Hénaff, Malvaldi, Nesbø, Sarasso e Xiaolong

5 recensioni in giallo/noir di Valerio Calzolaio

Calzolaio-copMalvaldi

Simone Sarasso

«Da dove vengo io»

Marsilio

New York, 1901-1927. Salvatore Lucania Charlie Luciano il Cervello, Meyer Suchowlańki Lansky il Giocatore, Benjamin Bugsy Siegel il Matto, Francesco Castiglia Frank Costello il Pistolero, erano figli di emigranti poveri italiani ed ebrei si conobbero nel Lower East Side e decisero di farsi Re. Riuscendoci. Attraverso gioco d’azzardo, furti, botte, sparatorie diventarono quattro padroni del crimine. E il Proibizionismo consentì loro il salto di qualità. Simone Sarasso (Novara, 1978) scrive bei gialli da quasi una decina d’anni. Con «Da dove vengo io» inizia una saga (di almeno 9 volumi) su un secolo della storia criminale di New York, dal 1901al 2001. Il novanta per cento è storia vera, tutto è romanzato, la colonna sonora dei Green day, 19 citazioni dell’ottavo album (2009) “21st Century Breakdown”, una per capitolo.

 

 

Sophie Hénaff

«La brigata dei reietti»

traduzione di Margherita Botto

Einaudi

Parigi. Fine estate 2012. La brillante commissaria 37enne Anne Capestan, originaria della Creuse, castana e aggraziata, medaglia d’argento di tiro alle Olimpiadi di Sidney, 15 anni d’anzianità, ha usato la pistola una volta di troppo (tre colpi al cuore di uno schifoso) da sei mesi è in sospensione cautelare e il marito se ne è andato. Infine, il suo capo e mentore Buron, direttore regionale della polizia giudiziaria, la chiama al 36 Quai des Orfèvres, viene reintegrata da settembre per comandare un’unità di elementi poco ortodossi: alcolisti, depressi, scansafatiche, portasfiga, sulla carta una quarantina di tipi così, chissà quanti si presenteranno! Li piazzano all’ultimo piano di uno stabile anonimo, senza targa né citofono, nel quartiere de Les Halles vicino la Fontaine des Innocents, mobilio precario, computer vecchi. Se qualcuno si presenta e proprio vogliono, possono indagare sulle indagini rimaste aperte di tutti i commissariati e di tutte le brigate della regione. Lei e il presunto iettatore Torrez scelgono il caso di un’anziana strangolata in casa nel giugno 2005, appassionata di tango, viveva a Issy-les-Moulineaux. L’incontenibile odiata scrittrice e sceneggiatrice Rosière e l’alto gay (vedovo) ex membro della disciplinare Lebreton provano ad occuparsi di un omicidio del 1993. La giovane giocatrice compulsiva tenente Évrard e l’avvinazzato capitano Merlot stanno dietro a un pusher che lavora al parc Monceau, hanno bisogno dell’aiuto di tutti quando scoprono che c’è di mezzo il figlio di un potente sottosegretario.

La giornalista («Cosmopolitan») Sophie Hénaff ha vinto un paio di premi in Francia nel 2015 col suo primo allegro godibile romanzo, in terza varia (e qualche raro breve inciso su trascorse vicende in Florida). L’illustrazione di copertina è la stessa dell’originale (intitolato “Poulets grillés”), la capa e i tre colleghi in piena corsa, vestiti come si deve, ingestibili, indesiderabili. Nell’impossibilità di destituirli, li hanno messi in quarantena, sbirraglia indegna del dipartimento, insieme dentro un camion della spazzatura, all’insaputa degli stessi magistrati; via via arrivano una decina di poliziotti. Anne è brava a motivarli: possono finalmente indagare davvero senza conti da rendere. Spulciando fra casi irrisolti (che nessuno vuole risolti), devono mostrare che valgono qualcosa, incappano in una vecchia storia di un naufragio sulla rotta da Miami, in un inatteso delitto precedente e poi nell’omicidio della vedova su cui stanno indagando. Strapperanno almeno un’auto decente. Anne traduce i codici dei portoni, per memorizzarli. Il povero Torrez sa l’effetto che fa: «malattia, rovina, incidenti, per te, per i tuoi cari, a fuoco lento e senza gloria. La sfiga ti infetta dove meno te lo aspetti». Lebreton ha un apprezzabile e significativo “radicato rifiuto di sparlare”. Non solo Merlot preferisce il côtes-du-Rhône. Nella cucina della brigata, Rosière sperimenta la sua ricetta di spaghetti cipolla, olive e parmigiano, niente male pare! Gusti musicali variegati: da Brassens ad Adamo, da Yves Duteil a Otis Redding. E molti leggono “gialli”.

