Hera non capisce i tubi: una storia di amianto e…

di 2mila chilometri (solo in Romagna) di condutture idriche rischiose per la salute pubblica

Appello di Davide Fabbri a Monica Mondardini e a Enzo Lattuca.

AMIANTO NELLE TUBATURE IDRICHE GESTITE DA HERA.

Da ieri la top-manager e dirigente d’azienda Monica Mondardini è la nuova rappresentante del Comune di Cesena all’interno del cda di Hera spa, su indicazione del sindaco cesenate Enzo Lattuca.

Mi permetto da subito di fare un appello a lei e ovviamente anche al sindaco di Cesena per capire se ci sarà un impegno per le bonifiche delle condutture idriche in cemento-amianto gestite da Hera.

Il rendiconto 2019 di Hera spa si è chiuso con ricavi per oltre 7 miliardi di euro, e più precisamente per 7.443,6 milioni di euro (+12,3% rispetto al 2018) con un utile netto per gli enti locali “azionisti” a 385,7 milioni (+36,8% rispetto al 2018). Questa società è pertanto nella condizione economica di far partire un piano organico di bonifiche.

In quasi tutti gli acquedotti italiani sono presenti tubature usurate in cemento-amianto: nella sola città di Cesena circa 40 chilometri di reti idriche e in tutta la Romagna oltre 2.000 chilometri.

Da anni – assieme a Vito Totire, presidente dell’AEA (associazione esposti amianto e rischi ambientali) – mi batto per far partire questo piano organico di bonifiche, chiedendo al gestore HERA cospicui investimenti per le sostituzioni delle vecchie tubazioni e per la manutenzione delle reti.

Occorre un impegno diretto dei sindaci e dei membri del cda di Hera per ridurre il rischio delle fibre di amianto ingerite nell’acqua. Occorrono azioni concrete – con cifre messe a bilancio in Hera – per la rimozione e sostituzione delle tubazioni obsolete in cementoamianto utilizzate per le acque destinate a usi potabili.

Da anni sosteniamo che l’acqua deve essere completamente indenne da sostanze cancerogene.

Pur se è partito un piano di Hera per la sostituzione delle vecchie reti, non sono ancora state adottate misure necessarie ed efficaci che coincidano con la bonifica graduale e integrale.

Le tubature in cemento-amianto hanno avuto grande diffusione a partire dalla seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso. Ne è stato completamente interrotto l’utilizzo con l’introduzione della legge 257 nel 1992, che ha stabilito il divieto di produrre e commercializzare i prodotti contenenti amianto. La concentrazione di amianto nell’acqua dovrebbe essere pari a zero (in realtà non è così). I danni alla salute dovuti al rilascio di amianto da parte delle tubature usurate si producono sia per ingestione che per inalazione. Studi scientifici mettono in evidenza il pericolo delle fibre di amianto ingerite con l’acqua (pur se il fenomeno è poco studiato). Inoltre l’amianto eventualmente contenuto nell’acqua può contribuire ad aumentare il livello di fondo delle fibre aero-disperse e quindi il rischio di una assunzione per via inalatoria (le fibre si possono respirare lavando i pavimenti o facendo la doccia, ad esempio).

La soluzione è legata alla sostituzione graduale di tutte le tubature in cemento-amianto con materiali che non ne rilasciano. Dovrebbe essere fatta al più presto, per evitare altre ripercussioni sulla salute delle persone. Un’operazione dal costo di milioni di euro: investimento affrontabile per le tasche del gestore HERA che ha fatto business sulle risorse ambientali ma finora non ha investito piu’ di tanto su questo fronte.

Cesena, 30 aprile 2020

Davide Fabbri, blogger indipendente

Davide Fabbri

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *