Grazie Gianni (30): due favole d’autunno e…
… la “necessità” di toccare il naso al re
trentesimo appuntamento – di 52 – con Rodari (*): le scelte e le riflessioni di Mauro Antonio Miglieruolo
Due pezzi su Rodari
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Perché discreditarmi scegliendo un argomento sul quale, più che in altri, denuncio irreparabili carenze? Di poesia non m’intendo, di favole per ragazzi ancor meno: sempre che per “favole” non si intenda “fantascienza”, nella quale sono sufficientemente alfabetizzato. Errore grande quest’ultimo. Posso diventare un buon lettore di favole, o esserlo. Non però in quanto pregresso lettore di romanzi scientifici di avventure, che sono ben altra cosa di ciò che qualcuno considera: non altro che quale mascheratura di narrativa per l’infante anagraficamente adulto. Posso esserlo fermando un attimo pensieri e pregiudizi e guardando dritto nelle pagine (gli occhi di Rodari) dell’autore in questione.
Il perché ho contratto liberamente un impegno in merito con Daniele «il Barbiere» è presto detto. Perché sospinto dell’ambizione di trovare nel risvolto insopportabile di menzogne in cui siamo immersi un approdo al reale concreto; a un qualche barlume di verità che ci sottragga alla prigione di banalità, disvalori, violenza gratuita e disprezzo del lavoro che sta uccidendo le nostre anime.
Rodari. Rammentavo lo scrittore come più che adatto allo scopo: l’odierna rivisitazione ha confermato il ricordo. Rodari è espressione ottima dell’essenziale (progressista democratico) che caratterizza la sua letteratura: l’esposizione del verosimile per alludere alla verità.
Cominciamo (e finiamo) con due Favole al Telefono, ambedue titolate “Autunno”.
La prima:
Il fieno è falciato
il cacciatore ha sparato,
l’autunno è inaugurato:
Il grillo si è murato
nella tomba in mezzo al prato.
Come dire meglio le effettività, il processo ininterrotto di eventi che obbedisce alle esigenze della vita? Obiettivo arduo che Rodari realizza agevolmente, nonostante l’accentuata difficoltà.
La difficoltà risiede nella prima intenzione del cantastorie. Non parla all’adulto parla al bambino. Quanti, tra noi, parlando a qualche piccolo è riuscito a comunicare senza cadere nelle fanciullaggini con le quali sempre li mortifichiamo? Qui certo siamo nel semplice, non però nel banale. Siamo nella pittura, più che nella scrittura, siamo nella prospettiva, in pieno slancio d’autenticità. Se Rodari è padre e maestro, più che poeta; se insegna, e insegnando sorride, manifesta la singolare attitudine di aprire spazi alla fantasia esponendo l’essenza elementare del mondo. Del nostro essere nel mondo.
La poesia non è tale in quanto pertinenza dell’ordine poetico, ma eruzione provocata interpellando le cose, dar loro la possibilità di avere nome e a volte anche cognome. Capacità, mi verrebbe da dire, di estrarla e rubarla, attribuirla alle cose. Con le cose, insieme ad esse, essere nella realtà e all’assistere alla stupefacente semplicità delle manifestazioni del creato. Il Cantico delle Creature. Il Canto dei Cosmi. Nelle cose, per le cose, sopra e sotto le cose.
La seconda:
Il gatto rincorre le foglie
secche sul marciapiede.
Le contende (vive le crede)
alla scopa che le raccoglie.
Quelle che da rami alti
scendono rosse e gialle
sono certo farfalle
che sfidano i suoi salti.
La lenta morte dell’anno
non è per lui che un bel gioco,
e per gli uomini che ne fanno
al tramonto un lieto fuoco.
Cosa dire di più di quel che Rodari ha offerto in questi versi? Ben poco. Lo stesso presumo due parolette di poterle comunque aggiungere (risata lontana del buon Gianni).
