Governanti e virus: ci serve Socrate? O è meglio De Andrè?
Torna dopo tre mesi di pausa «Ci manca(va) un Venerdì» con Fabrizio Melodia, «astrofilosofo»: 168esima puntata
«Dai pensieri più profondi spesso si origina l’odio più mortale» affermava il filosofo greco Socrate, alla luce della deriva delle istituzioni dopo guerre e pestilenze.
In questi giorni sarà bene infatti non dimenticare la terribile pestilenza che sconvolse l’Atene di Pericle nel 430 avanti Cristo (alcuni contano così, altri preferiscono dire 430 avanti EC): fu un’epidemia senza precedenti e divampò in modo inaspettato. Secondo Tucidide – considerato il primo storico “scientifico” – il morbo arrivò dal porto fortificato del Pireo e contribuì a diffondersi a macchia d’olio. Ancora oggi storici e scienziati si dibattono nello stabilire se fosse realmente peste oppure febbre tifoidea, tesi che parrebbe confermata dal filosofo latino Tito Lucrezio Caro, il quale descriveva l’epidemia, nel suo poema «De rerum natura» (ma siamo nel I secolo aC) con i sintomi delle febbri emorragiche o tifoidee.
Tucidide scrisse – nell’opera «La guerra del Peloponneso» – queste considerazioni: «Correva quell’anno, a confessione universale, immune sovra tutti da malattie; o se qualcuno era di prima da qualche morbo afflitto, tutti si risolvevano in questo. Gli altri poi senza alcuna precedente cagione, ma interamente sani, erano all’improvviso compresi da veementi caldure al capo, da rossezza e infiammazione d’occhi, e nell’interno la gola e la lingua diventavano tostamente sanguigne, e mandavano alito puzzolente fuor dall’usato. Dopo di che sopravveniva starnutazione e raucedine, ed in breve il male calava al petto con tosse gagliarda: e qualora si fosse fitto sulla bocca dello stomaco lo sovvertiva, e conseguitavano tutte quelle secrezioni di bile, che dai medici hanno il loro nome; con grandissimo travaglio».
Il morbo che si diffuse ad Atene fu una vera catastrofe, tanto più che non vi erano state avvisaglie di alcun genere e prima di prendere provvedimenti ormai la malattia era dilagata.
La stima dei morti fu di almeno due terzi della popolazione e la malattia colpì anche Pericle, portandolo rapidamente alla morte. Anche molti medici, impotenti in quanto ignoravano la natura del morbo, fecero una brutta fine. I roghi dove venivano bruciati i cadaveri divampavano alti a tal punto che gli spartani, vedendoli, decisero di non invadere Atene per timore di venire contagiati. La città impiegò molto tempo per rimettersi in piedi, venendo visitata dalla malattia altre due volte, nel 429 aC e nell’inverno del 426 aC.
Tito Lucrezio Caro chiosò con arte e sapienza: «E a molti orrori li indussero gli eventi repentini e la povertà. / Così con grande clamore ponevano i propri consanguinei / sopra roghi eretti per altri, e di sotto accostavano / le fiaccole, spesso rissando con molto sangue / piuttosto che lasciare i corpi in abbandono”.
Con l’Atene di Pericle scompariva la capitale della filosofia e delle arti, dando in qualche modo il via alla fine della città Stato;alla fine della guerra del Peloponneso sarebbe stata battuta dagli spartani.
Tragedie e “sofismi”. Infatti sappiamo che Socrate dibatteva tra i sofisti ai quali interessava solo dibattersi fra relativismi e successi nell’agorà: come Protagora e Gorgia, ma anche Ippia e Trasimaco, per il quale la giustizia è l’utile del più forte e per essere forte devi diventare sofista. Precursori degli odierni “life coach” aziendali e vari guru?
Parole false e ambiguità con Socrate a dipanarsi tra pensieri profondi che generavano odio e confusione, mentre andava in piazza chiedendo se fosse meglio avere scarpe o un mantello, oppure “cosa fosse più meritevole o cosa significasse vero sapere”.
Socrate fu accusato di ateismo ed empietà da Anito e Licone, due esponenti della restaurata “democrazia” ateniese (quella scampata alla peste) in quanto con il suo continuo interrogare dimostrava spesso la falsità dei ragionamenti sofisti e metteva alla berlina il cattivo operato dei governanti incompetenti.
Nonostante la sua appassionata difesa, Socrate non riuscì a confutare le accuse di aver mancato nei riguardi degli dèi della città e quindi di aver cospirato contro le istituzioni, essendo religione e cittadinanza unite a doppio filo. Socrate ebbe a dire: «Le parole false non solo sono cattive per conto loro, ma infettano anche l’anima con il male».
Come ora le fake news – sia istituzionali che dei social – infettano l’anima e così la verità pare disgregarsi nella dichiarata pandemia da coronavirus, per lasciare spazio agli appelli dei personaggi famosi correlati da hashtag.
#iorestoacasa pare essere la “Call to action” (chiamata all’azione in gergo pubblicitario ovvero il caldo invito all’acquisto) più in voga ma come cantava Max Pezzali «Nelle strade c’è il panico ormai / Nessuno esce di casa, nessuno vuole guai / Ed agli appelli alla calma in TV / Adesso chi ci crede più».
Dalla Storia con la “S” maiuscola si può imparare? O la conclusione può essere affidata al menestrello Fabrizio De Andrè, il quale cantava in tempi non sospetti: «Per strada tante facce / Non hanno un bel colore / Qui chi non terrorizza / Si ammala di terrore / C’è chi aspetta la pioggia / Per non piangere da solo / Io sono d’un altro avviso / Son bombarolo / Intellettuali d’oggi / Idioti di domani / Ridatemi il cervello / Che basta alle mie mani / Profeti molto acrobati / Della rivoluzione / Oggi farò da me / Senza lezione».