Governare la pandemia: traiettorie, margini e opportunità di…
… di un excursus illiberale.
di Alessandro Ugo Imbriglia
Perché si governa una pandemia? A questa domanda segue una risposta piuttosto ovvia: la pandemia si governa per salvare vite umane. Negli ultimi due anni, questa semplice e incontrovertibile risposta ha esaurito l’intero spazio entro il quale devono essere rintracciate le spiegazioni al quesito iniziale. Tale riduzionismo ha eluso, sul piano esplicativo, l’individuazione dei fattori “sotterranei” che, invero, hanno contributo a ingenerare specifiche modalità di governo della pandemia e che, per tal motivo, non possono passare sottotraccia. Alla domanda Perché si governa una pandemia? la risposta esatta è la seguente: la pandemia si governa per salvare vite umane, ma non solo per salvare vite umane.
Introduzione: per un’architettura dell’accesso
Dal 31 gennaio 2020 al 31 marzo 2022, periodo coincidente con la durata dello stato d’emergenza, le formule di socialità e i relativi spazi di soggettivazione hanno assunto la forma di perimetri circoscritti, con un accesso regolato attraverso specifici criteri di valutazione e monitoraggio.
Le riflessioni proposte in questa sede, lungi dal voler fornire una definizione generale e onnicomprensiva del termine potere, orienteranno il focus dell’indagine sulle modalità, sia preventive che repressive, attraverso cui gli apparati di potere hanno esteso e perfezionato – a partire dalla dichiarazione dello stato d’emergenza – le proprie capacità operative. Anziché concentrare l’analisi sul formalismo concettuale della categoria di potere, sarà concessa, sul piano dell’argomentazione, ampia precedenza alla descrizione e all’esplicazione degli elementi operativi che connotano il potere stesso.
Le modalità di accesso ai perimetri di socialità – scuole, uffici, sedi aziendali, musei, stadi, mezzi pubblici, ristoranti, bar etc. – sono state definite e codificate a partire dal possesso individuale di particolari requisiti e dalle relative certificazioni. Questa architettura dell’accesso si è imposta sulla base di precise proposizioni scientifiche e sempre nuove applicazioni tecnologiche, al fine di ridurne al minimo il margine di errore ed elevarne il grado di standardizzazione.
Condotta individuale e agire sociale: l’avvento di una codifica integrale
Nel periodo preso in esame, la standardizzazione dei criteri di accesso, le modalità entro le quali il movimento e l’accesso erano consentiti, i requisiti di cui bisognava disporre per ottenere l’accesso e le certificazioni necessarie alla formalizzazione di tali requisiti hanno formato – attraverso la loro complementarietà e interdipendenza – un dispositivo unitario. Ma esattamente cos’è un dispositivo?
«Ciò che io cerco di individuare con questo nome è, innanzitutto, un insieme assolutamente eterogeneo che implica discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali e filantropiche, in breve: tanto del detto che del non-detto, ecco gli elementi del dispositivo» (Foucault, Dits et écrits, vol. III, pag. 299-300, in Agamben, 2020).
Nella sua manifestazione più estesa e vistosa, il dispositivo pandemico ha attivato e collaudato le seguenti “tecniche”: lockdown, comitato scientifico, tessera verde, tamponi, certificazioni vaccinali, sanzioni amministrative, accessi differenziati e margini di movimento modulati, in relazione a determinati luoghi ed entro specifiche aree.
A partire da tali evidenze, e ai fini di una corretta analisi, è necessario ribadire la cifra costitutiva dell’approccio foucaldiano al potere: il “dispositivo” è anzitutto da intendere come un combinato di pratiche e meccanismi – linguistici e non linguistici, giuridici, tecnici e militari – che hanno lo scopo di rispondere a un’urgenza, e di ottenere un effetto immediato (Agamben, 2020). A questa fondamentale delucidazione, e in vista di un’adeguata comprensione delle argomentazioni proposte nel seguente contributo, sopraggiunge la necessità, sul piano analitico, di fornire una seconda declinazione di “dispositivo”, la quale resta inevitabilmente agganciata a quella evidenziata da Agamben. La categoria di dispositivo, nella risposta immediata a un’urgenza, persegue l’ottenimento di un effetto immediato, nella misura in cui tale effetto si traduce, immediatamente, in un’opportunità. L’urgenza è meritevole di risposta, giacché costituisce l’opportunità unica, e dunque strategica, dalla cui realizzazione dipende l’estensione del potere e il relativo consolidamento, nella propria posizione di dominio.