Siamo alla follia, Rodari che si atteggia a poeta! A poeta per tutti, non solo per bambini. E vedete un po’ voi, ci riesce. Ci riesce perché sa di esserlo, poeta. Non con la consapevolezza della coscienza cosciente, con la consapevolezza d’una pratica che si svela a sé stessa. È poeta come lo sono tutti i viventi, nel grado in cui ognuno sceglie di manifestarsi, per riflettere intorno ciò che ha percepito dell’intima essenza delle cose. Lenta la morte dell’anno è per lui un bel gioco, insieme agli uomini che al tramonto fanno un bel fuoco!
Rodari, Rodari! Se penso che ho attraversato i decenni senza tentare di incontrarti di nuovo! Che solo all’ultimo, ora che anche la mia vita è in procinto di spegnersi mi specchio in uno capace di riaccendere entusiasmi e speranze; uno che illumina con le lucciole dei pensieri il cammino di noi tutti.
Ah! Rodari, la tua grazia avvolgente.
Ora una favola, una qualsiasi scelta a caso. Difficile pescar male spulciando tra i suoi lavori.
Di Rodari ho una conoscenza imperfetta, un vago ricordo, più che altro. Quaranta o cinquanta anni or sono, non sono in grado di precisare meglio, mi sono imbattuto nei suoi lavori, senza però trarne il frutto dovuto. Non ho accettato infatti di guardarlo con adeguata attenzione. In quanto cultore di Fantascienza nutrivo una insana diffidenza per il genere favola e fantasy (per la prima riconosco di aver avuto torto; per la seconda non ho mai avuto più ragione).
Evidentemente non ero un buon lettore di fantascienza. Un buon lettore di fantascienza normalmente è di mente aperta, ha il pensiero felice che spazia grande e lontano, il creato è suo. Gode il privilegio di partecipare, dal suo angolino di avido consumatore di Urania, Scienza Fantastica e Galaxy, all’allargamento della realtà che la letteratura ininterrottamente produce. Duemila e più anni di produzione letteraria lo sostengono, gli danno ragione, lo fanno principe in casa sua. Una certa regalità sarebbe d’obbligo. Invece, nobile che diventa plebeo, alza il naso e impara a guardare il mondo dall’alto in basso.
Non credo di aver peccato molto in quanto a superbia, presumo di averla fatto meno della media degli appassionati fantascientisti, eredi della grande tradizione culturale avviata con Omero. Tuttavia nei confronti di Rodari temo di essermi compromesso più del dopvuto. E però, essendo stato chiamato ai giorni nostri a ragionare sul grande scrittore, è bastato uno sguardo, lo sfogliare a caso, chiudere gli occhi e porre il dito su una pagina qualsiasi e sono stato costretto a ricredermi.
Ricredetevi voi, degenerati che non apprezzate Rodari, o non lo conoscete. Basterà l’approccio a questa sola favola, toccando il naso del re, per farvi ricredere.
Comincia in questo modo, con le migliori intenzioni:
Una volta Giovannino Perdigiorno decise di andare a Roma a toccare il naso del re. I suoi amici lo sconsigliavano dicendo: “Guarda che è una cosa pericolosa. Se il re si arrabbia ci perdi il tuo naso con tutta la testa”.
Ma Giovannino era cocciuto.
Va ugualmente in città, bene intenzionato a toccare il naso del Re. Reso prudente dall’avvertimento, prova prima con le autorità, per saggiare il pericolo ed esercitarsi. Gli esperimenti condotti lo convincono che non solo è possibile ma persino facile toccare il promontorio facciale di lorsignori. La sua iniziativa finisce per diventare una abitudine, bene accetta dai maggiorenti. Prende coraggio e tenta il colpo grosso con il naso del Re.
aspettava soltanto l’occasione buona. Questa si presentò durante un corteo. Giovannino notò che ogni tanto qualcuno dei presenti usciva dalla folla, balzava sui gradini della carrozza reale e consegnava al re una busta, certo una supplica, che il re passava sorridendo al suo primo ministro.
Quando la carrozza fu abbastanza vicina, Giovannino saltò sul predellino e mentre il re gli rivolgeva un sorriso invitante, lui disse:
“Compermesso”, allungò il braccio e strofinò la punta del suo dito indice sulla punta del naso di sua Maestà.
