Honduras: nella bocca del lupo

di David Lifodi

Ana Pineda, ministra della Giustizia, insiste (e mente) di fronte alla Commissione per i Diritti Umani dell’Onu: secondo lei il governo honduregno, di cui è rappresentante, avrebbe compiuto passi da gigante in merito ai diritti civili e sociali. La strategia di Tegucigalpa e del suo presidente Porfirio Lobo è questa: dare al mondo l’idea di una situazione ormai normalizzata in un paese dove invece la protesta sociale è assai forte, al pari della repressione. A quasi due anni dal colpo di stato che il 28 Giugno 2009 mise fuori gioco il presidente Zelaya, “colpevole” (tra le altre cose) di un timido avvicinamento all’Alba (l’Alternativa Bolivariana per le Americhe), l’Honduras è sparito dalle pagine dei quotidiani riservate agli esteri per la gioia degli oligarchi e dei potenti locali ben contenti di aver rimesso le cose a posto.

Miguel Facussé è uno di questi. Padrone della produzione di palma africana in tutto il Centro-America, proprietario dell’impresa Química Magna S.A, socio dell’esclusivo Club de Coyolito, situato in quella Playa Virgen divenuto luogo di villeggiatura dei maggiori rappresentanti della vita economica e sociale del Paese, terrateniente dedito allo sfruttamento del legname e sostenitore convinto di un turismo di lusso che ha già scacciato dalle terre originarie gli indigeni Garifuna, Facussé è uno dei promotori del golpe della prima ora e il terrore delle radio comunitarie. Le minacce di morte, anche recenti, ai giornalisti di Radio La Voz de Zacate Grande, impegnati nel raccontare coraggiosamente le lotte dei movimenti contadini nella recuperación delle terre, sono attribuibili a sgherri al suo servizio. Lavorare per un’informazione senza censura in Honduras si paga con la morte o, se si è più fortunati, con lunghi periodi di detenzione: questo dall’insediamento a Tegucigalpa di Micheletti prima e, a seguito di elezioni farsa per tranquillizzare l’opinione pubblica, di Porfirio Lobo. Nel 2010 si sono registrate dieci morti violente di periodistas, una delle cifre più alte in tutta l’America Latina, ai livelli di Messico e Colombia. Due giornaliste di Radio La Voz de Zacate Grande sono state incarcerate soltanto per aver raccontato lo sgombero di una famiglia da un terreno di cui si è impadronito il potente Facussé, una sorta di boss che opera con metodi mafiosi alla guida del paese, probabilmente con maggior autorità perfino di Porfirio Lobo. Lo stesso Lobo, però, quanto a violenze e repressioni non intende certo rimanere indietro, e perciò sigue matando. Lo sanno bene quelli di Stibys, il Sindacato dei lavoratori dell’industria delle bevande, tra i principali promotori dello sciopero generale del 30 marzo scorso, conclusosi con cariche e violenze della polizia contro i manifestanti. Lo hanno sperimentato sulla loro pelle i maestri e gli insegnanti scesi in piazza per protestare contro il governo, responsabile di non pagare gli stipendi da 18 mesi a cinquemila di loro. Il motivo starebbe nel furto del primo presidente golpista, Roberto Micheletti, che in soli sei mesi alla guida del Paese avrebbe sottratto all’Inprema (Instituto Nacional de Previsión del Magisterio) circa 250 milioni di dollari dai fondi pensione, contribuendo così a farlo collassare economicamente. La seconda ragione che ha spinto i docenti a manifestare sta nella difesa della Costituzione, che si fa garante della laicità dell’istruzione. Il progetto di legge Lobo, appoggiato da un Congresso saldamente nelle mani dei golpisti con i deputati del Partido Nacional (destra) e denominato “Municipalización de la Educación”, intenderebbe aprire le porte dell’istruzione pubblica a pastori evangelici (la cui crescita in tutta l’America latina marcia a ritmi esponenziali) e sacerdoti cattolici, con conseguenze facilmente prevedibili. Sembra che i finanziamenti per questo progetto di legge provengano dalla ben nota Usaid, l’onnipresente e assai ambigua agenzia del Dipartimento di Stato Usa. Lo scorso 22 marzo, durante i cortei di protesta degli insegnanti, è rimasta uccisa una di loro: Ilse Ivana Velásquez, di 59 anni. Il ministro preposto alla Sicurezza, tale Óscar Alvarez, si è addirittura congratulato con la polizia, sostenendo che aveva agito secondo la legge e con professionalità. La storia purtroppo si ripete: la maestra uccisa era la sorella di Manfredo Velásquez, desaparecido negli anni ’80 quando a Tegucigalpa comandava John Negroponte ed il capo delle Forze Armate honduregne (in particolare del temibile Batallón 3-16) era lo zio dell’attuale ministro della Sicurezza Alvarez. Il Batallón 3-16, una sorta di polizia politica che agiva su comando di Negroponte, fu responsabile di oltre duecento sparizioni e migliaia di torturati. Eppure, nonostante le minacce di morte quasi quotidiane a dirigenti dei movimenti sociali, sindacalisti e delle forze d’opposizione, il Frente Nacional de Resistencia Popular (Fnrp) non ha mai abbassato la testa. Tra le principali richieste a Porfirio Lobo, finora tutte inascoltate, resta la Ley Electoral y de las Organizaciones Políticas, che dovrebbe permettere a tutte le formazioni politiche di partecipare al processo elettorale a pari condizioni. Inoltre, altra proposta che difficilmente sarà esaudita, si chiede lo smantellamento dell’apparato repressivo dello stato (che invece funziona a pieno ritmo) ed il ritorno di tutti gli esiliati politici. A febbraio le popolazioni indigene e nere dell’Honduras hanno convocato un’Assemblea Costituente volta a creare le condizioni per una rinascita dello stato su basi nuove. Per loro non si prospetta un compito facile: l’Organizzazione Mondiale contro la Tortura riferisce che il 92% delle violazioni dei diritti umani restano impunite, mentre la Federación Internacional de Ligas de Derechos del Hombre denuncia i duecento omicidi avvenuti nel 2010 rimasti senza giustizia. E ancora: preoccupano gli omicidi compiuti contro le donne, ben 64 nei soli mesi di gennaio e febbraio 2011, ma indigna anche la sensazione costante che il gobierno de facto riesca sempre a farla franca. Lo scorso 17 marzo, mentre all’Onu si discuteva il caso dell’Honduras, il governo reprimeva con violenza uno sciopero convocato dall’Fnrp.

In realtà l’Honduras non occupa una posizione di rilievo nell’agenda internazionale, e non solo da questi ultimi mesi che hanno visto le rivolte nei paesi arabi salire alla ribalta. Fin dall’inizio è risultata assai ambigua la posizione degli Stati Uniti, che in pratica non hanno mai fatto pressione per il ritorno al governo di Zelaya lasciando ai golpisti la possibilità di insediarsi senza alcuna resistenza a Tegucigalpa, mentre Porfirio Lobo è riuscito in maniera spregiudicata a convincere buona parte della comunità internazionale sui progressi compiuti dal suo governo in tema di diritti umani, tanto da potersi permettere l’invio di propri ministri all’Onu così sfrontati da far apparire l’Honduras come il paradiso della democrazia.

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