 

 

Qiu Xiaolong

«Il Vicolo della Polvere Rossa»

traduzione di Fabio Zucchella

Marsilio

Un vicolo di Shanghai. 1949-2005. Dalla Piazza Tian’anmen di Beijing, il primo ottobre 1949 Mao Zedong proclama la fondazione della Repubblica Popolare Cinese guidata dal Partito Comunista; il generalissimo capo del governo nazionalista Jiang Jieshi (Chiang Kai-shek) si rifugia nell’isola di Taiwan. La Costituzione arriverà 5 anni dopo, i “cento fiori” 7, la rivoluzione culturale 17 e via così fin quando, nel 2005, il PIL cinese crescerà ancora del 9,9%, una media annuale costante nell’ ultimo ventennio. La Storia statuale ed evenemenziale della Cina può essere vissuta e narrata dal microcosmo di una viuzza centrale di medie dimensioni di Shanghai, con stradine secondarie e facili accessi a luoghi importanti. Un padrone di casa vi introduce uno studente appena iscritto al college e potenziale inquilino, lo invita ad ascoltare le conversazioni sociali che vi si svolgono ogni sera per decenni, con protagonisti decine di personaggi, le loro fortune e sfortune, casi e caos, andate e ritorni, contingenze e lunghe durate. A causa della propaganda negativa sui comunisti, i ricchi della città avevano cominciato a fuggire con tutti i loro averi già nella primavera 1949, il governo era crollato, lui aveva portato sulla strada una lavagna e vi scriveva il “Notiziario delle notizie politico istituzionali del giorno” aggiornando i successi della giovane Cina socialista. Ogni tanto accade qualcosa d’interessante anche nei loro shikumen, il tipico gruppo di abitazioni a due piani (un tempo per una sola famiglia, dagli anni cinquanta per oltre dieci), stipiti d’ingresso in pietra, cortile interno comune: il commiato per un caro amico in partenza verso Hong Kong o l’improvviso ritorno di una giovane infermiera (data per morta) da un campo di prigionia in Corea.

Qiu Xiaolong (Shanghai, 1953) insegna letteratura comparata alla Washington University di Saint Louis e vive (emigrato) negli USA dal 1989. Ha moglie e figlia, è poeta e traduttore, scrive gialli dal 2000 e li consegna in inglese, innanzitutto alla critica e al pubblico americano, dai quali molto è stato premiato. Qui raccoglie con un unico filo narrativo oltre venti storie di granelli di sabbia (alcune riprendono ad anni di distanza, qualche personaggio ritorna, resta sempre il vicolo in cui si tramandano), prendendo sempre spunto da una notizia della grande storia dei notiziari ufficiali per vederne l’effetto (pure solo come sfondo) nella vita quotidiana di tanta povera gente, ogni volta voci commenti chiacchiere dialoghi pensieri in qualche modo connessi. I suoi romanzi (per certi versi anche questo lo è, datato 2010) risultano un successo in tanti Paesi e, con tagli e modifiche (la città non può essere menzionata, compare con la lettera H, in inglese), circolano (tradotti in ideogrammi) anche in patria, dove torna almeno una volta l’anno per aggiornarsi, con ironia e malinconia. Il nome del vicolo (e del libro) richiama la polvere di cui tutti siamo fatti e le connotazioni tipiche del colore (passione, sacrificio, vanità, rivoluzione). Lo stile è sempre garbato e allusivo, con frequenti citazioni di poesie e proverbi, trasmette con omeopatia e isomorfia una cultura molto diversa da quella occidentale. Qiu ha fatto molte di quelle esperienze e poi si è dovuto immergere in tutt’altro contesto. Con coraggio ora racconta quanto accadde e quanto sarebbe potuto accadere intorno a lui (o gli è stato riferito). Non bisogna aver fretta quando lo si legge, alla fine la Cina e i cinesi si capiscono meglio, senza pregiudizi e ideologie.

