Guatemala: Jimmy Morales si autoassolve e si garantisce l’impunità
La riforma del Codice penale assolve tutti coloro che sono coinvolti negli scandali per corruzione e finanziamento illecito
di David Lifodi
In Guatemala cresce l’indignazione. Difficile dire se questa sarà la volta buona per un vero cambiamento in un paese che, dopo le timide mobilitazioni del 2015, non immaginava di cadere dalla padella (Otto Pérez Molina) nella brace (Jimmy Morales). Come il suo predecessore, Morales rischia di inciampare proprio sulla corruzione. La riforma del Codice penale guatemalteco, votata a schiacciante maggioranza da gran parte dei deputati del paese centroamericano lo scorso 13 settembre, è stata utilizzata per assolvere tutti coloro che sono stati coinvolti nello scandalo del finanziamento elettorale illecito, in cui è rimasto coinvolto anche lo stesso presidente Morales.
La riforma riduce a soli dieci anni di prigione la pena per corruzione e finanziamento illecito, ma dispone anche la trasformazione della condanna al carcere in semplice ammenda pecuniaria per coloro che subiranno condanne inferiori alla detenzione di dieci anni. Inoltre, cadrà anche il divieto di ricandidarsi per i condannati. Non si tratta soltanto di una violazione dello stato di diritto, ma di una norma di cui beneficeranno decine di imputati che, in pratica, si vedono riconosciuta dallo stesso Stato la possibilità di fare affari liberamente con il crimine organizzato. La crisi dell’esecutivo Morales, tuttavia, non sorprende. Nonostante il presidente avesse vinto le presidenziali contando sulla promessa della tolleranza zero verso la corruzione, era evidente che la sua parabola non avrebbe potuto essere diversa poiché il suo partito, il Frente de Convergencia Nacional (Fcn-Nación), è composto in gran parte dai responsabili delle peggiori violazioni dei diritti umani compiute all’epoca dell’operazione tierra arrasada da cui, all’inizio degli anni Ottanta, derivò il genocidio degli indigeni maya.
Se la gente è stufa di avere come presidenti dei genocidi dichiarati, di cui l’ultimo è Pérez Molina, e razzisti del genere di Morales, in un paese a stragrande maggioranza indigena, il rischio maggiore è che a far cadere Morales non siano le proteste di piazza, ma la pressione di gruppi di potere legati comunque all’oligarchia, alle destre e al neoliberismo, gli stessi che riuscirono ad ottenere le dimissioni di Pérez Molina e della sua vice presidente Roxana Baldetti per lo scandalo denominato La Línea e ad imporre l’ex comico come l’uomo nuovo alla guida del Guatemala. Adesso la storia rischia di ripetersi, con la salida di Morales che si va sempre più configurando come un patto tra le elites finanziarie che sono alla guida del paese in un contesto in cui si prospetta una crisi di governo, ma non dello Stato e del suo modello dominante, fondato sull’accumulazione di molti a scapito di pochi. È per questo motivo che la scrittrice guatemalteca Ilka Oliva Corado sostiene che il suo paese ha bisogno di una vera rivoluzione che permetta di farla finita, una volta per tutte, con la corruzione, il razzismo, la miseria e l’impunità. Nel 2015, all’epoca delle manifestazioni contro Otto Pérez Molina, conosciuto familiarmente con il sinistro nomignolo di Mano Dura, per il Guatemala sembrava arrivata la possibilità di intraprendere la strada di un vero cambiamento sociale, ma questo non avvenne. Nel frattempo, il paese continua a rimanere ostaggio del femminicidio, del furto delle risorse naturali a vantaggio delle multinazionali con l’avallo del presidente di turno e della costruzione di nuove miniere e centrali idroelettriche. Attualmente, il Guatemala assiste impotente alla manovra del Congresso che accorda l’impunità a grande maggioranza al presidente Jimmy Morales per il caso del finanziamento illecito elettorale e all’offensiva dell’esecutivo contro Iván Velásquez, l’uomo della Comisión Internacional Contra la Impunidad (Cicig) e di Washington, a quanto si dice, espulso dal paese dal presidente in persona.
In questo scenario, inoltre, giocano un ruolo di primo piano anche gli Stati uniti, che vogliono utilizzare le manifestazioni di piazza per far cadere Morales, ma non per favorire un vero cambiamento sociale, come del resto era già accaduto nel 2015 con Pérez Molina, prima sostenuto e poi abbandonato da Washington perché ritenuto non più presentabile, mentre lo era, sempre per la Casa bianca, quando promuoveva le campagne di terrore contro i maya con la scusa che quest’ultimi appoggiavano la guerriglia.
Come ha sottolineato lo scrittore e politologo Marcelo Colussi, di fronte a questa nuova crisi politica, la gente non si deve limitare a scendere in piazza per suonare le vuvuzelas, le rumorose trombette utilizzate all’epoca dei mondiali di calcio sudafricani del 2010, altrimenti i guatemaltechi continueranno ad essere governati da oligarchie senza scrupoli che pensano esclusivamente ai loro interessi.