Il dispositivo fabbricato e attivato con lo scoppio della pandemia ha assolto due specifici compiti:
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Sperimentare e collaudare quali tecniche1, in ordine di efficienza e di efficacia, avrebbero agevolato i compiti di osservazione e verifica. Gli apparati di potere, in questa prima fase, hanno “messo a punto” tecniche che, nel corso della pandemia, sarebbero evolute secondo la logica della perfettibilità2.
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Classificare in categorie esatte i soggetti e calibrare con particolare dovizia i provvedimenti di ordine penale e di ordine amministrativo in relazione diretta con tutte le possibili infrazioni. Il diritto e la sua normatività hanno progressivamente eliminato gli spazi di indeterminatezza entro i quali gli apparati di potere correvano il rischio di non imporre la propria esclusiva competenza e la propria discrezionalità.
Nel perseguimento di tale scopo, le libertà fondamentali – libertà di movimento, libertà di associazione e riunione e libertà di manifestazione – sono state tradotte in “quote di diritto” modulabili, che il cittadino cede per ottenere, in cambio, quote di altri diritti, come il diritto alla salute e il diritto al lavoro. Le libertà rassomigliano così a un nuova tipologia di bene giuridico, giacché disponibili in quantità limitata e variabile.
Le libertà hanno assunto, durante lo stato d’emergenza, le sembianze di grandezze fisiche, poiché sottoposte a criteri di osservazione, misurazione e applicabilità. I diritti fondamentali hanno acquisito una traducibilità empirica: la loro gradualità applicativa è stata posta in relazione diretta con delle soglie di riferimento. Tali soglie hanno codificano, con esattezza scientifica, i margini di condotta individuale, e quindi di libertà, entro i quali l’individuo poteva e doveva agire. L’esempio più evidente, che attesta l’effettiva “proceduralizzazione” nella concessione dei diritti fondamentali, ha riguardato la definizione e l’attuazione delle zone colorate – zona gialla, zona arancione e zona rossa – sino alla definizione di una zona neutra, quasi esente da limitazioni, la zona bianca. Ad ogni colore corrispondevano specifiche limitazioni della libertà personale. Il Ministero della Salute, coadiuvato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) aveva definito, e, solo successivamente, rivisitato, i parametri che, direttamente o indirettamente, avrebbero determinato la regolazione della condotta individuale e dunque dell’agire sociale, entro specifici indicatori. Sino al gennaio 2021, tali indicatori erano raggruppati in tre fondamentali macro-aree3. Il Decreto-legge n. 105, del 23 luglio 2021, selezionava invece due fondamentali parametri:
1) il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva per pazienti affetti da Covid-19
2) il tasso di occupazione dei posti letto in area medica per pazienti affetti da Covid-194.
La proceduralizzazione delle libertà fondamentali ha dunque osservato specifici criteri profilattico-sanitari, a partire dai quali gli apparati di potere hanno parcellizzato e calibrato i diritti costituzionali, modulando l’agire sociale dei cittadini. L’emblematica evidenza di questa argomentazione è confermata da un documento governativo di nove pagine, contenente una tabella a doppia entrata, con le attività consentite senza/con green pass “base”/”rafforzato5. Il documento è stato pubblicato dal governo italiano per definire e chiarire ai cittadini le proprie libertà, e quindi le effettive possibilità di movimento e accesso ai luoghi, dal 6 dicembre 2021 al 15 gennaio 2022. Alla voce “attività” erano elencate le specifiche azioni individuali sottoponibili a classificazione, limitazione ed eliminazione. Le attività corrispondevano, in realtà, a libertà di movimento parcellizzate; si trattava, con tutta evidenza, di “frammenti” di libertà sottoposti a misurazione scientifica. I casi di limitazione e ed eliminazione delle “attività” erano codificati, nella tabella, dall’incrocio delle “attività” con particolari requisiti e condizioni: il colore delle zone, il possesso del green pass “rafforzato” e il possesso del green pass “base”. Va da sé che, a seguito della parentesi emergenziale degli ultimi due anni, le libertà costituzionali possano essere concepite, in via sostanziale e formale, come oggetti modulabili, modificabili. Il processo marxiano di reificazione, dopo aver investito il mondo della natura, cioè la materia prima, e della condizione umana, quindi la forza-lavoro salariata, ha invaso la sfera delle libertà fondamentali sancite dalle carte costituzionali, riducendo anch’esse a merce di scambio. Il potere, avendo fornito alle libertà l’attributo tipico delle merci, cioè il valore di scambio, è stato immediatamente in grado di quantificarne il corrispettivo controvalore: a una determinata area di rischio pandemico è corrisposta una specifica forma di limitazione delle libertà personali (zona colorata e tessera verde); a una particolare condizione sanitaria e ospedaliera (percentuale di posti letto occupati nei reparti ospedalieri) è corrisposto un grado di limitazione delle libertà personali “proporzionato”. La vita sociale è stata immediatamente tradotta in una griglia descrittiva ed esplicativa. Da ciò si apprende che il disciplinamento, ad oggi, non consiste esclusivamente nella irreggimentazione foucaldiana del corpo, bensì evolve – in misura particolarmente rilevante – nella codifica integrale dell’accesso consentito al corpo stesso, entro, per e da uno specifico luogo6. Al pari dei campi relativi alle scienze della natura, si ottiene un “campo”, altrettanto scientifico, della vita sociale. I criteri, le valutazioni e il controllo dei corpi tendono alla progressiva acquisizione di un metodo sperimentale: le libertà sono un elemento isolabile, ridotto a oggetto di ricerca, costantemente manipolabile e corruttibile. Questo riduzionismo scientifico ed empirico sottomette le libertà costituzionali e le riduce al rango di oggetti barattabili e/o contrattabili, compromettendone l’effettiva inviolabilità. Attraverso l’introduzione di specifiche limitazioni alle libertà personali, si è ottenuta un’evidente reificazione dei diritti fondamentali, la quale ha conferito alle libertà il requisito fondamentali delle merci, la loro negoziabilità.