 

 

Marco Malvaldi

«La battaglia navale»

Sellerio

Pineta, Pisa (e Lisbona). Fine aprile 2016. Il Pisa è promosso in serie B con 5 giornate di anticipo, il barista Massimo Viviani e la (più giovane) fidanzata Alice Martelli stanno per andare in vacanza in Portogallo (prenotata da sei mesi), nella spiaggia dei Sassi Amari di Pineta trovano l’annuale cadavere ma il caso lo segue la Questura del capoluogo. Tutto sembra scorrere come al solito. I tifosi nerazzurri festeggiano, i due innamorati partono, la morta viene identificata come Olga, giovane badante ucraina allergica al latte (non alla cocaina). Poi tutto si intorbida. Si tratta di una gufata per la squadra del Pisa (in realtà alla “griglia play off”), le belle serene vacanze si interrompono a metà quando qualcuno sporca con bombolette di vernice spray rossa le facciate di 4 delle 5 ville della Passeggiata del Saracino escludendo proprio quella dell’avvocato della badante (tal Alessandro Rossi, esperto di stalking), c’è del giallo e c’è della matematica anche nel nuovo romanzo della deliziosa serie del BarLume (dal 2007). Massimo è il proprietario del bar e da un po’ gestisce con Aldo (ultra70enne vedovo) anche l’attiguo Bocacito, ormai il più elegante ristorante della cittadina (musica barocca, biblioteca specializzata, bistronomie, “master” chef). Al bar le indagini le fanno pure gli altri tre noti vecchietti prostatici (tutti ispirati da personaggi reali): l’86enne nonno Ampelio ex ferroviere col bastone, il pensionato di destra Gino Rimediotti operato alla carotide (parla malissimo e solo premendo un pulsante della protesi), Pilade Del Tacca-del-Comune. Del resto, la 30enne Alice è il vicequestore di Pineta, bella e incazzosa. E questa volta chiedono aiuto anche al vecchio nostalgico compagno Armando Mastrapasqua che parlava “sovietico” e capisce quel che le badanti superstiti si dicono ai giardinetti ogni sera prima di cena.

Un altro successo per Marco Malvaldi (Pisa, 1974), la solita godibile comica narrazione in terza persona con pensieri in prima dei nostri amici e incursioni in prima del narratore. Il titolo richiama il giocare (lo sparare) alla cieca all’inizio dell’indagine per vedere la reazione che fa, dove le caselle sono vuote, in quale relazione le prime piene con le altre. Tanto più che Olga non è la sola a essere scomparsa. Innumerevoli sono le digressioni scientifiche e numeriche, sempre care al chimico pisano (già allievo di conservatorio e buon pongista) che da un decennio continua ad alternare i personaggi seriali di (finora) sei romanzi e otto racconti e di sei episodi televisivi Sky (uno era tratto da racconto), pezzi unici gialli storici o contemporanei (già quattro), competenti e pure divertenti saggi scientifici vari, con forte seguito di critica e di pubblico per lo stile curato e scanzonato insieme. Torna anche qui la teoria del “telefono senza fili” (Data Processing Inequality), si spiega cosa è l’informazione (potenziale) in matematica, si elucubra sugli errori del campionamento (sampling bias), si usa il servizio app TapeACall e si gioca con la scala empirica delle rotture di coglioni inventata dal collega di Alice, Rocco Schiavone (personaggio di Manzini, complice Sellerio). Le minestre per i vecchietti sono “clisteri per bocca”. Meglio il risotto con ceci e borragine di Massimo che la trippa di seppia alla mi’ maniera del cuoco Otello Brondi “Tavolone”. Troppo prosecco; e il brunello Mastrojanni Schiena d’Asino costa 130 euro al ristorante. Wagner sulla suoneria di Alice, che beve con goduria e di continuo i cappuccini preparati dal fidanzato.

