Guatemala: semi di speranza?
Il primo turno delle presidenziali, tenutosi domenica 25 giugno, è stato all’insegna dell’astensionismo.
A sfidarsi nel ballottaggio del 20 agosto saranno Sandra Torres (Unidad Nacional de la Esperanza) e Bernardo Arévalo de León, del Movimiento Semilla, di ispirazione progressista e tra i pochi a non aver sottoscritto il manifesto antiabortista che ha cercato di imporre a tutti i candidati l’associazione di ultradestra cattolica La Familia Importa, dal titolo “Vida y Familia”.
di David Lifodi
Foto: https://www.nodal.am/
Sarà il ballottaggio del prossimo 20 agosto a decidere chi sarà il prossimo presidente del Guatemala. Il primo turno, che si è tenuto lo scorso 25 giugno, è stato caratterizzato da una altissima percentuale di astenuti da cui sono usciti più votati Sandra Torres (Unidad Nacional de la Esperanza) e Bernardo Arévalo de León (Movimiento Semilla).
Il 17,39% delle schede bianche ha superato sia il numero di consensi di Sandra Torres, fermatasi al 15,68% delle preferenze sia quelli di Bernardo Arévalo de León, al secondo posto con poco più dell’11% dei voti.
L’astensionismo e diversi episodi di violenza hanno caratterizzato la giornata elettorale, a cui gli elettori hanno partecipato all’insegna di un diffuso disincanto nei confronti di una classe politica totalmente screditata in un paese devastato da una crisi economica senza fine e messo in ginocchio da una corruzione dilagante. A pesare sulla sfiducia dell’elettorato anche la discussa esclusione dalle votazioni del Movimiento para la Liberación de los Pueblos (Mlp) che avrebbe candidato alla presidenza la lottatrice sociale e leader indigena Thelma Cabrera.
Definito da alcuni analisti politici come un paese in cui vige una “dittatura corporativa” promossa da un “patto tra corrotti”, il Guatemala che resiste, una volta preso atto dell’esclusione del Mlp, che con ogni probabilità avrebbe raggiunto quantomeno il ballottaggio, almeno in parte ha scelto di votare per un partito di ispirazione progressista come Semilla, fondato nel 2015 proprio da Bernardo Arévalo de León a seguito delle proteste contro la corruzione che lo avevano portato ad identificare come una delle sue principali esponenti il procuratore generale Thelma Aldana, prima della lotta scatenata dall’estabilishment guatemalteco contro la Comisión Internacional contra la Impunidad en Guatemala – Cicig, tanto da candidarla alle scorse presidenziali.
Figlio del presidente Juan José Arévalo, alla guida del paese dal 1945 al 1951, e primo presidente democratico dopo i 13 anni della dittatura di Jorge Ubico, Bernardo Arévalo de León è stato vice ministro degli Esteri tra il 1994 e il 1995 e all’interno del Congresso ha fatto parte delle Commissioni su Diritti umani, Sicurezza nazionale e Scienza e tecnologia tra le altre.
Quanto a Sandra Torres, non è la prima volta che partecipa alle presidenziali in qualità di candidata. Nel 2015 la donna, ex moglie del presidente Álvaro Colom, dal quale si separò proprio per poter concorrere alle elezioni, fu sconfitta dal candidato, ed ex comico, di estrema destra Jimmy Morales. Il suo partito, l’Unidad Nacional de la Esperanza, inizialmente su posizioni vagamente socialdemocratiche all’epoca della presidenza Colom, in realtà nel corso degli anni è scivolato su ideali molto conservatori, tanto da aderire, insieme a gran parte degli schieramenti politici, al proclama “Vida y Familia” dell’associazione La Familia Importa, schierata contro l’aborto e apertamente ostile agli omosessuali.
Tra i pochi partiti i cui candidati avrebbero partecipato alle presidenziali, a non aderire a questo manifesto dell’intolleranza vi sono proprio Semilla e la ex guerriglia, adesso partito politico, di Urgn Maíz-Winaq.
Ad uscire vincitrice da questo primo turno elettorale vi è sicuramente Thelma Cabrera, che, insieme ad altri candidati esclusi dalle elezioni, tra cui Carlos Pineda (Prosperidad Ciudadana) e Roberto Arzú (Podemos), aveva invitato l’elettorato a non recarsi alle urne oppure a votare scheda bianca denunciando una probabile frode elettorale.
Il cosiddetto “sciopero elettorale” a cui avevano invitato i candidati esclusi ha dato i suoi frutti ed è quasi certo che, a meno di improbabili cambiamenti, il prossimo presidente guatemalteco sarà votato da una minoranza della popolazione. Il Guatemala registrò la minor partecipazione elettorale della sua storia nel 1995, quando a vincere fu Álvaro Arzú, ma con un tasso di astensione intorno al 70%. Del resto lo screditato presidente uscente, Alejandro Giammattei, era stato eletto nelle ultime presidenziali da poco meno di un sesto del corpo elettorale.
Sull’esito del ballottaggio peserà molto il voto degli indigeni maya, ampia maggioranza nel paese. “Nuestra meta es gobernar como gente maya”, ha ripetuto il Movimiento para la Liberación de los Pueblos e bisognerà capire se il suo elettorato sarà disponibile a votare per Semilla, che, almeno in passato, ha guardato con un po’ troppa ammirazione all’exploit dell’ambiguo Nayib Bukele in El Salvador, presentatosi come “il nuovo” e sfruttando al meglio la sua giovane età per poi governare a colpi di decreti legge e all’insegna di uno stato d’assedio permanente. A dichiarare la vicinanza con Bukele, era stata la stessa Thelma Aldana.
Infine, come si comporteranno Semilla e il suo candidato di fronte alla costruzione di nuove centrali idroelettriche e all’esproprio delle terre a scapito delle comunità indigene? E quali saranno le mosse della dittatura corporative per dare l’impressione, al paese, che tutto cambi perché niente cambi?