(H)ammmett-iamolo, era un grandissimo
Un vero americano, patriota e combattente. L’uomo che cambiò per sempre il poliziesco. Un geniale ubriacone. Operaio. Agente di cambio. Un pinkerton man (cioè un poliziotto privato) che diventò marxista. Il pigmalione di Lilian Hellman. Ma anche il ribelle che si fece mandare in galera per non collaborare con i giudici maccartisti. Tutto questo fu Samuel Dashiell Hammett del quale in questi giorni cade il 50° anniversario della morte.
Cinque romanzi famosissimi e uno “minore” («Un matrimonio d’amore»), un centinaio di racconti molti dei quali recuperati postumi, ma forse c’è ancora qualche inedito. L’antologia più completa – 1600 pagine, tutti i romanzi ma solo una quindicina di racconti – è stata curata da Franco Minganti per i Meridiani Mondadori.
E’ proprio Minganti dunque la persona giusta cui chiedere cosa resta attuale di Hammett: «Quasi tutto. E infatti resta lui la fonte di alcuni tra i film più interessanti, come mel ’90 quello dei fratelli Cohen. Non è un caso però se l’attenzione oggi si concentra soprattutto su “Raccolto Rosso” e sui racconti dell’investigatore Continental Op. La sua rivoluzione non è solo nello stile o nelle trame ma nel mostrare un mondo di grigi anzichè bianco e nero, il facile manicheismo di buoni e cattivi: Dash cerca di ampliare il dubbio, scavando nei rapporti fra gli individui e le diverse idee di società, dentro una società puritana dunque molto diversa dalla nostra impregnata di cultura cattolica. E invita ognuno a prendere le sue responsabilità».
Da noi Dash – come lo chiamarono gli amici – è noto soprattutto per i libri che hanno ispirato pellicole famose, dunque in primo luogo «Il mistero del falco» e «L’uomo ombra» ma anche per un noir di Joe Gores a lui dedicato e titolato che poi Wim Wenders trasformò in un bellissimo film.
Se si leggono – o rileggono – anche i racconti riuniti in «L’istinto della caccia» (titolo hammettiano quanto pochi), in «Continental Op» o in altre antologie si capisce che è lui – molto più che Raymon Chandler – ad aver cambiato ritmo al noir, influenzando temi e scritture sino a oggi. C’è una frase famosa di Chandler (in «La semplice arte del delitto») che gli rende merito: «Hammett da principio e sin quasi alla fine ha scritto per quelli che prendono la vita di petto […] Ha restituito il delitto alla gente che lo commette per ragioni vere o solide e non semplicemente per fornire un cadavere ai lettori».
Non c’è solo verità, ritmo e aggressività in Dash. Chi mediti 60 secondi su «Raccolto rosso» («Piombo e sangue» nelle prime traduzioni) si accorge che Hammett scrive una storia di gangster come Marx spiega uno scontro fra capitalisti. E quando nel 1979 una guerra di mala a Milano fece 8 morti, sul «Corriere della sera» Oreste Del Buono – cercando di decifrare quel sanguinoso rebus – rimandò proprio a Poisonville, cioè «la città avvelenata» narrata da Dash in quel libro.
Se a leggere oggi il brevissimo «Notturno» si resta esterrefatti per il colpo di scena finale (letterario e sociale) si può immaginare come può avere impressionato negli anni ’30. Tutto vero? Spesso l’investigatore senza nome di alcuni racconti hammettiani spiega che «i fatti sono quelli» anche se ha usato pseudonimi.
Tutti a osannare lo stile di un Hemingway e molti a negare la originalità di Hammett o un sottofondo filosofico e sociale a quanto scriveva. Invece, a ben vedere Dash è sempre pronto, senza parere cioè con leggerezza, a parlarci del complesso mondo nel quale viviamo e non solo di cadaveri caldi. Delitti, desideri, soldi, illusioni e concretezze come spiega alla fine del «Falcone maltese» nella battuta diventata famosa grazie al Sam Spade che Humprey Bogart portò sullo schermo: «Di che materia è fatto il falcone? Della materia di cui sono fatti i sogni».