Stabilendo inoltre una proporzionalità scientifica fra indicatori epidemiologico-sanitari e misure limitative della libertà personale, gli apparati dello Stato sono stati in grado di collocare, nella vita quotidiana dei cittadini, un inedito dispositivo di coercizione, che si connota a partire da tre fondamentali requisiti:
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Il grado di responsività delle misure restrittive, in rapporto all’evoluzione degli indicatori epidemiologico-sanitari, è elevatissimo. L’attivazione di una specifica zona colorata è pressoché immediata.
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L’attivazione di una specifica zona colorata e le conseguenti misure restrittive non richiedono la “messa in moto” di una particolare macchina amministrativa. Le norme, corredate da specifiche restrizioni e sanzioni, sono ormai pre-codificate.
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Gli apparati di polizia non subiscono significativi sovraccarichi di lavoro, poiché gli obblighi e le sanzioni, essendo perfettamente “collaudati”, svolgono un’efficacia azione preventiva.
A partire da questi tre fattori, è possibile evidenziare un caratterizzante il potere oggi più di ieri. La forza di un dispositivo di potere non risiede semplicemente nella generica facoltà di imporre, ex post, una specifica limitazione. Il reale impatto di un dispositivo si “colloca” nella capacità di pre-attivare e attivare, ex ante, un cluster organico di limitazioni, attraverso una tipologia di “innesco” automatica o semi-automatica.
Queste osservazioni conducono a una fondamentale conclusione: la forza del potere non si esplica nel suo costante esercizio, ma nella sua persistente e istantanea “attivabilità”. L’impatto del potere non si dà, semplicemente, nel suo dispiegamento effettivo, ma nella perenne possibilità di attivare le proprie tecniche, le quali, il più delle volte, possono essere “a riposo”. La forza del potere risiede, anzitutto, nella pre-codifica dei suoi interventi e nell’effettiva automazione del suo dispiegamento. Il potenziale degli apparati deve poter tradursi, in ogni luogo e in qualsiasi momento, in potenza concreta. In questo fondamentale spazio analitico (Foucault, 2014), lo Stato, durante la pandemia, ha affermato e consolidato la propria estensione e le proprie conquiste.
La compromissione della “libertà negativa”: uno strappo storico
Attraverso una gestione parametrica del potere, il sovrano ha tentato di affermare e consolidare un grado di invasività e di regolamentazione delle condotte individuali degno dei più efficienti totalitarismi. La proliferazione e la pervasività delle norme legislative varate durante lo stato d’emergenza hanno eroso, de facto, il principio della libertas silentium legis, riducendo enormemente la quantità delle condotte d’azione che, sino al marzo 2020, non erano mai state regolate dalle leggi. Con l’imposizione dello stato d’emergenza, il perimetro entro il quale ogni cittadino poteva esercitare una libertà certa, “intendendo per libertà quella parte del diritto naturale che viene rilasciata ai cittadini in quanto non è limitata dalle leggi civili” (Hobbes, De Cive, XIII, 15), ha subìto una contrazione abnorme. All’aumentare dei movimenti e delle azioni regolate dalle leggi sono aumentate, almeno proporzionalmente, il numero delle attività comandate e/o proibite.
