Gli uomini pesce

di Wu Ming 1 – recensione di Giuliano Spagnul

Gli uomini pesce non sono umani, ma sono attivi. Non sono pure risorse o prodotti passivi ma abitanti di mondi rispetto ai quali noi, umani, abbiamo “responsabilità emozionale, etica, politica e cognitiva”. (1) Ed è nostra, e solo nostra, la responsabilità etica; non di queste creature non umane.

A noi il duro lavoro di seguire la specificità a noi assegnataci, come specie (per caso e non per merito alcuno) di raggiungere quel livello superiore di coscienza che ci permetterebbe di vivere la nostra infinitesimale piccolezza, nel disinteresse “costante di dèi e diavoli [e di essere null’altro] a conti fatti, [che] una specie tra le specie” (p. 501) e al contempo “nutrire un sogno ben altrimenti ambizioso: la Terra intera, mediante la sua stessa sofferenza e mediante l’umano stesso che soffre, può innalzarsi, si innalza verso la vita e la salvezza.” (p. 584)

Wu Ming1 incontra nelle ultime pagine del suo ultimo romanzo Gli uomini pesce (Einaudi, 2024) Luciano Parinetto. Cita solo il titolo di un suo libro Faust e Marx, (2) quasi colto da timore reverenziale verso questo “maestro inquietante, professore di filosofia morale all’Università di Milano, una figura che ha cercato di coniugare il marxismo rivoluzionario con l’esoterismo, con l’alchimia, con la psicanalisi, cercando di dare forza alla rivoluzione partendo dalla tradizione esoterica.” (3)

Ed è da questo filo inquietante e un po’ “sulfureo” che il racconto va letto, quando giunti alla conclusione, possiamo ripercorrerlo a ritroso dopo che con uno schiocco di dita, ci ha illuso che possa esserci, appunto, una reale e soddisfacente conclusione.

C’è, si avverte qua e là, una certa reticenza a prendere troppo sul serio il personaggio che tira le fila e incoraggia a viaggiare il protagonista, “eroe”, ex partigiano Ilario Nevi, anche con l’uso di sostanze, per aiutarlo “a individuare e lenire sofferenze di lungo corso, momenti sepolti a cui aveva accesso solo nei sogni.” (p. 559) Il dottor Alfonso Maria Stegagno si presenta come medico chirurgo, specialista in dermatologia, venereologia, endocrinologia e malattie del metabolismo, professore emerito presso l’Università di Leiden, che riceve su appuntamento nello studio di Vicolo del Chiozzino 4b a Ferrara, nel biglietto da visita su cui è impressa la figura dell’Androgino ermetico (l’unione degli opposti, l’alchemico Rebis).

Personaggio centrale che continua l’opera già avviata dal padre, anche lui medico, di portare a compimento una “intrapresa”, vero e proprio “Magnum opus” in cui potersi realizzare “dal punto di vista scientifico, spirituale e, Ilario avrebbe aggiunto, politico”. (p. 560)

Con la morte di Ilario, strumento attivo, elemento portante dell’intero processo, il compito passerà alla sua nipote Antonia, geografa, impegnata in politiche ecocentriche, e inevitabilmente antagoniste.

Difficile raccontare la trama del romanzo non solo per il continuo intrecciarsi di trame e sottotrame, di rimandi anche relativi alle altre narrazioni del collettivo Wu Ming, ma soprattutto per la necessità di non svelarne segreti, tra cui quello centrale che si paleserà a un terzo del libro. Possiamo solo girarci intorno, raccontare alcuni aspetti tra i più intriganti, come quello dell’uso della lingua (delle lingue) che qui viene fatto.

Se “ogni lingua si costruisce sul ritmo costruttivo della civiltà di una nazione” (4) l’inglese di Sonic, il compagno di Antonia, è l’unica lingua che può parlare: quella di un neuroimperialismo che gli impedisce di usare altre lingue. La nascita di una nazione che apprende e ingloba con estrema facilità la pluralità di altre lingue, e dei loro mondi, si riflette nella paradossale condizione di Sonic che si esprime in uscita solo con l’inglese e in entrata con tutte le altre lingue che apprende velocemente. E in mezzo a questo input e output del dominio: l’italiano, il dialetto (i dialetti) le antiche parole di civiltà finite, le cancellature.

E la musica, e il territorio: anche quelli linguaggi con le gocce di pioggia e di sperma il primo e le bombe d’acqua il secondo.

È sempre una questione di ritmo per costruire o per distruggere, in una unione degli opposti che non può, né deve, trovare una sintesi che la superi una volta per tutte. “Tu sei la morte? – Le chiedo. Lei ride, rovesciando la testa all’indietro. – Ma no, che stereotipo… Io sto sognando e tu fai parte del mio sogno. – Anch’io sto sognando. – Ecco tutto si spiega: è l’intersezione dei rispettivi sogni.” (p. 458)

Territorio, geografia e lottare contro la disabitudine ad abitare, “quei campi che non erano più contado e dove non vedevi nessuno, eppure non più di tre generazioni prima pulsavano di vite, di destini, di lotte.” (p. 95) Le bonifiche “maschie” e livellatrici “dove prima regnava la palude, l’informe, l’incertezza, il regime aveva fatto apparire uno spazio asciutto, regolare e regolato, con confini netti, e l’impresa era citata tra le più gloriose.” (p. 525)

Quante cose ancora, poco epiche (mi perdonino i Wu Ming, tutti) ma pregne di humus, di sogni tanto quanto di incubi. Ma anche di incubi per gli avversari. Sogni di sabotaggi e di esplosioni: che per saper costruire occorre anche saper distruggere.

E soprattutto la consapevolezza che ogni costruzione deve avere delle fondamenta e “le fondamenta sono il corpo [e] al corpo si torna sempre.” (p. 399)

E allora proprio l’ultima, lasciatemela dire, l’invito a guarire dagli “strascichi della reclusione, della solitudine, della negazione della fisicità” del post lockdown pandemico, riscoprendo “l’eros che è inplicito in ogni relazione e, in buona sostanza, a scopare.” (p. 395) Forse troppo cruda, ma forse proprio per questo, necessaria verità per una (come vogliamo metterla?) foucaultiana volontà di sapere?

Ma infine, e la storia di questo romanzo? Ma perché raccontarvela quando potete leggerla da voi… e in ogni caso forse vale quello che ha scritto l’altro importante protagonista (anche lui ex partigiano) Erminio Squarzanti, che “a volte la pattumiera è la migliore recensione”. (p. 347)

Nota 1: Donna Haraway, Come una foglia, Tlon, 2024, p. 133.

Nota 2: Luciano Parinetto, Faust e Marx, Mimesis, 2004, citato nel libro, ma anche altrettanto importante Alchimia e utopia, Mimesis, 2023.

Nota 3: Edoardo Camurri, Insegnamenti, Pagina 3, Rai Tre https://www.raiplaysound.it/audio/2024/07/Pagina-3-del-23072024-1c4aa8d8-4f66-4c46-b6ab-9e4794f5b556.html

Nota 4: Antonio Negri, Lenta ginestra, Mimesis, 2023, p. 199.

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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