Nel bel mezzo di un racconto («Incendio doloso») Hammett butta lì una frase: «non che ci aspettassimo di trovare qualcosa ma è nella natura dell’uomo rovistare fra le macerie». In cerca di appigli per verificare somiglianze e differenze fra gli investigatori-cacciatori e le persone normali che, a volte, si interrogano sul senso delle loro vite.
Allo stesso modo senza un apparente senso all’inizio del «Falcone maltese» l’investigatore Sam Spade racconta alla sua cliente la breve vicenda di Flitcraft, uomo qualsiasi scomparso senza motivi apparenti: chiunque legge queste tre pagine si domanda (come la cliente) cosa c’entri codesta vicenda e le sue conclusioni – la eccezionalità che ridiventa banalità – con la spietata caccia al prezioso falcone. La risposta è: niente o tutto, come se appunto cercassimo un semplice e logico meccanismo in cui chiudere le esistenze.
Sentite anche questa (nel bellissimo «Il bacio della violenza»): «dipende […] da ciò che i giornali scriveranno sperando di dire quello che, secondo loro, i lettori vogliono sapere». E nello stesso romanzo colpiscono due pagine sulla «normalità» che potrebbero, per profondità, essere state scritte da Basaglia o Goffman.
C’è una frase, un’idea che deve essergli molto piaciuta perchè Dash la ricicla un paio di volte: «Per dirla in poche parole: esistono due maniere di pensare a questo mondo. Quello che ti porta ad avere ragione nelle discussioni e quella che ti porta a scoprire le cose». Per lui valeva, con ogni evidenza, la seconda.
Davvero fu comunista? Lilian Hellman, il suo grande amore, scrive di non saperlo ma aggiunge: «certamente era un marxista ma con un gran senso critico». Leggenda vuole che ormai malato alternasse le letture di Engels e di «Dracula» ad alta voce per il piacere di una sola ascoltatrice: la tartaruga di casa Hellman. Fu accusato di essersi iscritto al Partito comunista e di averlo finanziato con le vendite dei suoi libri. Venne processato e condannato: quella galera diede il colpo finale alla sua salute già molto compromessa da tbc e alcool. Sugli interrogatori di Dash circolano molte leggende compresa quella di una sua geniale battuta (a Richard Nixon, un giovane avvocato che più tardi sarà presidente degli Stati Uniti) che gli costò due anni di galera per «oltraggio alla corte». In realtà fu condannato per «disobbedienza […] non avendo voluto consegnare i documenti chiesti dalla Corte». Al suo ritorno in libertà il suo nome era sulle “liste nere”: Hollywood troncò ogni rapporto di lavoro con lui, le trasmissioni radiofoniche basate sui suoi materiali furono sospese, le biblioteche tolsero i suoi libri (e dovette intervenire il presidente Eisenhower per riportarli negli scaffali). Chi volesse capire il clima di quegli interrogatori può cercare «Imputato Hammett» nella collana millelire (ssl: sempre sia lodata) di Stampa Alternartiva o il più recente «Mi rifiuto di rispondere» (Archinto).
Di fronte alla Commissione per le attività anti-americane Dash si mostrò, a dir poco, indisponente. La linea difensiva scelta dagli avvocati era non rispondere appellandosi agli emendamenti della Costituzione che garantiscono libertà di pensiero. Ma qualche battuta lui non se la fece scappare. Sentite questo scambio fra lui e uno degli inquisitori. «Signor Hammett, se lei fosse nella mia posizione, autorizzerebbe i suoi libri nelle biblioteche degli Stati Uniti?». Risposta: «Se io fossi in lei senatore non autorizzerei le biblioteche».