«Siccome i limiti alle nostre azioni in società sono posti generalmente da norme (siano esse consuetudinarie o legislative, siano sociali o giuridiche o morali), si può anche dire, com’è stato detto per lunga e autorevole tradizione, che la libertà in questo senso, cioè la libertà che un uso sempre più diffuso e frequente chiama ‛libertà negativa’, consista nel fare (o non fare) tutto ciò che le leggi, intese le leggi in senso lato, e non solo in senso tecnico-giuridico, permettono, ovvero non proibiscono (e in quanto tali permettono di non fare)» (Bobbio, 1978).
A partire da questo presupposto, ciò che desta preoccupazione, dal giorno in cui è stato dichiarato lo stato d’emergenza, non è esclusivamente la tipologia giuridica delle disposizioni che si sono susseguite, bensì la consistente contrazione degli spazi sociali e delle condotte individuali per i quali la legge, sino alla dichiarazione dello stato d’emergenza, non ha mai, nella storia dello Stato moderno, disposto precetti. Seguendo i princìpi tracciati da Hobbes, e coerentemente evidenziati da Bobbio, la libertà può realizzarsi in luoghi tendenzialmente “anomici” o, con maggiore probabilità, entro quei “segmenti” di condotta individuale per nulla o scarsamente regolati. Per tal motivo, la regolamentazione assolutamente inedita di questi specifici spazi ha segnato l’impossibilità, da parte dell’individuo, di seguire la propria volontà. Poiché “la libertà degli uomini sotto un governo consiste […] nella libertà di seguire la mia propria volontà in tutto ciò in cui la norma non dà precetti” (Locke, Secondo Trattato sul Governo, IV, 22), la sottrazione progressiva dei luoghi in cui la condotta non è normata, preclude, a priori, la possibilità di esercitare pienamente la propria libertà, indipendentemente dalle funzioni manifeste o latenti che la norma si prefigge. Prova tangibile e maggiormente esemplificativa dell’argomentazione appena proposta è riscontrabile alla lettera e, dell’ art. 3, nel DPCM datato 14 febbraio 2021:
«è consentito svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione purché comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona e con obbligo di utilizzo di dispositivi di protezione delle vie respiratorie; è altresì consentito lo svolgimento di attività sportiva esclusivamente all’aperto e in forma individuale».
Il grado di pervasività della norma costituisce probabilmente un inedito storico. La disposizione compromette, inevitabilmente, la libera facoltà dell’individuo di decidere entro i margini personalissimi della propria esistenza quotidiana. L’imperativo è a tal punto invasivo, chirurgico e capillare, da annullare, in un sol colpo, i margini a partire dai quali sia possibile sostenere e comprovare l’esistenza di un’autonomia minima individuale all’esterno del proprio ambiente domestico. Nel momento in cui ogni minimo, parzialissimo “segmento” della vita quotidiana è normato, e su di esso grava il peso dell’impedimento, quali spazi restano estranei e dunque liberi dalla norma? Quali spazi concedono l’esenzione dal vincolo normativo, e, più specificatamente, dalla limitazione della libertà personale? La contrazione dei margini di libertà all’agire individuale ha registrato, tra il 2020 e il 2022, proporzioni estremamente significative, e, al contempo, difficilmente rintracciabili, sul piano sostanziale e formale, nei totalitarismi del Novecento, negando, in definitiva, l’elemento cardine e primo di ogni società libera, il principio di libertà negativa.
In questo contesto, e a partire dalle dinamiche sopra evidenziate, il diritto alla salute è stato talmente “ingombrante” da eclissare le libertà costituzionali, come la libertà di movimento, la libertà di riunione e la libertà di manifestazione. Il potere ha “imposto”, paradossalmente, il diritto alla salute: superata una specifica soglia, il diritto alla salute è tramutato, grottescamente, in un “dovere alla salute”. Si è stabilita una gerarchia dei diritti, entro la quale vige un diritto “ontologicamente” superiore che pare debba prevaricare, incondizionatamente, su tutti gli altri diritti fondamentali. Conseguentemente, i diritti fondamentali, quei diritti che sino al marzo 2020 possedevano lo stesso status del diritto alla salute, hanno ceduto la loro fondamentale peculiarità: sul piano fattuale e sul piano teoretico-giuridico, i diritti connessi alla libertà di movimento, alla libertà di riunione e alla libertà di manifestazione non sono più stati identificati entro il requisito dell’inalienabilità. All’ipertrofia del diritto alla salute è corrisposta l’atrofia, e dunque l’accessorietà, dei restanti diritti. Il diritto del lavoro – del rapporto di lavoro e delle relative condizioni contrattuali e salariali – è stato subordinato a criteri e formule sanzionatorie estranee, almeno sino ad oggi, al perimetro giuslavorista. In un contesto tanto eccezionale quanto paradossale, il diritto alla salute è parso imporsi sul diritto al lavoro, determinandone la netta contrazione in termini di tutele e rivendicazioni. L’adozione del green pass ne costituisce un esempio.
