Hamlet

susanna sinigaglia

Hamlet

William Shakespeare

Regia e adattamento

Antonio Latella

https://www.piccoloteatro.org/it/2022-2023/hamlet

Alla prima di Hamlet, il 1° ottobre, mi è capitato di vivere un’esperienza piuttosto insolita: sono entrata al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano alle 14 e ne sono uscita definitivamente alle 20,45. Infatti l’opera teatrale si svolge lungo l’arco di quattro ore e mezzo, ma intervallate da varie pause per cambi scena e ristoro degli attori, nonché degli spettatori. Con l’occasione il testo è stato ritradotto e riadattato da Federico Bellini, che vi ha proposto alcune innovazioni linguistiche probabilmente per rendere certe battute più recepibili e pregnanti all’ascolto di noi contemporanei, anche se con toni a volte un po’ troppo inclini al gergo colloquiale.

Ne è sortito un lavoro complesso, su più registri, che è riuscito a restituirci appieno lo spirito shakespeariano: dal drammatico, al comico, sardonico, tragico.

Un’altra caratteristica del lavoro, che lo ha reso in certi passaggi particolarmente spassoso, è l’interpretazione di più ruoli da parte degli attori con effetti spesso esilaranti. È il caso di Andrea Sorrentino che è simultaneamente Rosencrantz e Guildenstern, una coppia di individui identici, sovrapponibili; un elemento che il regista sembra aver così voluto sottolineare contrapponendo il lato farsesco alla loro inevitabile, tragica fine.

Il lavoro si struttura intorno a un maestro cerimoniere-voce narrante-suggeritore, e anche interprete di Orazio, che compare per primo e introduce il quadro entro cui si svolge il primo atto. Indossa un completo blu. Al momento opportuno entrano in scena gli attori/attrici in giacca, camicia, pantaloni color avorio; una parte di loro va a occupare il settore di platea-anfiteatro lasciato libero dagli spettatori[1].

Il testo segue fedelmente le sequenze dell’originale: a Elsinore, sugli spalti del castello, Bernardo va a dare il cambio-guardia a Francisco e sarà raggiunto da Marcello e Orazio ai quali racconta la visione dello spettro apparsogli le due notti precedenti. Dapprima incredulo, Orazio deve arrendersi all’evidenza; avvertirà Amleto, che incontrerà il fantasma del padre con tutto quel che ne seguirà.

Varie però sono le novità proposte dalla regia di Latella.

Innanzitutto l’allestimento, scarno, che presenta in primo piano l’inginocchiatoio da cui Hamlet esibisce la sua finta follia, la sua disperazione e il suo tormento, e alle spalle nude panche di legno a evocare l’interno di una chiesa: il sacro del teatro come rito.

Poi i ruoli. Mentre in epoca vittoriana anche i personaggi femminili erano affidati a uomini, qui alcuni personaggi maschili sono interpretati da donne. In primis lo stesso Hamlet assegnato a una giovane donna, Francesca Rosellini, e il fantasma di Hamlet padre, interpretato da Anna Coppola. La rappresentazione del fantasma diventa dissacrante, derisoria; la Coppola appare coperta da un lenzuolo su cui è disegnata la faccia del fantasmino di Ghostbusters; quasi una bestemmia.

Alle innovazioni nel testo si è già accennato sopra: alcune piccole aggiunte hanno perfettamente rispettato lo spirito di quello shakespeariano, altre meno. In particolare all’inizio dell’ultimo atto, il quinto, quando Hamlet trova il teschio di Yorick, il buffone di corte, il dialogo fra Hamlet e Orazio mi è sembrato eccessivamente frivolo. È vero che lo scambio di battute ha funzione d’intermezzo, di sospensione; come una pausa per riprendere fiato, una riflessione sulla vita e la morte prima di essere travolti dalla tragedia incombente. Però…

Poi i costumi, che vedremo d’epoca per la prima volta indossati dagli attori della compagnia ambulante quando entrano in gioco per narrare la vicenda di Gonzago, assassinato a tradimento come il re-padre di Amleto.

