata rimandata per la terza volta l’udienza preliminare, ma la famiglia di Michele non demorde: «Sono passati 20 mesi da quando è successo questo orrendo crimine e purtroppo, per diversi motivi, siamo ancora in attesa che si svolga il processo. Chiediamo giustizia per Michele e vogliamo che si scopra la verità al più presto».

Tra il 2011 e il 2021, il numero di omicidi dolosi nello stato del Chiapas è triplicato e solo nell’1.6% dei casi viene condannato l’autore del crimine. Per rompere il muro di impunità sono nate iniziative da entrambi i lati dell’oceano per ricordare l’impegno sociale e ambientale di Michele Colosio. In Chiapas, a San Cristobal, i collettivi Rueda Libre e Huerta de Todos hanno organizzato una biciclettata per chiedere giustizia per Michele e omaggiare il suo impegno come attivista in difesa dell’ambiente. A Borgosatollo, in provincia di Brescia, la famiglia di Michele ha finanziato una piantumazione di alberi in sua memoria vendendo le magliette con il logo disegnato dal radiologo bresciano.

LA SPERANZA È CHE PRESTO si possano incontrare tutti i responsabili dell’agguato che ha tolto la vita a “Miguel”, come lo chiamavano in Messico, per rendere giustizia all’attivista italiano e alla sua famiglia, rompendo il clima crescente di omertà e paura in una cittadina che negli anni è stata simbolo di coraggio e solidarietà.

(*) Link all’articolo originale: https://ilmanifesto.it/giustizia-per-miguel-e-per-il-chiapas

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