L’attivazione delle misure limitative della libertà personale7 sono state legittimate dalla diffusione di precise asserzioni scientifiche, volte a giustificare, sistematicamente, l’imposizione di dispositivi di controllo, tracciamento e accesso. Molti fra i postulati scientifici e medici, riconducibili alle discipline della virologia e dell’epidemiologia, sono stati posizionati entro un ordine del discorso di carattere tautologico e, in definitiva, strumentale, la cui costruzione e diffusione ha motivato, e quindi giustificato, in itinere, la progressiva erosione delle libertà fondamentali.
Le limitazioni delle libertà personali hanno trovato specifica applicazione entro un dispositivo di disciplinamento e controllo: le tecniche di controllo hanno incluso, ad esempio, la super app, l’app Covid-19, il totem e il contact tracing; le tecniche di disciplinamento sono state articolate nel distanziamento fisico, nella collocazione spaziale dei posti a sedere per i luoghi di socialità, nell’utilizzo obbligatorio della mascherina e in una serie di stringenti raccomandazioni riguardanti il contatto fisico. La saldatura di questi elementi eterogenei, entro una totalità inter-funzionale e organica, ha collaudato un dispositivo di “compensazione” in grado di supplire alla scarsità o all’assenza delle risorse strutturali – sanitarie e socio-assistenziali – volte a garantire la tutela del diritto alla salute.
Cause ed effetti di un liberismo illiberale: il principio di adeguamento alla logica dell’efficienza
Entro questa logica, l’ordine discorsivo imposto dalle forze governative e mediatiche non ha fatto altro che sottrarre dal dibattito una fondamentale specificità della logica neoliberista, specificità da cui sono scaturite, fra il 2020 e il 2022, prevedibili conseguenze: lo Stato ha riversato le proprie responsabilità sui singoli cittadini, sovraccaricando questi ultimi di carenze materiali, doveri sociali e obblighi morali che, nel verso opposto, avrebbe dovuto assumere a sé, attraverso i propri apparati e le proprie funzioni. Il singolo individuo è stato chiamato a compensare l’effettiva deresponsabilizzazione dello Stato e ha dovuto sobbarcarsi i costi, nonché le conseguenze, di una strategia di disinvestimento pluriennale:
- la spesa sanitaria pubblica, cioè quella che finanzia il SSN ha subìto negli anni un’imponente riduzione: il tasso di crescita medio annuo, che era 7,7 % nel quinquennio 2001-2005, è sceso al 3,1% nel 2006-2010, quindi allo 0,1 % nel 2011-2017. A causa del definanziamento della spesa sanitaria pubblica, nel periodo 2010-2019, sono stati sottratti al SSN oltre 37 miliardi. In Italia, la spesa media pro-capite è ora inferiore del 35% a quella francese e del 45% a quella tedesca. Il definanziamento ha comportato una drastica riduzione del personale e dei posto letto, nonché la riduzione delle dotazioni tecnologiche. La sanità pubblica ha perso 8000 medici negli ultimi anni. È plausibile che entro il 2025 saranno circa 50.000 medici con la Legge Fornero e quota 100 a lasciare il sistema sanitario nazionale. Si sono persi inoltre 40.000 operatori sanitari, tra cui migliaia di infermieri professionali. Attualmente gli operatori sanitari sono 5,8 per mille contro gli 8,5 per mille dell’UE. Per quanto concerne i posti letto si è passati da 5,8 posti letto ogni mille abitanti nel 1998 a 3,6 nel 2017, contro una media europea di 5 posti letto per ogni mille abitanti. In termini assoluti si è passati da 530.000 posti letto nel 1981 a 191.000 posti letto nel 2017. Prima dello scoppio della pandemia in Italia si contavano solamente 5.400 posti di terapia intensiva (tra pubblico e privato) [fonte ANAAO] contro i 15.000 di cui disponeva il Sistema Sanitario Nazionale nel 19808.
