Guerre minerarie in Perù
di David Lifodi
Da decenni la società peruviana è divisa a proposito dell’estrazione mineraria, ma è dall’inizio degli anni Duemila che la cosiddetta “febbre dell’oro” si è propagata tra economisti neoliberisti, governi e presidenti disponibili ad aprire le porte del paese agli investimenti stranieri. Il ritornello è sempre lo stesso: lo sfruttamento intensivo minerario genera ricchezze, posti di lavoro e progresso. In realtà, le controindicazioni sono molteplici in un Perù in cui, secondo la Defensoría del Pueblo, attualmente sono in corso almeno settanta conflitti sociali aperti contro le multinazionali minerarie.
Secondo la Sociedad Nacional de Minería, Petróleo y Energía, i movimenti sociali che si oppongono all’estrattivismo minerario sono finanziati dalle organizzazioni non governative internazionali, ma, al contrario, sono le imprese a giocare sporco, assoldando guardie armate e violando i diritti umani e ambientali, come sta avvenendo nell’ambito del progetto minerario Tía María con la transnazionale Southern Copper Corporation. Una recente indagine di OjoPúblico evidenzia che il ministero dell’Energia e delle Miniere ha autorizzato le operazioni estrattive per ben venticinque imprese in territorio quechua senza alcuna consultazione delle comunità indigene coinvolte. Tra le multinazionali che ne hanno approfittato, non facendoselo ripetere due volte, troviamo: Aguila American, Consorcio Minero Horizonte, Sociedad Minera El Brocal, Maxi Gold Perù, Ferrobamba Iron, Minera Milpo e Compañía de Minas Buenaventura. Da alcuni mesi i maggiori conflitti sociali si sono registrati per la miniera Las Bambas, nella provincia di Cotabambas, dove l’occupazione militare per reprimere le proteste ha causato morti e feriti tra i dimostranti. Dipinto come il maggior progetto minerario del paese (ma lo stesso discorso era già stato ripetuto per Conga e Tía María), Las Bambas da gennaio 2016 produrrà 400mila tonnellate di rame all’anno. Las Bambas fu acquistata nell’aprile 2014 dal gruppo cinese-australiano Mmg Glencore-Xstrata in una delle operazioni economiche più importanti mai avvenute prima in Perù. Furono assunti circa diecimila lavoratori, poi licenziati non appena trascorsa la fase di maggiore urgenza per far partire il progetto, ma l’economia della provincia di Cotabambas e il tenore di vita degli abitanti non sono migliorati: povertà e malnutrizione continuano a rappresentare due delle maggiori emergenze sociali della zona. Di fronte alle proteste dei campesinos, relative soprattutto al consumo di 800 litri di acqua al secondo del fiume Chalhuahuacho a causa della miniera, nonché alla raddoppiata presenza dei camion dell’impresa, che per trasportare il rame attraversano le comunità indigene e contadine, la protesta è andata crescendo, ma, come già accaduto altre volte, il presidente Ollanta Humala non ha trovato niente di meglio che imporre lo stato d’assedio. In quattro anni di presidenza Humala, annota Raúl Zibechi, sono già 49 i morti causati dalla repressione scatenata contro la protesta anti-miniere. La criminalizzazione della protesta sociale avviene in maniera sistematica, non a caso il Perù occupa la poco invidiabile quarta posizione in classifica tra i paesi dove sono uccisi il maggior numero di attivisti ambientali. In pratica, non c’è alcun villaggio, cittadina o accampamento vicini ad una miniera che non abbiano dei processi aperti per aver cercato di sabotare l’estrazione mineraria. La guerra mineraria, evidenzia ancora Zibechi, si sviluppa contro i popoli e rappresenta una nuova forma di colonialismo tramite la quale occupare territori in maniera illegale, creare economie dipendenti, usurpare i beni comuni, violare la sovranità territoriale e alimentare, militarizzare intere regioni. Nello specifico, Humala si è preso gioco delle comunità indigene ottenendo il loro voto e poi, dopo aver promesso in campagna elettorale che non avrebbe mai autorizzato l’estrazione mineraria in Perù, operando uno dei suoi tanti voltafaccia. Inoltre, per sostenere i progetti legati alle miniere, lo stesso Humala si è alleato con economisti a lui vicini, i quali sostengono che l’eventuale sospensione delle licenze per l’estrazione mineraria concesse alle multinazionali rappresenterebbero un vero e proprio colpo allo stato di diritto. Addirittura, Ollanta Humala appare poco deciso nei confronti del radicalismo antiminero, per loro il principale colpevole della povertà e del ritardo del Perù rispetto ad altri paesi del continente. Nemmeno una parola, invece, sul recente Proyecto de Monitoreo de Amazonia Andina (Maap), dal quale emerge che l’estrazione illegale di oro in una sola aerea dell’Amazzonia peruviana consuma quotidianamente una superficie di bosco equivalente a due campi e mezzo di calcio. A distanza di un anno, dal 2014 al 2015, sottolinea ancora Maap, sono scomparsi altri 750 ettari di bosco.
La contaminazione dei fiumi a causa dello sversamento dei metalli pesanti, lo spargimento di cianuro e mercurio che causa gravi malformazioni tra i bimbi appena nati e gravi malattie per l’intera popolazione non sembrano interessare Humala e i sostenitori dello sviluppo minerario a tutti i costi, al contrario della crescita del prodotto interno lordo di cui godranno i soliti noti.