 

 

Jo Nesbø

«Sole di mezzanotte»

traduzione di Eva Kampmann

Einaudi

Finnmark, a nord del Polo Nord. Agosto 1977. Ulf ha appena compiuto 35 anni, Leone. Sta fuggendo da settanta ore, milleottocento chilometri con treni e autobus (la capitale Oslo sta molto a sud, è più vicina a Londra o Parigi), tirando avanti col Valium arriva sfinito in capo al mondo, nel piccolo borgo di Kåsund, la contea confina con l’Unione Sovietica. È il periodo che non fa mai notte, non c’è bisogno di luce artificiale, il sole illumina quasi sempre il paesaggio piatto, monotono, brullo e silenzioso. Lunghi capelli da hippie, si presenta come un improbabile cacciatore in visita di piacere. Conosce un pastore luterano proprio basso con gambe storte e berretto da buffone, poi un bimbo con la madre, compra qualcosa da mangiare, affitta un capanno legnaia isolato, nasconde il marsupio con centotredicimila corone (un sacco di soldi), prova a riposarsi, è convinto che presto arriveranno per ucciderlo. In realtà si chiama Jon, lavorava per il potente pericoloso boss a capo di una pescheria e chiamato “il Pescatore”, non se l’era sentita di far fuori un tizio, così avevano spartito i soldi ed era scappato. Ora si sta ambientando bene fra renne e sami, il giovane Knut è proprio arguto e inventa freddure, la mamma 29enne Lea fa la campanara e la sagrestana, graziosa e sensibile. Lui scopre varie correnti religiose, frequenta sciamane, matrimoni e funerali, finché non torna il marito di Lea e arrivano i cattivi incaricati dal Pescatore. Ulf-Jon non riesce proprio a sparare e non sa se troverà il coraggio di perdere tutto un’altra volta.

Il famoso premiatissimo Jo Nesbø (Oslo, 1960) ha scritto dieci notevoli romanzi della serie di Harry Hole (1997-2013), quattro libri per ragazzi (2007-2012) e ora ambienta spesso nel passato le nuove storie. Nelle più recenti (2015-16, questo è del 2015) c’è sullo sfondo un genio del male (Pescatore) attorno a cui, bene o male, ruotano i veri protagonisti della narrazione, in prima persona, un buon killer dislessico prima, un buon criminale fifone qui. Jon Hansen aveva perso i genitori a 10 anni ed era cresciuto fino a 19 col nonno Basse ateo architetto (di chiese), assimilando approssimazioni in 13 anni di scuola; rimasto solo consumava parecchio hashish spacciando per procurarselo, poi il Pescatore gli aveva chiesto di fare il liquidatore (recupero crediti), per un po’ era andata bene, si era pure innamorato, aveva bisogno di denaro per le cure di Bobby, malata di leucemia, con la quale avevano fatto la piccola Anna. Ulf-Jon ha l’indice destro che non preme grilletti, non ama i dolci, fuma senza dipendenza, ascolta il jazz, beve molto. Col juke-box finalmente ballano più volte la canzone svedese d’amore di Monica Zetterlund, voce fredda e sensuale: “pian piano attraversiamo la città”. Nesbø è stato un discreto calciatore, giornalista, broker e continua a fare pure il cantante. Negli anni settanta e nei primi Ottanta aveva viaggiato e vissuto nel territorio della cultura sami e del læstadianesimo. Da quelle parti circolano varie porcherie alcoliche, raikas (latte di renna fermentato) e acquaviti; il merluzzo si beve con vino rosso.

 

 

Redazione
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