Ove lo Stato non assolve alle proprie funzioni operative, sottraendosi a specifici obblighi, sia etici che costituzionali, il cittadino è chiamato ad assumere un surplus di responsabilità: limitare i propri spostamenti fisici, rispettare il coprifuoco, indossare la mascherina, disporre di un green pass per accedere a luoghi di socialità e lavoro sono solamente alcuni degli imperativi a cui è il cittadino è stato sottoposto. L’assunzione di tali responsabilità ha avuto certamente la finalità di ridurre il più possibile l’accesso alle terapie intensive e ai reparti ospedalieri, garantendo un alleggerimento strutturale del sistema sanitario; al contempo, però, il cittadino ha subìto il sovrappeso di una logica di governo efficientista, la quale logica è consistita, e consiste, nella riduzione sistematica dei costi e in una programmazione di investimenti correttivi, anziché strutturali.
Contingentemente, le limitazioni delle libertà costituzionali sono state poste in funzione della tutela della salute pubblica, ma, sul piano strutturale, hanno costituito un brutale adeguamento delle libertà e delle condotte individuali agli effetti di un approccio aziendalista dello Stato, in materia sanitaria e socio-assistenziale. La contrazione delle libertà fondamentali è stata più che proporzionale alla contrazione delle spese per welfare e sanità. La carenza strutturale delle risorse sanitarie necessarie a fornire una risposta ai rischi ei ai danni epidemici ha trovato, tra il 2020 e il 2022, un effettivo bilanciamento nella sottrazione delle libertà di movimento, delle libertà di manifestazione e riunione e quindi nell’accesso ai luoghi di socialità. Lo Stato ha perpetuato il paradossale e ipocrita tentativo di garantire il diritto alla salute attraverso la sottrazione sistematica dei diritti fondamentali.
Potere e prassi di autogiustificazione
Il regime discorsivo con il quale si è tentato di introdurre un nuovo genere di disciplinamento ha formulato e perfezionato molteplici aree semantiche, le quali possono essere riassunte nelle seguenti declinazione:
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Le limitazioni delle libertà personali costituiscono misure necessarie a garantire la salute e la vita dei cittadini.
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Il singolo cittadino è chiamato a un atto di responsabilità individuale e sociale. Egli deve agire coscienziosamente, adeguandosi, senza riserve, alle misure limitative della libertà costituzionali.
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Il green pass, al pari delle misure limitative della libertà personale precedentemente adottate, è una misura atta a favorire la prevenzione dal contagio.
I soggetti che manifestavano il loro scetticismo o attuavano forme sociali di dissidenza, attraverso una sostanziale strategia di etichettamento (Goffman, 2003), sono stati identificati entro connotazioni univoche e sovra-rappresentative, che corrispondevano, grossomodo, alle categorie di No Vax, Ni Vax, No Green Pass. Tali gruppi sociali sono stati concepiti e “narrati” come fattori di rischio strutturali, in grado di mettere a repentaglio lo stato di salute e dunque la vita della collettività. Entro una logica di sostanziale polarizzazione, i no vax, i ni vax e i no green pass sono stati posti in netto contrasto con l’ampissima schiera dei cittadini responsabili e coscienziosi. Il manicheismo (Morin, 2005) con il quale è stato “manipolato” tale dualismo non ha fatto altro che esacerbare le dinamiche oppositive che, nella logica in group versus out group (Tajfel e Wilkes, 1963), sono connaturate al binomio stesso: i membri del gruppo “esterno”, generalmente, per il solo fatto di appartenere a un gruppo altro, oltre a essere percepiti, almeno tendenzialmente, come “tutti uguali”, sono stati descritti e raccontati, in particolar modo dai media mainstream, come portatori di un alto grado di pericolosità sociale. Nella stereotipizzazione implicita alle dinamiche sociali è stata innestata, scientemente, una tattica di demonizzazione del “gruppo esterno” (dei no vax in particolar modo). Tale meccanismo ha escluso, a priori, le possibilità di comprensione profonda, di dialogo e, in primo luogo, di accettazione dell’altro.
