Hollande ad Algeri…

conti fatti con il passato ma non con il presente

diKarim Metref

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel Paese nordafricano con il quale è legato da una storia lunga e complessa. Ma questa visita è carica di significati e di attese. E qualcosa ha portato. Però, come sempre accade in politica, non tutte le promesse saranno mantenute.
La prima in assoluto fu la visita di Giscard D’Estaing nel 1975. Là le cose erano molto più complicate. La guerra d’indipendenza era ancora fresca nelle memorie dei due popoli. Quello algerino non aveva del tutto finito di leccare le profonde ferite lasciate dal conflitto.
La visita avveniva 4 anni dopo il 1971, in cui il presidente Houari Boumedienne aveva deciso di nazionalizzare tutte le risorse naturali del Paese. La Francia tentò un embargo economico sul giovane Stato ma invano. Erano altri tempi. Il ritiro delle competenze francesi fu subito colmato con l’arrivo di tecnici e ingegneri russi, polacchi, cecoslovacchi… Il boicottaggio dei vini algerini (fino a quell’anno l’Algeria era il primo produttore mondiale di vino) da parte degli importatori francesi portò semplicemente il governo algerino a eliminare molte delle monoculture imposte dall’economia coloniale e a introdurre al loro posto altri tipi di produzioni.
L’ex potenza coloniale si rese presto conto che l’Algeria non era Cuba. Era un Paese grande come tutta l’Europa, con molte terre fertili e un sottosuolo che faceva venire l’acquolina in bocca a molti. La visita di Giscard era una specie di riconoscimento mutuo.
Dopo quell’anno, ogni presidente francese ha visitato l’Algeria nei primi mesi della sua investitura. Anche se le relazioni non sono mai state molto cordiali. Ma da nessuna delle due parti c’era interesse per una rottura definitiva. Business must go on.

Una decolonizzazione dolorosa
Uno dei problemi più spinosi tra le due sponde è sicuramente quella della fase di decolonizzazione.
Dopo la seconda guerra mondiale il grande vincitore, gli Stati Uniti, aveva esortato i suoi alleati a uscire dal vecchio modello coloniale. Per praticare quello più sofisticato che loro già praticavano da più di un secolo in America Latina: il neocolonialismo. De Gaulle, verso il 1952, fece il giro delle colonie e dichiarò loro la fine prossima dell’era coloniale. Ma ne approfittò anche per designare chi avrebbe gestito il dopo indipendenza. Ciò avvenne per tutta l’Africa. Ma non poteva avverarsi in Algeria senza dolori. L’Algeria era diversa da tutti gli altri. Perché non era un protettorato né una semplice colonia militare. In Algeria c’era un milione di europei mandati a occupare il territorio. Era come il Sudafrica, quello che si chiama un colonialismo di popolazione. Ma gli europei erano 1 milione su 10 milioni. Una minoranza che aveva assolutamente bisogno della potenza militare della madre patria per mantenere i suoi privilegi.
La guerra d’indipendenza durò 7 anni e costò centinaia di migliaia di morti. La storia ufficiale algerina parla di un milione e mezzo. Cifra assolutamente esagerata. Ma quella reale mai stabilita con esattezza, si aggira comunque ben sopra il mezzo milione ed è altrettanto spaventosa.
La guerra a livello militare fu un vero e proprio un massacro di combattenti e civili algerini. Ma portò il Fronte di Liberazione Algerino a una eclatante vittoria politica che obbligò la Francia ad accettare l’organizzazione di un referendum di auto-determinazione il cui risultato era scontato. Nel 1962 le truppe francesi lasciano il suolo algerino. Dietro di loro, un milione di francesi d’Algeria viene preso dalla paura e si trasferì in massa verso la metropoli. Un altro dramma nel dramma.

I fantasmi del passato
Dopo l’indipendenza però la Francia non riconobbe che in Algeria vi fu una guerra e continuò a chiamarla “gli eventi”. Niente riconoscimento dei massacri o del sistema di apartheid che era in vigore. Negazione totale della tortura e dei metodi illegali usati durante la guerra. Né morti, né scomparsi: quel milione circa di persone si sarebbe evaporato da solo.
Nell’ottobre 1961, il FLN decide di portare la protesta a Parigi, nel cuore dell’impero. La polizia di Maurice Papon, ex collaborazionista con i nazisti riciclato da De Gaulle, non esita a compiere una vera e propria macelleria. Centinaia di manifestanti inermi sono uccisi a bruciapelo, annegati nel fiume, picchiati a morte… Ancora una volta Parigi si benda gli occhi e rifiuta di vedere (Leggere un mio post precedente sul 17 ottobre 1961).
In tutti questi anni nessuna alta carica dello Stato francese aveva osato rompere i tabù e riconoscere la verità. Eppure non tutti i presidenti francesi erano di destra. C’è stato anche il socialista François Mitterrand. Ma per il Mitterrand, che era il ministro della giustizia durante i primi anni della guerra, si trattava di riconoscere le proprie colpe in una repressione di cui è stato spesso l’eminenza grigia.
Tutto questo per arrivare alla straordinarietà delle parole pronunciate da François Hollande prima e soprattutto durante la sua visita a Algeri.

