Gradisca d’Isonzo: il prezzo della disinformazione
a cura della «Tenda per la pace e i diritti» di Gorizia
Da giorni fioccano le dichiarazioni e le analisi, riproposte anche da altri giornalisti, sull’articolo di Roberto Covaz pubblicato su «Il Piccolo» il 29 giugno scorso. Come associazione da sempre attiva sul territorio siamo ormai stancamente abituati alle mistificazioni del giornalismo locale sulla questione immigrazione, siamo abituati a vedere pubblicate notizie in cui si esaltano le azioni “criminali” solo e specialmente di chi non ha la cittadinanza italiana, siamo abituati a fare uscire comunicati stampa che poi vengono tagliati, confusi e male interpretati ogni volta che parliamo di Cie, siamo abituati a lunghi e preoccupanti silenzi anche quando denunciamo fatti gravissimi, che se avvenissero fuori da quelle mura troverebbero una risonanza mediatica molto diversa.
Il ruolo dell’informazione nel giustificare le politiche securitarie degli ultimi governi in materia di immigrazione (alimentando un clima di disinformazione e paura assolutamente incomprensibile) è assolutamente primario, e pertanto sentiamo di dover proporre un’analisi ragionata di quanto letto nell’articolo.
1. «Era, forse tornerà ad essere popolato da persone non identificate, immigrati extracomunitari senza un nome né un cognome, che sul territorio italiano si sono macchiati di crimini anche gravissimi e che hanno scontato la pena in carcere».
Il Cie di Gradisca è stato aperto nel 2006, eppure si continua a far passare il messaggio che esso sia una sorta di “carcere per gli immigrati” che hanno commesso crimini sul territorio italiano, e che, per ragioni sconosciute, dopo aver scontato la propria pena in carcere, subiscono una seconda detenzione per il solo fatto di essere “immigrati”. Come i giornalisti del «Piccolo» dovrebbero sapere, i Cie sono centri in cui viene praticata la detenzione amministrativa. L’unico “reato” che le persone hanno commesso per essere detenute nei Cie è quello di non essere in regola con il permesso di soggiorno, e questo non ha alcuna valenza penale né fa di loro dei criminali. Nei Cie abbiamo incontrato persone che vivono in Italia da vent’anni e che, a causa della crisi, hanno perso il lavoro e quindi il permesso di soggiorno: se questi sono crimini gravissimi allora metà del Paese è attualmente criminale, italiano o straniero che sia.
La presenza di ex detenuti all’interno dei Cie è inoltre un’irregolarità che deriva da una mancata applicazione della circolare interministeriale Amato-Mastella del 2007, in cui si stabiliva che l’identificazione dei cittadini senza permesso di soggiorno in stato di detenzione venissero effettuate in carcere e non, come invece continua essere prassi, nei Cie, sottoponendoli quindi a un’inutile (e costosa per lo Stato) doppia detenzione.
2. «Recentemente, in commissione Schengen della Camera, il ministro dell’Interno Alfano aveva lasciato intendere che il Cie di Gradisca non riaprirà, se tale è la volontà delle istituzioni locali. Ma a leggerla più attentamente quella dichiarazione non sembra così netta. Anzi, il Cie riaprirà».
E’ curioso che «Il Piccolo» abbia riportato frasi che il ministro Alfano non ha mai pronunciato, quando a chiunque era accessibile da subito il video della sua udienza presso il Comitato (e non Commissione) parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione da cui si evinceva chiaramente che quell’annuncio non era mai stato fatto. Questa la dichiarazione di Alfano: «La struttura attualmente necessita di lavori per il ripristino della sua piena funzionalità a seguito degli episodi di danneggiamento connessi ai disordini registratisi al suo interno nell’ottobre e novembre scorsi. L’ipotesi di una riapertura del centro e di una sua possibile destinazione all’accoglienza dei richiedenti protezione, in considerazione del loro crescente numero, è oggetto di un’attenta riflessione da parte del ministero dell’interno, che non mancherà di confrontarsi con gli organi di governo locale».
3. «Si stanno effettuando lavori per 800 mila euro dopo le rivolte dell’estate-autunno del 2012. Nel settore rosso un gruppo di extracomunitari incendiò i materassi composti da materiale ignifugo ma che per effetto della liquefazione sprigionarono un fumo acre, denso, nero. Una nube tossica. Poi si arrampicarono sui tetti a gridare la loro disperazione. Prima, però, alcuni devastarono la moschea interna alla struttura. Un’azione di inaudita violenza per i musulmani, segno di quanto fosse incontenibile la loro rabbia».
«Il Piccolo» confonde evidentemente le date, perché le rivolte a cui fa riferimento sono quelle dell’estate-autunno 2013. «Il Piccolo» non ricorda inoltre, o forse non ritiene rilevante, menzionare che durante i tre giorni di incendi che devastarono parte della struttura nel novembre 2013 non ci fu nessuna evacuazione: i detenuti rimasero a respirare il fumo, quella “nube tossica”, per tre giorni, prima che si decidesse di sgomberare il centro. Durante quei tre giorni, una sessantina di persone venne stipata nei corridoi interni della struttura, perché le stanze erano inagibili, mentre il fumo continuava a salire. Se si fosse trattato di una scuola, l’edificio sarebbe stato sgomberato immediatamente e dichiarato inagibile. Ma dentro al Cie c’erano solo 60 “immigrati”.
