Indigeni d’Argentina dimenticati
di David Lifodi
L’Argentina kirchnerista che persegue i criminali della dittatura ancora a piede libero nel Paese, fa propria la campagna delle abuelas per il diritto all’identità dei figli dei desaparecidos, è riuscita a rialzarsi dal default imposto dal Fondo Monetario Internazionale e in certi casi ha accompagnato il processo di recupero delle fabbriche da parte dei lavoratori, ha invece un comportamento assai ambiguo, per non dire ostile o reticente, quando si parla dei diritti indigeni.
La difficile situazione delle comunità indigene argentine è meno conosciuta di quella mapuche, peraltro repressa sistematicamente dallo stato cileno indipendentemente dal colore politico del governo di turno, ma su questo versante anche a Buenos Aires non si brilla per democrazia. A settembre ha fatto scalpore la morte di un giovane di 19 anni, trovato senza vita nella sua abitazione nella provincia di Formosa, all’estremo nord-est del paese. Il medico legale ha scritto sul referto di morte che il decesso è avvenuto per asfissia e le autorità locali hanno avuto buon gioco a dimostrare che si è trattato di un suicidio. Ma è stato un vero suicidio, oppure è stato “suicidato”? La seconda versione è quella più accreditata sia dai familiari del ragazzo sia da Félix Díaz, leader degli indigeni qom. Questo episodio è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso in un territorio dove i conflitti per la terra sono in crescita, al pari delle rivendicazioni legate al riconoscimento dei diritti che dovrebbero essere riconosciuti da un paese multiculturale quale è l’Argentina. Sul corpo del ragazzo sono state trovate ferite come se avesse cercato di divincolarsi dal suo aggressore. Lo stesso Félix Díaz, che ha subìto innumerevoli attentati a causa del suo impegno con la causa indigena, è testimone dello strano comportamento della polizia, che non indaga mai a fondo su episodi del genere e soprattutto evita dichiaratamente di entrare nei territori indigeni in quanto ritenuti “zone di conflitto”. Dalla lontanissima Buenos Aires non è mai giunta nemmeno una risoluzione di condanna che stigmatizzasse episodi di questo genere, così come il governo argentino non ha mai affrontato seriamente la questione indigena. La bancada peronista del Congresso Nazionale difficilmente ha lo spazio per muoversi in autonomia rispetto alle indicazioni della presidenta Cristina Kirchner, ancor meno sensibili alla causa indigena sono i congressisti della destra, legati a doppio filo al grande capitale e alle imprese transnazionali. Proprio il Congresso sta lavorando all’approvazione di un nuovo codice civile che, secondo gli indigeni, attenta al loro sviluppo culturale tramite una retorica che pretende di individuare quali sono i loro diritti e i loro bisogni senza una previa consultazione delle comunità stesse. Inoltre, il codice è assai ambiguo su una questione fondamentale quale il possesso e il diritto alla terra. La Costituzione riconosce contemporaneamente il possesso e la proprietà della terra, ma il nuovo codice affronta con molta vaghezza solo la questione della proprietà, un particolare non secondario per le comunità che abitano da secoli sulle terre ancestrali e intendono esserne padrone, con o senza il titolo di riconoscimento. In particolare, allo stato argentino non piace il sogno di Félix e della sua comunità, quello di lavorare per la costruzione di un’unica nazione indigena, così come non è ben vista dai paesi confinanti come Cile o Paraguay, poiché è considerata un’aspirazione di carattere separatista. In realtà nella sola provincia di Formosa sono presenti quattro etnie indigene: il loro sogno sarebbe quello di poter passare le frontiere da un paese all’altro vedendosi riconosciuto lo status di indio in base ad un’abolizione dei confini che identifica gli indigeni come argentini o paraguayani se si spostano da un paese all’altro. Ciò che vogliono gli indigeni d’Argentina è il riconoscimento delle proprie leggi comunitarie e della propria sovranità territoriale, spesso preda delle multinazionali, all’insegna di un paese pluriculturale e plurinazionale sull’esempio di Ecuador e Bolivia, pur con tutti i limiti di entrambi gli stati nell’applicare Costituzioni assai all’avanguardia. Inoltre, il programma della nazione indigena non può prescindere dal recupero dell’identità india e dalle sue prerogative, quali il riconoscimento dell’autorità massima della comunità, il Consejo de mujeres, hombres y jóvenes, all’interno del quale si decide la politica interna della comunità stessa. Del resto, la stessa Costituzione argentina, sulla carta, si impegna a riconoscere lo sviluppo delle etnie indigene che abitano sul territorio e ne rispetta la cosmovisione, anche se i governi provinciali e quello nazionale hanno sempre nicchiato sull’aperta richiesta di emancipazione da parte dei popoli indigeni. Tutto ciò non è casuale, soprattutto perché ogni provincia argentina ha una propria costituzione autonoma, per quanto su ciascun ordinamento giuridico sovrintenda la carta nazionale, che riconosce la presenza indigena sulle terre ancestrali. I mapuche d’Argentina, che abitano nelle province di Río Negro, Chubut e Santa Cruz (Patagonia) spiegano che le loro istanze dovrebbero essere tutelate dal Parlamento del Pueblo Mapuche, mentre lo stato argentino propone una previa consulta dei popoli indigeni che però si traduce in una sorta di intromissione da parte del governo centrale. É in questo contesto che i mapuche contestano al kirchnerismo una sostanziale immobilità che si è tradotta, lo scorso ottobre, nell’assassinio di Miguel Gálvan, ucciso a Santiago del Estero da un imprenditore del settore agropecuario. Di fronte all’estrazione mineraria, al saccheggio del territorio, alla contaminazione dei corsi d’acqua di cui si sono rese responsabili le transnazionali, la Casa Rosada non ha mosso un dito. Dal 2009 ad oggi otto indigeni d’Argentina sono morti in conflitti legati alla questione agraria, a quella ambientalista e nella difesa di quei diritti collettivi mai riconosciuti.
Los pueblos quieren mandarse a sí mismos, spiegano gli indigeni argentini, che scommettono sulla partecipazione, sulla democrazia comunitaria e sull’autogoverno, riprendendo per certi aspetti il mandar obedeciendo zapatista: l’Argentina che ha intrapreso un percorso degno e democratico, dovrebbe occuparsi anche di loro.
David il tuo post e’ come sempre di grande interesse. Segnalo a te ed ai lettori del blog, le due pagine centrali de Il Maifesto che parlano della situazione generale in Argentina. Inoltre oggi a Roma alle 15 presso la sede FNSI si dibattera’ su ” Liberta’ di stampa, nuovi scenari in America Latina. Il caso argentino”.