UNA BREVE NOTA (E UN… PO’ DI MOSLEY)
Questo mio articolo è uscito il 15 gennaio sul quotidiano “L’unione sarda”. Nei prossimi giorni spero di avere l’autorizzazione per ampliare il ricordo di Hammett con un saggio di Franco Minganti. Nel frattempo – debbo sempre a Franco la scoperta di questa chicca – riprendo la voce “Poisonville” dall’interessante progetto “A New Literary History of America” (a cura di Greil Marcus e Werner Sollors, Harvard University Press, Cambridge, Mass. 2009); ne è autore Walter Mosley – scrittore afroamericano noto soprattutto per l’investigatore Easy Rawlins, da “Il diavolo in blu” (1990) in avanti – che vi consiglio assai. (db)
POISONVILLE, LA CITTA’ AVVELENATA
“Hardboiled è uno stato dell’essere […] La condizione hardboiled è quando un uomo o una donna, o un’intera nazione di uomini e donne, è spinta ai limiti fisici, emotivi, economici e/o intellettuali — passato, presente e futuro immaginabile; è quando arriva una mazzata e non ci sono amici su cui poter contare e nemmeno un attimo di tempo per riflettere. In un mondo hardboiled non c’è il bianco e nero, nemmeno diverse sfumature di grigio, nessuna innocenza […]
La lingua dell’hardboiled non è stata messa a punto dall’élite intellettuale o scoperta da professori universitari che poi l’hanno resa popolare. Questa lingua è stata strappata di bocca alle masse uscite dai guai della rivoluzione industriale di fine Ottocento-inizi del Novecento. Si è esasperata negli speakeasies ed è uscita, urlante, dal jazz e soprattutto dal blues dei neri. E’ una lingua ridotta all’osso perchè è l’idioma della sopravvivenza, di quell’attimo in cui è tutto-o-niente. […]
Nelle pagine di un qualsiasi romanzo hardboiled degno di tale nome viene articolata la domanda: E’ possibile comportarsi rettamente in un mondo andato a male [Can I do right in a world gone wrong]? […] Non c’è una sola risposta possibile. La gente del mondo hardboiled ha dovuto improvvisare sin da quando è nata. Lo scrittore potrebbe avere un’idea di cosa sia giusto e creare un mondo in cui la conclusione, se non proprio un lieto fine, sia almeno soddisfacente. […]
Per me il personaggio più importante in assoluto del genere è il Continental Op, il detective senza nome di Dashiell Hammett […] E se il C.O. è l’epitome dell’eroe hardboiled, allora il romanzo imperfetto Red Harvest rappresenta il massimo delle sue avventure. Lo definisco romanzo imperfetto perché il genere hardboiled è una forma d’arte a se stante, restia, incapace di cambiare la propria struttura per altri sistemi di pensiero, espressione o sviluppo. […]
Alla fine del romanzo i crimini vengono risolti e la città si ritrova sottoposta a legge marziale, ma questo non ha nulla a che vedere con la storia. Alla fine del libro l’Op ha le mani insanguinate, è sporco di sangue su fino alle spalle. Ci era stato detto che era un eroe. Aveva tentato di dirsi da solo la stessa cosa. Ma alla fine, diversamente dagli altri esistenzialisti, Hammett sapeva, e ci fa sapere, che sì, siamo tutti colpevoli, sia che prendiamo posizione sia che non lo facciamo, sia che rispettiamo le regole sia che non lo facciamo, sia che nel profondo del cuore vogliamo fare le brave persone — oppure no”.
Daniele Barbieri è una canaglia.
Ma cristo: sono incasinato, ho altro da fare, ho ben altro da fare, ho il mio bel daffare, eppure ora mi toccherà comprare il Dash e leggerlo perchè me ne ha fatto venire voglia uno di Imola.
hammett ammetto d’amarti…
Grandissimo Dash, ho amato tutti i suoi romanzi, ma il ciclo di racconti di Continental Op mi sta esaltando davvero. Quanta miseria umana e quanta eleganza in un pugno di righe. Un filosofo in bretelle, ecco il mio Hammett…