I buchi neri esistono e la fantascienza esulta
di Fabrizio Melodia
Evvai: scoperta (o conferma?) grandiosa che avrà notevoli ripercussioni nel futuro della scienza e dell’umanità. «Per la prima volta è stato fotografato un buco nero. Dopo che nel 2016 le onde gravitazionali hanno dimostrato l’esistenza di questi misteriosi oggetti cosmici, arriva la prima prova diretta e l’immagine che lo testimonia è quella del buco nero M 87, al centro della galassia Virgo A (o M87), distante circa 55 milioni di anni luce. Al risultato, del progetto internazionale Event Horizon Telescope (Eht) finanziato dalla Commissione Europea, l’Italia ha partecipato con Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn)»: così Luciano Rezzolla, direttore dell’Istituto di Fisica Teorica di Francoforte e membro del comitato scientifico della collaborazione Eht (Event Horizon Telescope).
Un grande lavoro di squadra ha permesso di ottenere un risultato straordinario in così breve tempo dalla conferma pratica dell’esistenza dei buchi neri in base alle onde gravitazionali rilevate dai radiotelescopi.
Persino il compianto Stephen Hawking si sarebbe commosso, proprio lui che, negli ultimi periodi della sua vita (e con la SLA peggiorata al limite della sopportazione) aveva quasi ritrattato la sua affermazione sull’esistenza del buchi neri, adducendo la necessità di unire le teorie della gravità con le altre forze della Natura, cosa che ormai pensava impossibile.
E invece guarda gli scherzi che la Natura riesce a mettere in piedi.
Grazie all’ausilio dei radiotelescopi, i buchi neri (teorizzati da Albert Einstein più di un secolo addietro) che si riteneva fossero invisibili potranno essere osservati direttamente e potranno essere tratti numerosi dati sensibili verso nuove sfide,
E scrittori-scrittrici di fantascienza che fanno? Certo che no, visto che sono proprio loro ad essere giunti prima a “vederli” e a renderli parte integrante dell’immaginario letterario e cinematografico: fra l’altro rendendo di uso comune proprio il termine black hole , coniato molto tardi (solo nel 1967) da un astrofisico geniaccio che risponde al nome di John Archibald Wheeler, rimpiazzando il termine dark star ovvero “stella oscura”.
La fantascienza ha da sempre amato i buchi neri… anche metaforici: a iniziare dal romanzo d’esordio di Arthur C. Clarke, La città e le stelle (1956), in cui si parla di un sole nero trasformato in una specie di prigione da cui è impossibile fuggire.
Il buon dottor Isaac Asimov nel racconto La palla di biliardo (1966) si lancia in un appassionante gioco dove le regole della trigonometria e della fortuna vengono completamente ribaltate, dato che le palle da biliardo compaiono e scompaiono grazie all’uso di piccoli buchi neri interdimensionali. Non è molto regolare, dite? Forse gli alieni si divertono con poco.
Altro riferimento ai buchi neri lo troviamo in un romanzo relativamente poco conosciuto del bravo Joe Haldeman: in La guerra eterna (1974) l’umanità combatte una durissima e sanguinosa guerra intergalattica, che dura ormai da migliaia di anni, resa più lieve dalla presenza dei buchi neri, che comprimono notevolmente la percezione temporale da parte dei soldati, ai quali sembra siano passati solo pochi decenni.
Nel romanzo Contact (1985) di Carl Sagan troviamo invece la coraggiosa e intelligente Ellie – interpretata da Jodie Foster nell’omonimo film del 1997 – che riesce, dopo mille difficoltà dovute allo scetticismo del mondo scientifico e politico, ad avere i finanziamenti per realizzare un veicolo spaziale e viaggiare nella Via Lattea, utilizzando i wormholes, varianti dei buchi neri che fungono da ponti spaziotemporali.
