Honduras: somos todos Berta Cáceres
di David Lifodi
Berta Cáceres è il simbolo dell’Honduras che resiste alla dittatura mascherata da democrazia formale, ma anche il bersaglio preferito di un esecutivo che intende schiacciare a qualsiasi costo l’opposizione alle sue manovre di svendita delle risorse naturali del paese.
Oggi l’Honduras è un paese amministrato dalle multinazionali, appropriatesi delle sue ricchezze tramite i proventi economici derivanti dall’estrazione mineraria e dall’edificazione delle centrali idroelettriche: Berta Cáceres si è sempre battuta contro questi progetti ed è per questi motivi che è stata sottoposta alla misura di arresto preventivo. In qualità di dirigente del Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas (Copinh), ha più volte denunciato la costante persecuzione dello stato nei confronti delle comunità lenca del Río Blanco, in lotta per scongiurare la costruzione della diga di Agua Zarca, il cui progetto idroelettrico spiega bene la direzione presa dalla politica economica honduregna negli ultimi venti anni. Adesso il regime golpista che governa il paese ha compiuto un ulteriore salto di qualità: la persecuzione giudiziaria nei confronti dei leader dei movimenti sociali per azzerarne la base. I diritti di cittadinanza sono stati disarticolati, con una profonda accelerazione dal 2009, quando dal colpo di stato di fine giugno è cresciuta la repressione contro i popoli indigeni. La dirigente del Copinh, purtroppo, non è stata l’unica a sperimentare il collasso dello stato di diritto honduregno, manifestatosi in prima istanza con il mancato riconoscimento della Consulta y Consentimiento Previo, Libre e Informada (Cpli), in base al quale le comunità lenca avrebbero dovuto essere consultate per quanto riguarda la centrale idroelettrica di Agua Zarca. Lo scorso 20 settembre la giudice Lissien Lisseth Knight Reyes ha fatto le cose “per bene”: oltre all’arresto di Berta sono stati condannati Aureliano Molina e Tomás Gómez, anch’essi dirigenti del Copinh, con pene alternative alla detenzione. La giudice ha agito su indicazione del presidente Porfirio Lobo, ma anche delle due imprese che presiedono i lavori al progetto idroelettrico di “Agua Zarca”: Sinohydro, società a capitale misto honduregno-cinese e Empresa Desarrollos Energéticos (Desa). Non solo: entrambe le multinazionali hanno svolto un ruolo di primo piano nella diffamazione delle comunità lenca. Sinohydro ha accusato i movimenti sociali contrari alla diga di aver provocato danni materiali agli strumenti da lavoro nel suo cantiere richiedendo come risarcimento delle cifre astronomiche, ma ancora peggio ha fatto Desa, i cui vertici si sono impegnati in prima persona per la militarizzazione dell’intera zona. In Honduras difendere i beni comuni ed evitare che cadano nelle mani delle multinazionali e dello stato loro alleato è divenuto un crimine per il quale si rischia la prigione. Berta Cáceres rischia di trascorrere dieci anni dietro le sbarre per il suo ruolo di lottatrice sociale a difesa della sua terra: per l’accusa è una sobillatrice che ha spinto le comunità lenca a danneggiare i macchinari di Desa e Sinohydro. Inoltre, l’eventuale reclusione della portavoce del Copinh è ancora più preoccupante in relazione alla mancanza delle condizioni minime di sicurezza previste dal sistema carcerario honduregno. Il caso di Chavelo Morales, militante del Movimiento Unificado Campesino del Aguán (Muca), incastrato ad arte in un omicidio che non ha commesso e in carcere dal 2008 insegna: sono stati almeno quattro i tentativi di assassinarlo in prigione. È evidente che il processo nei confronti di Berta Cáceres, Aureliano Molina e Tomás Gómez sia di natura strettamente politica e che il Copinh e le comunità lenca non siano mai stati consultati in relazione ai progetti idroelettrici, minerari e all’accaparramento della terra. Il prossimo 24 novembre in Honduras si terranno le elezioni presidenziali per le quali la resistenza honduregna presenterà Xiomara Castro, moglie del deposto presidente Manuel Zelaya. Juan Orlando Hernández Alvarado, delfino di Pepe Lobo su cui punta l’ultradestra terrateniente arranca nei sondaggi, ma lo stesso Lobo intende governare il paese con il “pugno fermo”, che si richiama all’altrettanto sinistro slogan elettorale del suo omologo guatemalteco Perez Molina, “mano dura”. L’attuale presidente honduregno è disposto a tutto pur di permettere alla borghesia honduregna (in molte sue componenti apertamente fascista) di mantenersi alla guida del paese: difficile che si presti ad ascoltare gli appelli della comunità internazionale, che chiede il ritiro dell’ordine di carcerazione nei confronti di Berta Cáceres, l’annullamento delle accuse di cui sono imputati i suoi compagni, la fine della criminalizzazione del Copinh e di tutte le organizzazioni sociali del paese e il ritiro dell’esercito dalle zone indigene dell’Honduras. A questo proposito Víctor Fernández, avvocato dei dirigenti del Copinh, ha lasciato poche speranze in merito: “La decisione della giudice Lissien Lisseth Knight Reyes si inserisce nel contesto di una nuova fase di repressione e criminalizzazione generalizzata dei movimenti sociali”. La toma delle strade occupate dagli indigeni per bloccare i lavori di costruzione della diga, sottolinea però il combattivo Stibys (Sindicato de Trabajadores de la Industria de la Bebida y Similares), significa che è possibile lottare contro la privatizzazione dei fiumi, la costruzione di nuove miniere, l’espansione della palma africana e il furto delle risorse naturali dal proprio territorio. Di fronte all’oligarchia honduregna che mette in vendita il proprio stato per trarne vantaggi personali (vedi le potenti famiglie riunite nel Club di Coyolito, che dagli anni ’80 si sono impossessate della maggior parte delle terre del paese, e di Miguel Facussé, proprietario della holding Dinant, emerge ancora di più l’onesta intellettuale e il rigore morale di una donna come Berta Cáceres, il cui destino sembra essere pericolosamente in bilico.
Berta, che ha ricevuto l’appoggio e la solidarietà delle Madres de la Plaza de Mayo, sarebbe una vera presidenta dell’Honduras, sostengono in molti, di fronte ad una classe politica che cura solo i propri interessi personali e non quelli del popolo honduregno.
Qui l’appello a sostegno del Copinh del Collettivo Italia Centro America
Ottima nota su una realtà quella dell’ Honduras, meno conosciuta che altre, parlo ovviamente di Colombia, Venenzuela etc.,etc.. Perche’ non la proponi a Il Manifesto, non si sa mai.
L’ha ribloggato su Buscador de luz.