Gramsci sui muri di Roma e …
… l’eterno scontro fra vecchio e nuovo: «Ci manca(va) un Venerdì» per la 144esima volta viene condotto in porto da Fabrizio “Astrofilosofo” Melodia
Passeggiando per Roma, in via Circonvallazione Trionfale, ma anche in altre strade, oltre al traffico strombazzante e al vociare allegro delle persone, ai profumi invernali e agli odori di panifici e caffetterie, mi è capitato di vedere manifesti rossi con una frase che riporto con fedeltà, avendo verificato: «La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati». Queste parole furono vergate da un insonne e provato Antonio Gramsci, nei suoi Quaderni del carcere, che ora potete trovare in svariate edizioni con ottimi apparati critici (io prediligo l’edizione Einaudi, ma fate voi).
Si parla di crisi, cambiamento, momento di trapasso: mostri che sorgono ovunque, sofferenze e ingiustizie come se piovessero.
Gramsci fu profeta inascoltato oppure vate della ragione critica ben applicata?
Fra vecchio e nuovo lo scrittore italiano Gesualdo Bufalino tuona indignato: «Fra imbecilli che vogliono cambiare tutto e mascalzoni che non vogliono cambiare niente, com’è difficile scegliere». Non ha torto: spesso si cambia senza riflettere come senza pensare ci si arrocca sul vecchio per paura. Questo braccio di ferro, fra uno strattone e un tiro alla corda (già consumata) non può andare per le lunghe, come ci fa notare Marcel Proust, che di “tempo perduto” se ne intendeva: «Gli uomini non cambiano dall’oggi al domani, e cercano in ogni nuovo regime la continuazione dell’antico».
Perché tutta questa resistenza al cambiamento? E perché tante persone si ostinano a cercare nel mondo costanti universali senza accettare l’insita transitorietà delle cose? Perché non accettare che tutto cambia? E perchè non comprendere che qualsiasi resistenza al cambiamento è generare mostri e sofferenza?
Spesso si paragona il cambiamento a un parto. Ma se il cambiamento è nuova vita, perchè spaventa più della morte? Uno scrittore americano, noto esperto di incubi e deliri – tale H. P. Lovecraft – affermava che il sentimento primordiale dell’uomo è la paura e che il terrore più grande è quello dell’ ignoto. Aveva ragione? Oppure, ai nostri giorni, è il Mercato – con il suo continuo martellare sulla fame d’acquisti e su prodotti materiali per nulla indispensabili ma “necessari” – fra i responsabili di questa nostra refrattarietá al cambiamento?
Eppure quando passeggio per strada, mi fermo a prendere un caffè, alle fermate degli autobus sento sempre lo stesso ritornello popolare, un misto fra rabbia, voglia feroce di cambiare e scoramento sottolineato dal “tanto niente cambia”.
Però tutti a pigiare sui cellulari e anche quando si è al ristorante in compagnia spesso ci si perde nei social che pretendono di essere il nostro mondo.
Forse è la mancanza di comunicazione e l’ignoranza delle cose a generare tanta paura nel cambiamento?
La dottoressa Meredith Grey (interpretata dalla brava Ellen Pompeo) della serie tv «Grey’s Anatomy» la mette così: «Quando diciamo cose tipo “Le persone non cambiano”, facciamo impazzire gli scienziati. Perché il cambiamento è letteralmente l’unica costante di tutta la scienza. L’energia, la materia, cambiano continuamente, si trasformano, si fondono, crescono, muoiono. È il fatto che le persone cerchino di non cambiare che è innaturale, il modo in cui ci aggrappiamo alle cose come erano, invece di lasciarle essere ciò che sono; è il modo in cui ci aggrappiamo ai vecchi ricordi invece di farcene dei nuovi; il modo in cui insistiamo nel credere, malgrado tutte le indicazioni scientifiche, che nella vita tutto sia per sempre. Il cambiamento è costante. Come viviamo il cambiamento, questo dipende da noi. Possiamo sentirlo come una morte o possiamo sentirlo come una seconda occasione di vita. Se apriamo le dita, se allentiamo la presa e lasciamo che ci trasporti, possiamo sentirlo come adrenalina pura, come se in ogni momento potessimo avere un’altra occasione di vita, come se in ogni momento potessimo nascere ancora una volta».
In conclusa inconclusione, sottolineo che, a fiancheggiare il semplice (ma non per questo banale) pensiero di Maredith, arriva il filosofo tedesco Friedrich W. Nietzsche, il quale ci saluta e ci augura buone feste con una delle sue perle: «Io vi insegno l’oltreuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al di sopra di sé e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l’uomo? Che cos’è per l’uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l’uomo per l’oltreuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna».
Nell’immagine: i manifesti rossi con l’aforisma gramsciano fotografati dall’Astrofilosofo a passeggio.
molto bello, grazie, profondo e scandagliato e prezioso
E questa è la spiegazione di cotanto mistero:
https://www.artribune.com/arti-visive/street-urban-art/2018/12/cosa-significano-quei-manifesti-su-gramsci-che-hanno-invaso-roma/
Inutile nascondere che ci sono rimasto male, anche se il timbro della tassa comunale sulle affissioni non lasciava spazio a grandi aspettative.
Cosa mi aspettavo? Credevo che qualcuno si fosse finalmente svegliato dalla narcosi collettiva che ha colpito anche “le menti migliori della mia generazione”.
Ma c’e’ poco da sperare. Ho letto poco fa dell’ingresso trionfale del cafone padano in uno studio televisivo Mediaset e della lunga ovazione dei lavoratori che erano presenti…