Grazie Gianni (41): «Il Paese dei bugiardi» e…
… «Dopo la guerra» con la riproposizione di «Il cielo è di tutti»
quarantunesimo appuntamento – di 52 – con Rodari: la scelta e i commenti di Michele Zizzari
Il Paese dei bugiardi
C’era una volta, là / dalle parti di Chissà, / il paese dei bugiardi.
In quel paese nessuno / diceva la verità,
non chiamavano col suo nome / nemmeno la cicoria:
la bugia era obbligatoria.
Quando spuntava il sole / c’era subito uno pronto
a dire: “Che bel tramonto!”
Di sera, se la luna / faceva più chiaro / di un faro,
si lagnava la gente: / “Ohibò, che notte bruna, / non ci si vede niente”.
Se ridevi ti compativano: / “Poveraccio, peccato,
che gli sarà mai capitato / di male?”
Se piangevi: “Che tipo originale,
sempre allegro, sempre in festa.
Deve avere i milioni nella testa”.
Chiamavano acqua il vino, / seggiola il tavolino
e tutte le parole / le rovesciavano per benino.
Fare diverso non era permesso,
ma c’erano tanto abituati / che si capivano lo stesso.
Un giorno in quel paese / capitò un povero ometto
che il codice dei bugiardi / non l’aveva mai letto,
e senza tanti riguardi / se ne andava intorno
chiamando giorno il giorno / e pera la pera,
e non diceva una parola / che non fosse vera.
Dall’oggi al domani / lo fecero pigliare
dall’acchiappacani / e chiudere al manicomio.
“E’ matto da legare: / dice sempre la verità”.
“Ma no, ma via, ma và …”
“Parola d’onore: / è un caso interessante,
verranno da distante / cinquecento e un professore
per studiargli il cervello …”
La strana malattia / fu descritta in trentatrè puntate
sulla “Gazzetta della bugia”.
Infine per contentare / la curiosità / popolare
l’Uomo-che-diceva-la-verità
fu esposto a pagamento / nel “giardino zoo-illogico”
(anche quel nome avevano rovesciato …)
in una gabbia di cemento armato.
Figurarsi la ressa. / Ma questo non interessa.
Cosa più sbalorditiva, / la malattia si rivelò infettiva,
e un po’ alla volta in tutta la città
si diffuse il bacillo / della verità.
Dottori, poliziotti, autorità
tentarono il possibile / per frenare l’epidemia.
Macché, niente da fare.
Dal più vecchio al più piccolino
la gente ormai diceva / pane al pane, vino al vino,
bianco al bianco, nero al nero:
liberò il prigioniero, / lo elesse presidente,
e chi non mi crede / non ha capito niente.
Chiosa di Michele Zizzari
Ma guarda un po’ che ti scrive sto Rodari! La bugia è, in ogni tempo, l’arma più subdola e segreta del potere… spesso più efficace del bastone e del cannone, soprattutto se buttata a pioggia (una volta dagli aerei, ora dai satelliti) sulla testa di menti fragili e disorientate, orfani d’idee e ideali, ancor più se sparata a raffica negli occhi di masse ipnotizzate dallo spettacolo e dalla società dello spettacolo… Quanto mai vero oggi, nell’era del regime tecnomediatico globale, dove i sudditi sono sopraffatti dalle fake news e dalla propaganda, lobotomizzati dal continuo flusso delle informazioni e posseduti dall’incantesimo dei social e della vanità… Speriamo che, secondo l’auspicio del profeta e del poeta che omaggiamo, si propaghi inarrestabilmente il virus della verità.
E che l’epidemia, anzi, la pandemia, dilaghi finalmente!
E questa volta non per portar malanno, ma consapevolezza e libertà.
Di bocca in bocca, di parola in parola vera…
da mente a mente, da cuore a cuore e di mano in mano si propaghi…
Dopo la guerra
Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l’arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede – questo è il male –
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la Terra
fare la pace prima della guerra.
Chiosa di Michele Zizzari
Me lo chiedo spesso: non si potrebbe fare a meno di causar tanti guai, al mondo e noi stessi? Guerre, catastrofi, disastri, epidemie… che di naturale hanno davvero poco, perché è chiaro a tutti che son iatture dell’Antropocene, del Capitalocene… ossia procurate, dall’insensatezza umana. Non staremmo poi a sbatterci il petto (per il mea, tua o sua culpa) e la testa per riparare il danno, enorme ormai e spesso irreparabile. Né avremmo bisogno d’eroi, missionari e rivoluzionari, costretti a sacrificarsi per difendere e salvare quel che resta di vita, libertà, diritti umani, bellezza, salute. E accade spesso poi che gli eroi, come nei film e nei romanzi, arrivino in ritardo, se non quasi alla fine, solo quando son scappati i buoi o i morti son già tanti. C’ha ragione il Gianni.