Mentre il pessimista David Brin narra nel romanzo Terra (1990) di un buco nero artificiale che minaccia pesantemente il centro pulsante del nostro pianeta, nel romanzo Exultant (2003) Stephen Baxter ci parla del primo buco nero al centro della galassia che viene colonizzato da una razza aliena conosciuta come Xeelee.
Nel 1979 i buchi neri fanno il loro ingresso su grande schermo, grazie alla lungimiranza della Disney, che li porta con prepotenza nell’immaginario collettivo con The Black Hole – Il buco nero, primo tentativo della regina dei film d’animazione di realizzare un film “serio”, cercando di rivaleggiare con Guerre Stellari. I passeggeri dell’astronave Palomino scoprono un buco nero con accanto un’altra nave spaziale, la Cygnus, il cui comandante ha lobotomizzato il vecchio equipaggio per trasformarlo in un esercito di androidi che vuole guidare oltre il buco nero stesso, in una dimensione da Inferno dantesco.
È da segnalare il reboot del mio amatissimo Star Trek, realizzato nel 2009 da J. J. Abrams, in cui Spock assiste alla distruzione del suo pianeta (Vulcano) a causa di un buco nero creato dal nemico romulano Nero. E in Doctor Who, alla fine della serie classica si scopre che il TARDIS, la cabina telefonica con funzioni da macchina del tempo, è alimentata dall’Occhio dell’Armonia, un buco nero artificiale custodito dai Signori del Tempo.
Per il fatto di concentrare quantità incommensurabili di energia e di permettere (improbabili) salti dimensionali, i buchi neri hanno rappresentato una strumento di immaginazione prezioso anche per tutti i prodotti rivolti ai più giovani: nei videogiochi della serie Super Mario Galaxy a esempio sono un ostacolo molto comune in cui Mario e Luigi vengono risucchiati se cadono da un burrone. Nell’anime giapponese Il mistero della pietra azzurra”, la potenza del generatore del Nuovo Nautilus è prodotta dallo sfregamento di due piccoli buchi neri. E nel film d’animazione Disney Il pianeta del tesoro (2002) l’esplosione di una supernova genera un gorgo che porta a un buco nero, evento che darà il via a altre meravigliose e roboanti avventure che sarebbero piaciute a Stevenson in persona.
Ce ne sarebbero ancora di esempi (alcuni sono in un mio post bottegardo, riguardo alla propulsione delle astronavi più famose di sempre). E non mancherò di approfondire, magari con un post sull’angosciante “Punto di non ritorno” e le sue implicazioni filosofiche e psicologiche.
Insomma se i buchi neri non esistessero bisognerebbe inventarli? Direi che la fantascienza ha fatto molto di più, rendendoli parte integrante di un immaginario collettivo che ora si presenta preparato dinanzi all’orizzonte degli eventi, per arrivare laddove nessuna fotografia era giunta.
Vorrei salutarvi con la canzone di Max Pezzali (a cui sono molto legato) che fa piu o meno così: «Lo so, non è solo fantasia quella stella la vedi anche tu, ed io la seguo e adesso so che la raggiungerò perché al mondo ci sono anch’io». Nell’universo ci siamo anche noi e sentiamo che dall’altra parte c’è davvero qualcosa che vogliamo scoprire, magari quel luogo oscuro da cui siamo venuti.
NELL’IMMAGINE vediamo rappresentato un buco nero. Vedo che alcune personalità dell’ambiente scientifico minimizzano o bollando l’immagine riportata dal radiotelescopio come «fuffa mediatica»: la battuta viene nientemeno da Antonino Zichichi che di fuffa se ne intende. Mi riservo un approfondimento.
Chissà cosa penserebbe A. Einstein, teorizzatore dei buchi neri che commise l’errore di cestinare la teoria basandosi sulla poco scientifica “impressione” che fossero troppo anomali per esistere nella realtà.
P.S. Non presterei troppa attenzione alle parole di Zichichi (che ho avuto lo scarso piacere di “apprezzare” dal vivo). A più riprese si è mostrato superficiale, arrogante e prevenuto.