A partire da questa frattura, gli apparati governativi – coadiuvati dal fondamentale dispiegamento della loro potenza mediatica, e, nello specifico, dalla sovraesposizione dei propri intermediari culturali (Bourdieu, 1983) – hanno catturato la sfiducia che il corpo sociale nutre nei confronti delle “classi dirigenti”, e, attraverso una sofisticata operazione, tale sfiducia è stata “dirottata” (veicolata) dagli apparati di potere al corpo sociale stesso. Anziché defluire verso l’esterno, l’attribuzione di responsabilità, e tutto ciò che ad essa consegue, è rifluita verso l’interno, in direzione di specifici strati e gruppi sociali. La sfiducia della società civile maturata nei confronti del potere, nei confronti della sua parte visibile e formale – il potere esecutivo e legislativo – ha virato, a un tratto, su se stessa, e, in questa traiettoria, ha assunto una manifestazione emotiva assolutamente differente: la sfiducia è tramutata in diffidenza. Mentre la sfiducia trova, generalmente, il suo correlato emotivo nella rassegnazione, nella sterile disillusione e nel generico disinteresse, la diffidenza assume la postura opposta. La diffidenza, a dispetto della sfiducia, tiene anzitutto stabile, e dunque attiva, la soglia di allarme e timore nei confronti di un oggetto determinato. La diffidenza innesca il costante puntellamento di chi può vantare e far valere la propria legittimazione, prima morale e poi etica, nei confronti di coloro che, sotto questa luce, sono prima manchevoli, e, immediatamente a seguire, colpevoli. In questo verso, la diffidenza è la sub-stantia, quindi la fondamentale premessa, della costruzione sociale e politica del capro espiatorio. La diffidenza, se esasperata e condotta alle sue espressioni più acute, ingenera differenti e specifiche forme di “degenerazione” emotiva, quali angoscia, risentimento, odio (Scheler, 2019). A partire da un possibile slittamento o da un’eventuale commistione fra queste tonalità emotive (Bollnow, 2009), il potere, durante la gestione pandemica, ha confermato la capacità di estraniare il cittadino dal cittadino, di recidere il corpo sociale dal corpo sociale. Gli apparati di potere hanno alimentato e veicolato la diffidenza entro questa preoccupante traiettoria. Essi hanno prodotto quei criteri di profilazione, a partire dai quali assume significato il tono paternalistico e prevaricante di una narrazione inquisitoria.
Bibliografia
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Scheler M. (2019), Il risentimento, Chiarelettere [prima ed. orig. 1915]
Tajfel H. e Wilkes A.L. (1963); Classification and quantitative judgement, in «British journal of psychology», 54, pp. 101-114
Sitografia
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NOTE
1 Michel Foucault, in Sorvegliare e Punire (2014), reputa adeguato ricondurre il lemma “tecniche” al concetto di “fascio”. Il filosofo francese parlerà di fascio di tecniche fisio-politiche. Nella presa a prestito della categorie di tecniche di potere, reputo opportuno, in questa sede, includere le tecniche nella definizione concettuale di assetto, al fine di evidenziarne, implicitamente, la disposizione inter-funzionale e teleologicamente orientata.
2 Le tecniche pre-disposte dagli apparati di potere non sono mai definitivamente date, ma sono sempre, necessariamente, adattabili. La performatività è, difatti, misurata dal grado di flessibilità e dalle potenzialità di adeguamento delle stesse tecniche al mutare degli scenari socio-culturali e all’emersione di esigenze produttive e corporativistiche contingenti.
3 Gli indicatori di rischio sono riconducibili a tre fondamentali aree: l’analisi del rischio, l’indice di riproduzione effettiva Rt e l’incidenza settimanale dei contagi. L’analisi del rischio è basata sulla combinazione fra probabilità di diffusione del Sars-Cov-2 nel territorio e impatto del virus sulle strutture ospedaliere e sui soggetti a rischio. L’Istituto superiore di sanità (Iss) per valutare il rischio considera 16 indicatori obbligatori e 5 indicatori opzionali. Gli indicatori obbligatori sono suddivisi in tre gruppi. Il primo gruppo di indicatori obbligatori include: Casi sintomatici di cui si conosce la data di inizio dei sintomi (1.1); Casi con ricovero in ospedale di cui è indicato il giorno di ricovero (1.2); Casi entrati in terapia intensiva di cui è indicata la data di trasferimento (1.3); Casi notificati per mese in cui è riportato il comune di domicilio o residenza (1.4). Il secondo gruppo di indicatori obbligatori include: tasso di positività sui tamponi (2.1); Tempo trascorso tra la data di inizio dei sintomi e la data di diagnosi (2.2); Numero di persone destinate al contact tracing (2.4); Numero di persone destinate al prelievo dei tamponi (2.5); Numero di casi confermati di infezione nella regione per cui sia stata effettuata una regolare indagine epidemiologica (2.6). Il terzo gruppo di indicatori obbligatori includono: Casi negli ultimi 14 giorni (3.1); Indice Rt (3.2); Casi per data di diagnosi e di inizio dei sintomi (3.4); Numero di nuovi focolai (3.5); Numero di casi non associati a catene di trasmissione note (3.6); Tasso di occupazione delle terapie intensive (3.8); Tasso di occupazione delle aree mediche rilevanti (3.9). Il Ministero della Salute ha attribuito un peso significativo all’incidenza dei casi: la soglia è 50 casi settimanali ogni 100.000 abitanti ed è stata scelta perché quando viene superata i servizi sanitari iniziano a mostrare i primi segni di criticità.