ANCORA SU «IL CIELO E’ DI TUTTI» E SU GIANNI, L’INCANTATORE (E INCANTASTORIE)
Rodari, Poeta per antonomasia; sguardo universale e imprevedibile,
dall’immaginazione intergalattica; filosofo e bambino; saggio e audace scavezzacollo; inventore e artigiano; creatore di sogni, visioni, speranze e profezie; navigatore dell’imprevisto e scopritore d’infinite dimensioni di senso e di semantica; l’apripista dei sentieri sconosiuti; autore di magie narrative senza tempo; Merlino, Don Chisciotte, Zorro e Robin Hood con la penna in mano, al posto della bacchetta, della lancia e della spada; tra i più grandi curatori delle nostre pene e delle nostre più elevate aspettative;
critico raffinato e incorruttibile; autore perentorio e affabulante cantastorie;
un umano, ma di quelli a dir poco straordinari, che sembra impossibile
sia un comune terrestre, forse venuto d’altri mondi… un semidio, un immortale, come il patrimonio che in eredità ci ha consegnato…
Indico il testo che segue (*) per il suo intrinseco e poliedrico significato.
Se guardiamo in “alto”, con sguardo libero e aperto, animati dalle nostre aspirazioni più elevate, non condizionati dalle nostre squisquilie, ci accorgiamo che siamo una sola cosa, tutti figli di una palla blu verde a tratti ocra ovattata che gira tra le stelle, per un’esistenza da saper condividere in pace, cui dare un senso che valga la pena di viverla “insieme”… se invece guardiamo solo “a terra”, sospinti da ignobili istinti e dall’egoismo, facendo attenzione solo a ciò che calpestiamo e che riteniamo “mio” o invece “tuo”, “nostro” o “loro”; ecco che ci vediamo separati nella sorte, divisi da confini, proprietà, identità (per lo più false e inventate), da interessi diversi,
contrari e addirittura nemici.
Questa è la riflessione che accompagno a questa poesia, credo quanto mai attuale in questo difficile contesto, un momento che almeno serva a suggerirci di alzare lo sguardo sulle cose, per guardarci e guardare con l’occhio di un intero pianeta in difficoltà alla nostra comune sorte. Sempre grazie Rodari!
Il cielo è di tutti
Qualcuno che la sa lunga
mi spieghi questo mistero:
il cielo è di tutti gli occhi,
di ogni occhio è il cielo intero.
E’ mio, quando lo guardo.
E’ del vecchio e del bambino,
dei romantici e dei poeti,
del re e dello spazzino.
Il cielo è di tutti gli occhi,
e ogni occhio, se vuole,
si prende la Luna intera,
le stelle comete, il sole.
Ogni occhio si prende ogni cosa
e non manca mai niente:
chi guarda il cielo per ultimo
non lo trova meno splendente.
Spiegatemi voi dunque,
in prosa o in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la Terra è tutta a pezzetti.
(*) già proposta – addirittura tre volte – nei nostri appuntamenti rodariani del lunedì: qui Grazie Gianni (3): «Il cielo è di tutti» (canta Bobo Rondelli), poi qui Grazie Gianni / 8: «Il cielo è di tutti» e ancora qui Grazie Gianni (27): «Il cielo è di tutti»
QUESTI APPUNTAMENTI
Gianni Rodari è nato il 23 ottobre 1920. Per ricordarlo è partito “L’anno rodariano”. Io lo amo molto e penso di essere in numerosa (e bella) compagnia. Così ho deciso di festeggiarlo in bottega almeno fino all’ottobre 2020, cioè per 52 settimane. Ho chiesto a 51 fra amiche e amici di scegliere un suo brano. Perciò ogni lunedì mattina lettori e lettrici della bottega potranno scoprire come qualcuna/o ricorda Rodari e magari commentare o fare le loro proposte. Ho una ideuzza per tutte/i: nello spirito “rodariano” mi parrebbe una bella iniziativa se ogni lunedì chi passa di qui poi regalasse il testo letto a qualcuna/o, possibilmente proprio a persone che leggono poco o nulla. Così per «vedere l’effetto che fa». Ci state? [db]