In seguito assisteremo al cambio costume, dopo la morte di Polonio e Ofelia, della regina che indossa un abito a lutto nero con collo alto, corpetto e gonna ampia in stile elisabettiano, imitata poi anche da tutti gli altri personaggi.

Molto peso è stato dato al canto e alla musica. Sia Hamlet che Ofelia intonano canzoni. Afferma Antonio Latella in un’intervista rilasciata in due distinti momenti, prima dell’interruzione della messa in scena a causa del lockdown e prima della messa in scena dell’opera nel giugno 2021:

“La musica riconduce al silenzio. Laerte siede al piano, perché porta con sé la musica di Ofelia, ma non riesce a suonarlo: batte tasti che non producono note. La melodia esploderà nel momento in cui il teatro, quando gli attori arrivano a corte”, farà il suo ingresso “portando con sé la follia, che non è della sola Ofelia ma riguarda tutti. Al dilagare della follia, le note tornano a cadere a pioggia, le melodie si scompongono e si ricompongono.”

Per quanto riguarda la scenografia, particolarmente efficace è l’azione di scoprire a scena aperta – da parte di Hamlet che solleva a una a una le assi dell’impiantito – una buca quadrata al centro del palco, alla stregua di una buca da suggeritore, con funzione di volta in volta diversa:

per gli attori che rappresentano la tragedia di Gonzago davanti alla corte, di apparato scenico;

riempita d’acqua, di stagno dove affoga Ofelia;

 

 

 

 

 

 

 

riempita di terra, di cimitero dove Hamlet trova il teschio di Yorick.

O anche quella in cui attrici e attori spingono sul palco lunghi stand appendiabiti a rotelle e li sistemano in cerchio a formare una specie di labirinto che avvolge Hamlet a spirale per poi riaprire lo spazio a semicerchio collocando infine gli appendiabiti lungo i lati del palco.

Forse in questo modo si vuole affermare che il protagonista insieme ad Amleto è il teatro, e innanzitutto il Globe Theater che la forma a semicerchio del Piccolo Teatro Studio vuole evocare, con tutti i personaggi che l’hanno attraversato nei secoli. Ma il teatro è protagonista proprio perché attraverso la finzione, la metafora teatrale, rappresentata a corte si svela l’omicidio del re e prenderà forma compiuta il destino di Hamlet che precipiterà nella tragedia finale.

Linda Dalisi, che ha curato la drammaturgia dell’opera, si chiede: “perché è così immenso Amleto?”

Sembra rispondere alla sua domanda proprio Latella quando afferma, sempre nella sopracitata intervista:

“La dramaturg Linda Dalisi ha svolto il ruolo di un detective, continuamente a caccia di informazioni, di tracce. In questo modo ha accompagnato gli attori attraverso buona parte degli Amleti del Novecento […] per comprendere che il testo resta e resterà l’unico elemento fondante: le regie saranno dimenticate, le interpretazioni cadranno nell’oblio… Il testo è e sarà l’unico documento cui sarà dato, in futuro, di raccontare la storia di Amleto […]. A ogni epoca l’umanità ha guardato se stessa attraverso gli occhi di Amleto. Il lavoro di Linda ha aiutato gli attori ad assumersi la responsabilità di parole che hanno attraversato il tempo e i secoli, ogni volta facendosi specchio della contemporaneità.[2]

Questo è il segreto di Amleto, la ragione per la quale ci sembra che il testo, e in particolare il famoso monologo dell’atto III, sia stato appena scritto ieri per noi.

… il resto è silenzio.

 

[1] Chi non conoscesse il Piccolo Teatro Studio Melato deve sapere che ha una struttura ad anfiteatro, con sedute a gradoni in platea e gallerie su due piani a balconcino che le fanno da contorno.

[2] Gli stralci delle due interviste sono stati tratti da

https://udite-udite.it/2021/06/hamlet-la-nuova-produzione-del-piccolo-teatro-di-milano-diretta-da-antonio-latella-dal-5-giugno-in-prima-nazionale/

Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

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