4 È assegnata la zona “bianca” alle regioni nei cui territori si registrano, alternativamente:
a. un’incidenza settimanale dei contagi inferiore a 50 casi ogni 100.000 abitanti per tre settimane consecutive
b. un’incidenza settimanale dei contagi pari o superiore a 50 casi ogni 100.000 abitanti, con una delle due seguenti condizioni:
1) il tasso di occupazione dei posti letto in area medica per pazienti affetti da COVID-19 è pari o inferiore al 15 per cento
2) il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva per pazienti affetti da COVID-19 è pari o inferiore al 10 per cento
Perché una Regione transiti dalla zona “bianca” alla colorazione gialla, è necessario che si verifichino le seguenti condizioni:
a. l’incidenza settimanale deve attestarsi fra i 50 e i 150 contagi ogni 100.000 abitanti, a condizione che il tasso di occupazione dei posti letto in area medica sia superiore al 15 % per cento e inferiore al 30 % o che il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva superi il 10% e si attesti sotto il 20% .
b. qualora l’incidenza settimanale dei contagi superi i 150 casi ogni 100.000 abitanti e si verifichi, al contempo, una delle seguenti condizioni:
1) un tasso di occupazione dei posti letto in area medica pari o inferiore al 30%
2) un tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva uguale o inferiore al 20%
Perché una Regione passi dalla colorazione gialla a quella arancione, è necessario che si verifichi un’incidenza settimanale dei contagi pari o superiore a 150 ogni 100.000 abitanti, nonché il contestuale superamento dei limiti di occupazione dei posti letto di area medica e terapia intensiva previsti dalla zona gialla.
Una Regione è in zona rossa quando l’incidenza settimanale dei contagi è pari o superiore a 150 casi ogni 100.000 abitanti e si verificano entrambe le seguenti condizioni:
a. il tasso di occupazione dei posti letto in area medica per pazienti affetti da COVID-19 è superiore al 40%
b. il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva per pazienti affetti da COVID-19 è superiore 30%
5 La tabella è consultabile all’indirizzo https://www.governo.it/sites/governo.it/files/tabella_attivita_consentite.pdf
6 Con l’entrata in zona gialla scatta l’obbligo di indossare le mascherine non solo al chiuso, come previsto per la zona bianca, ma anche all’aperto. I ristoranti restano attivi sia all’aperto che al chiuso. È consentito l’accesso al proprio interno solo se muniti di green pass “rafforzato”. Con l’entrata in zona gialla scattano nuovi criteri di capienza: si scende al 50% per andare a teatro o al cinema, ma anche in sala da concerto. Restano chiuse le discoteche e le sale da ballo. Allo stadio la capienza viene dimezzata dal 100 al 50 per cento. Negli impianti sportivi al chiuso cala il numero di spettatori: la capienza scende al 35%.
Con l’entrata in zona arancione scatta il coprifuoco dalle ore 22:00 alle ore 05:00. In zona arancione scattano limiti agli spostamenti, che restano liberi solo nel proprio comune. Entrata e uscita dai territori arancioni sono consentite ai possessori di certificazione verde di base. È sempre consentito il rientro alla propria residenza e al proprio domicilio. È possibile raggiungere la seconda casa. In zona arancione è vietato il servizio al tavolo nei bar, mentre chiudono cinema e teatri, palestre e piscine. Nel fine settimana restano invece chiusi i centri commerciali. Sono consentiti gli spostamenti verso altri comuni e verso altre regioni se si è in possesso di Green pass sia base che rafforzato. Senza il green pass, sono consentiti gli spostamenti verso altri comuni e altre regioni solo in caso di necessità, lavoro e salute. Con l’entrata in zona rossa scatta il lockdown. Non si può uscire di casa se non per comprovate esigenze di lavoro, per motivi di salute o di necessità. Tali specifiche esigenze devono essere dichiarate formalmente tramite autocertificazione. In zona rossa chiudono i negozi al dettaglio. Fanno eccezione solo gli esercizi di generi alimentari e di prima necessità. La ristorazione è consentita fino alle ore 22:00, esclusivamente tramite consegna a domicilio o asporto. Restano chiusi teatri e cinema, palestre e piscine.
7 Molte fra le limitazioni imposte alle libertà costituzionali sono state evidenziate nella nota 6.
8 I riferimenti statistici sono estratti dall’articolo di Paolo Di Lella Un’altra sanità è possibile, anzi indispensabile, in Un altro Molise è possibile, Il Bene Comune edizioni, 2021
L’IMMAGINE – SCELTA DALL “BOTTEGA” – E’ UN COLLAGE DI PABUDA