Granarolo? Grana loro?
1 – Il racconto di Arturo (*)
La vicenda incominciò 9 mesi fa precisamente il 15 maggio 2013. In quella data alcuni facchini della Granarolo scioperavano “selvaggiamente” per l’ennesima beffa subita dagli accordi presi fra Cgil e le cooperative che lavorano per la Granarolo e la centrale Adriatica (che distribuiscono il latte e riforniscono i supermercati Coop) che, giustificati dallo “stato di crisi”, scalavano il 35% dagli stipendi dei loro dipendenti. La Granarolo licenzia 41 facchini partecipanti allo sciopero con la motivazione inverosimile che il latte è un bene di prima necessità.
Per anni questi lavoratori, la maggior parte migranti (quindi facilmente ricattabili), si sono spaccati la schiena nei magazzini della logistica di multinazionali che come Ctl/Granarolo e Cogefrin realizzano profitti milionari. Tutto questo grazie al fatto che i facchini, “soci cooperatori”, sono stati sfruttati come schiavi nelle buie notti delle periferie bolognesi. I facchini però dopo questi affronti da inizio ‘900 scelgono, insieme al sindacato Si Cobas, la linea della lotta dura senza paura. Da lì nasceranno manifestazioni, scioperi selvaggi, picchetti davanti alla Granarolo e la solidarietà che cresce come cresce l’insegnamento che ci dà questa lotta di classe. Solo allora il prefetto e Calzolari (presidente di Granarolo) creano un tavolo di trattativa con il Si Cobas. Chiaramente il sindacato di base non si accontenta di essere un po’ meno schiavo. Dalle trattative si uscirà con promesse soddisfacenti quali la riassunzione entro un certo periodo di tutti i lavoratori. La lotta si calma, ma la calda estate passa velocemente e le promesse puntualmente non vengono mantenute. Allo stesso modo la lotta riprende ancora più forte e sempre con le stesse modalità, picchetti, boicottaggi, manifestazioni. Ormai i facchini bolognesi sono un esempio per tutti i lavoratori italiani e stranieri; ormai la solidarietà attiva arriva da molte regioni italiane. Ecco che allora, smascherata la mafia degli appalti alle cooperative, si vede ancor più chiaro quanto il sistema capitalistico non voglia dare risposte e soluzioni ai soprusi che subiscono ormai tutti i lavoratori di ogni settore. L’unico risposta è viscida e meschina, come quando a Milano proprio a gennaio viene aggredito in pieno stile mafioso Fabio Zerbini, sindacalista Si Cobas; oppure quando 2 facchini una settimana fa venivano presi a cazzotti e arrestati dalla celere solo perché partecipanti a un picchetto davanti ai cancelli.
Però dopo la grande manifestazione di sabato scorso a Bologna la linea è ancora più dura: anzi Milani, sindacalista Si Cobas promette lotta fino alla vittoria e lancia un messaggio di allargamento della mobilitazione a tutte/i coloro che subiscono lo sfruttamento della GDO (grande distribuzione organizzata). Alcune di queste persone hanno lasciato la loro terra e i propri affetti in cerca di un futuro migliore. Nel loro viaggio pochi hanno avuto la fortuna di arrivare con tutti quelli con cui erano partiti, molti loro compagni sono stati inghiottiti da un mare che non ricorderà i loro nomi e altri sono lasciati marcire nelle carceri libiche dove ogni diritto umano è sospeso oppure dimenticati nei “centri di accoglienza” italiani dove non si è altro che numeri da smaltire. Quelli arrivati in Italia hanno un permesso di soggiorno che dice “se lavorano possono restare”. Ma può il lavoro sacrificare la dignità? NO.
Loro non hanno amici fra chi governa le città. Però hanno la loro voce, il loro corpo, la solidarietà di chi è al loro fianco. Hanno la FORZA DELLA LOTTA E DELLA DIGNITA’.
(*) Questo è il primo di tre post consecutivi che raccontano la lotta alla Granarolo. Codesto blog è ovviamente aperto ad altre testimonianze e proposte. (db)