Ne consegue un putiferio di imitazioni. Resi entusiasti dall’iniziativa di Giovannino i cittadini saltano sulla carrozza per strofinare la regale proboscide.
“È un nuovo segno di omaggio, Maestà”, mormorava sorridendo il primo ministro nelle orecchie del re.
Ma il re non aveva più tanta voglia di sorridere: il naso gli faceva male e cominciava a colare e lui non aveva nemmeno il tempo di asciugarsi la candela perché i suoi fedeli sudditi non gli davano tregua e continuavano allegramente a prenderlo per il naso.
Giovannino tornò al paese soddisfatto.
Rivisitazione della favola di Andersen «I Vestiti Nuovi dell’Imperatore»? là dove l’occhio di un fanciullo vede quel che gli adulti non sono in grado di percepire? Il Re è nudo, il potere è nudo, chi governa è ridicolo, bisogna ripensare il suo diritto democratico a fare e disfare! Giovannino sfida l’intangibilità del sovrano, ottenendo lo stesso ridicolo e la medesima delegittimazione.
Ma c’è una differenza, una e grande. In Andersen si è ancora alla contemplazione e al suggerimento, ci si limita a stigmatizzare la credulità della gente e la stupida vanagloria del Re; credulità frutto dell’innesto della paura sul fusto dell’ignoranza. Rodari va oltre. Non si limita a svelare, a fare opera di controinformazione, invita energicamente all’azione. Il Re non ha da essere svergognato, il Re deve essere preso direttamente per il naso.
Si tratta di un’ottima cosa? Di grande insegnamento? Nei fatti non è l’immagine a essere lesa, ma la Maestà Sua direttamente. L’invito esplicito, evidente: salire sulla carrozza del Re e toccarlo. Per ridurlo al nulla che rappresenta. Non però uccidendo, usando coltelli, pistole, dinamite; per perdere Sua Maestà è sufficiente smontare la convinzione dell’intero popolo che sia dannoso nonché pericoloso salire sulla carrozza per dare lo sberleffo a chi ogni giorno si prende gioco del popolo.
Perché, impariamolo bene tutti, il potere si fonda sul nulla della nostra credulità, su una inesistente aurea di dignità costruita artificialmente intorno ai personaggi che per lo più sono poco degni di rispetto; personaggi che se non facciamo loro sentire la nostra forza, l’audacia, la determinazione, il puro potere di analisi dello sguardo, sono in grado di farci piangere; ma una volta che sia stata spezzata la barriera fatta di paura che ci divide, non possono altro che farci ridere. Fosse per me collocherei un Re, un Presidente, un Dittatore su ogni palcoscenico, ogni festa, ogni museo, persino a ogni angolo delle strade, a edificazione delle genti, per loro trastullo.
Non si tratta di una idea, buona o cattiva che sia. È la possibilità dei tempi, che ancora appare lontana, ma rapidamente si approssima.
(*) Gianni Rodari è nato il 23 ottobre 1920. Per ricordarlo è partito “L’ANNO RODARIANO”. Io lo amo molto e penso di essere in numerosa (e bella) compagnia. Così ho deciso di festeggiarlo in bottega almeno fino all’ottobre 2020, cioè per 52 settimane. Ho chiesto a 51 fra amiche e amici di scegliere un suo brano. Perciò ogni lunedì – dalle 02 – lettori e lettrici della bottega potranno scoprire come qualcuna/o ricorda Rodari e magari commentare o fare le loro proposte. Ho una ideuzza per tutte/i: nello spirito “rodariano” mi parrebbe una bella iniziativa se ogni lunedì chi passa di qui poi regalasse il testo letto a qualcuna/o, possibilmente proprio a persone che leggono poco o nulla. Così per «vedere l’effetto che fa». Ci state? [db]
Che meraviglioso brano, ho sentito l’emozione di chi racconta divenire struttura del racconto stesso. Poesia e prosa, una lettura lieve, una pagina di sogno, gli occhi da bambino. Scritta da un maestro su un maestro. Perché tante belle pagine di “Futuro Europa” gli appartengono…