Per quanto riguarda la moschea, durante le ripetute visite effettuate a Gradisca negli ultimi mesi prima della chiusura, non ci risulta che ci fosse una moschea, ma al massimo una stanza adibita a luogo di preghiera, cui comunque i detenuti non avevano accesso, essendo in tutto il periodo estivo costretti a deambulare solo nelle “vasche” su cui si affacciavano le camerate.
4. «Sappiamo bene inoltre dei danni provocati nell’infermeria, resa inagibile, degli episodi di grave autolesionismo (perfino l’inghiottimento di pile) con lo scopo di farsi ricoverare all’ospedale e da qui scappare».
Segnaliamo al «Piccolo» un video che evidentemente non è mai stato visionato dalla redazione, realizzato e ampiamente diffuso (e pubblicato anche da «Il fatto quotidiano»), realizzato dalla campagna «LasciateCIEntrare» nel maggio 2014. In questo video si racconta l’altra faccia delle rivolte, fatta di pestaggi ai danni dei migranti e lanci di lacrimogeni al Cs (usati solitamente per disperdere i manifestanti in spazi aperti)… Nello stesso video Jacopo Nicoletti, medico che ad agosto lavorò proprio nel Cie, racconta di come l’infermeria fosse stata resa inagibile dai gas lacrimogeni lanciati dalle forze dell’ordine, che erano arrivati fino a quello spazio. Per quanto riguarda la implicita facilità che l’autore dell’articolo sembra riscontrare nel farsi ricoverare al pronto soccorso, facciamo notare che ogni giorno, dalla sua apertura alla chiusura, i detenuti del Cie si sono inflitti le forme più diverse e dolorose di autolesionismo. Abbiamo visto tagli in ogni parte del corpo (ferite superficiali, ma anche tagli molto profondi), bocche cucite, persone che hanno ingoiato liquidi corrosivi e oggetti di ogni tipo, abbiamo visto persone bucarsi la faccia con una penna, ma rispetto a tutto questo gli accompagnamenti in ospedale sono stati pochi e rari sono stati i ricoveri. Al Cie di Gradisca ci sono stati inoltre anche tentativi di suicidio, c’è chi ha provato ad impiccarsi, chi si è tagliato le vene e chi ha ingurgitato grandi quantità di psicofarmaci. La sofferenza portata dalla detenzione non può essere banalizzata o svilita a mera strategia di fuga. All’uscita da una visita il responsabile del Dipartimento di Salute Mentale ha dichiarato «Non vedevo persone ridotte in questo stato dall’ultima volta in cui sono entrato in un manicomio, è terribile».
5. «Sono i momenti peggiori – spiega Antonina Cardella, responsabile del Cara per la Connecting People, la società che ha gestito e forse gestirà di nuovo il Cie – . Quando gli ospiti hanno la possibilità di parlare con qualche politico l’effetto rabbia è immediato. E le rivolte sono la conseguenza». Le dichiarazioni della responsabile di Connecting People sono sconcertanti: attribuire alle visite dei politici (che, ricordiamo, non hanno libero accesso alla struttura, il che la rende molto meno trasparente di un carcere) le rivolte significa ignorare il quadro che emerge comunque dall’articolo. Pensare che serva la visita di un politico a ricordare ai detenuti l’inferno in cui vivono significa considerarli alla stregua di bambini senza coscienza di sé, e sembra implicitamente suggerire che queste visite sarebbe meglio evitarle, sottraendo al mondo della politica e della società civile l’unico strumento di monitoraggio della situazione all’interno dei Cie.
6. Sembra impossibile che un essere umano possa arrampicarsi sulle sbarre e saltare oltre da quell’altezza. Invece succede. «Per tutto il giorno non fanno altro che pensare a come uscire – spiega il prefetto – Si tratta di persone aitanti e allenate, con fisici straripanti. Riescono in imprese apparentemente impossibili». Le “imprese” dei detenuti sono talmente impossibili che per impedire loro di compierle si arriva a scatenare piogge di lacrimogeni in spazi semichiusi, come se ci si trovasse davanti a persone armate fino ai denti. Ricordiamo che nel già citato video prodotto da «LasciateCIEntrare» viene mostrato un confronto tra il prefetto e “Tenda per la pace e i diritti”, in cui di fronte alla richiesta di chiarimenti sull’uso “eccessivo” della forza sui migranti egli sostiene che «si è trattato di rivolte importanti». Dobbiamo forse aspettarci di vedere entrare a Gradisca i carri armati, se le rivolte dovessero essere “ancora più importanti” in futuro?
Ci chiediamo infine come sia possibile che in questo articolo non venga citata la storia di Majid, caduto dal tetto del Cie proprio in quell’agosto di rivolte, e morto dopo mesi di coma lo scorso 30 aprile. L’inferno di cui si parla è quello in cui una persona ha trovato la morte, morte per cui ancora non si conoscono le responsabilità, morte che segna irrimediabilmente la storia del mostro di Gradisca. Forse, un po’ di memoria storica farebbe bene a tutti noi. [3 luglio 2014]