Un discorso tanti tabù
Nel discorso pronunciato di fronte ai parlamentari algerini, Hollande ha detto:
«Per 132 anni la popolazione algerina è stata esposta a un sistema profondamente ingiusto e brutale e questo sistema ha un nome ‘la colonizzazione’. E riconosco qui le sofferenze che la colonizzazione ha inflitto al popolo algerino. Tra queste sofferenze ci sono stati i massacri di Setif, Guelma e Kherata, che so essere rimasti vivi nella coscienza algerina. Ma anche dei francesi. Perché a Setif nel 1945, mentre il mondo trionfava contro la barbarie, la Francia mancava ai suoi valori universali. La verità deve essere detta anche sulle circostanze nelle quali l’Algeria è stata liberata dal sistema coloniale. Questa guerra che a lungo non ha detto il suo nome in Francia: la guerra d’Algeria. Ecco. Abbiamo il diritto di verità sulla memoria, su tutte le memorie, dobbiamo la verità sulle ingiustizie, sulle violenze, sui massacri e sulle torture. Conoscere e stabilire la verità è il dovere sia dei francesi che degli algerini. Ed è per questo che gli archivi devono essere aperti agli esperti e bisogna che si avvii in tal senso una cooperazione tra i due Paesi».  (ascoltare il discorso integrale)

Ingiustizia, violenza, massacri, guerra, tortura. Mai così tanti tabù furono rotti tutti insieme nella terra di Robespierre. Forse è proprio per quello che Hollande ha aspettato di mettere piede ad Algeri per pronunciarli tutti insieme.

Ma François Hollande non è Jean Paul Sartre. È prima di tutto il presidente della repubblica francese. E fin che non sarà fondato il mondo migliore che tutti speriamo, la grandezza della repubblica francese è in gran parte fondata sulla mungitura dell’Africa. E quindi più di tanto non può fare, in un momento in cui i terreni di caccia della sua nazione – in Africa appunto – sono sempre più contesi da più di un nuovo cacciatore. François Hollande è andato in Algeria e ha teso la mano al regime algerino. Regime che, pur composto da una maggioranza di gente che non l’hanno fatta, fonda la sua legittimità sulla guerra d’indipendenza. Ma non ha teso la mano né al popolo algerino né tanto meno alle opposizioni sempre più laminate dalla repressione e dalle manipolazioni.

I conti con il presente

cemontour
“Tocca a me!” dal mondo di Facebook.

Prima della sua partenza un gruppo di associazioni e movimenti sia algerini che francesi l’hanno supplicato di usare la sua statura per richiamare il suo omologo algerino al rispetto dei diritti delle opposizioni, dei difensori dei diritti dell’uomo e dei sindacati. Invano. Il presidente ha fatto (ed è il caso di dirlo) orecchie da mercante. Infatti era lì per vendere. Una fra tante, la nuova fabbrica della Renault in Algeria. La prima fabbrica del genere in un Paese che ha un mercato estremamente appetibile, che ha visto il suo parco automobile moltiplicato per dieci in poco più di un decennio. Poi treni Alstom per il nostro presidente che fa la concorrenza con il vicino re del Marocco a chi ce l’ha più bello e più veloce. Produzione di energia: probabilmente vuole piazzare lì il nucleare di Areva che fa sempre più paura ai francesi. E poi gas, petrolio, miniere… e ovviamente, sotto sotto, ci sta pure qualche cacciabombardiere. Ci mancherebbe.

Allora non è sorprendente se nel suo discorso ha avuto solo elogi per quello che l’Algeria è diventata oggi. E non ha fatto nessun accenno alle gravi violazioni in corso in Algeria, non ha detto una parola sulle madri dei desaparecidos degli anni 90 che ancora aspettano notizie dei loro figli. Parlando delle lingue dell’Algeria ha citato l’arabo e il francese, tagliando fuori più di un 40 % di algerini che si riconoscono nella lingua berbera. Non ha accennato alle aspirazioni dei giovani algerini a più libertà, democrazia e giustizia sociale… Nulla.

Era troppo chiederlo a un presidente straniero? E in modo particolare al presidente della Francia? Hollande era già portatore del pesante fardello della riapertura del dialogo sulla storia. Un passo da gigante rispetto ai suoi predecessori. Il dialogo sul presente forse tocca ad altri.

Redazione
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