I crimini di guerra sono sempre quegli degli altri

articoli e video di Manlio Dinucci, Agata Iacono, Alessandro Barbero, Michele Marsonet, Marco Travaglio, Alessandro Di Battista, Manolo Monereo, Fabio Mini, Lucio Caracciolo, Vittorio Rangeloni, Emmanuel Todd, Pepe Escobar, Sergey Glazyev, Sergei Lavrov,Nicolai Lilin, Ascanio Celestini, Antonio Mazzeo, disarmisti esigenti, Stefano Orsi, Europe for Peace, fratelli Kononovich, Giuliano Marrucci

Italia paese pacifista in ostaggio di politici No Pax.

Il complesso militare-industriale ha il controllo sul governo degli Stati Uniti che ha votato per dare al Pentagono circa mille miliardi di dollari dei soldi dei contribuenti, tagliando i programmi sociali che avrebbero aiutato le famiglie povere e lavoratrici. Analogo è il meccanismo per Russia e Italia ecc. In Usa c’è Joe Biden (ancora per poco). Probabilmente l’imprenditore Donald Trump non avrebbe speso 73 miliardi di dollari in Ucraina, destinati inevitabilmente ad aumentare, per una guerra ideologica (tipo Serbia, Afghanistan, Libia), senza vincitori, che non è proporzionata ai vantaggi economici, se non di quelli della lobby delle armi. Nel mentre, la Cina è quella che più si avvantaggia nella guerra russo-americana conquistando mezzo mondo con le armi dell’economia e non della guerra, ma a rischio di conflitto essa stessa (Taiwan).

La politica è disposta a pagare qualsiasi prezzo umano e a produrre centinaia di migliaia di morti, proprio come accadeva durante la prima guerra mondiale, quando si sono distrutte intere generazioni nel nome della “Patria”. Mentre giurano sulla chimera della vittoria dell’Ucraina, mentre negano la terza guerra mondiale e il rischio nucleare, la corsa sfrenata agli armamenti è oramai dichiarata esplicitamente da tutti i governi sulla spinta degli Stati Uniti, dal Giappone alla Cina, dall’Australia dalla Corea del Sud, dall’India all’Italia… che direttamente o indirettamente, volenti o nolenti, sono coinvolti nella guerra per procura sulla pelle degli ucraini (a tacere gli altri conflitti mondiali).

Nell’ Europa a servizio degli USA, si prevede che i Ventisette trasferiscano a Kiev parte dei loro depositi di munizioni e, per trovare più soldi per più armi all’Ucraina, affinchè la guerra continui fino all’ultimo ucraino, la proposta è quella “di usare un miliardo proveniente dal Fondo europeo per la pace (EFP – European Peace Facility) per rimborsare fino al 50-60% del materiale inviato all’Ucraina dai paesi membri.” Insomma, “La nostra industria della difesa deve passare rapidamente alla modalità di una economia di guerra”. Questo sempre più acceso accanimento per la guerra, che significa anche il prosciugamento del “Fondo per la pace”, significa, è ovvio, l’aumento del Fondo per la guerra con i conseguenti tagli alle spese sociali.

Essendo in guerra, è conseguente anche la propaganda di guerra, da che mondo è mondo. Come la interpreta l’Italia? Secondo il libro di Marco Travaglio: da scemi di guerra, avremmo cioè trasformato una tragedia in una farsa con un dibattito politico-giornalistico da bar sport, umiliante, primitivo, cavernicolo, ridicolo: tutto slogan, grugniti e clave. La tesi del libro “La tragedia dell’Ucraina, la farsa dell’Italia. Un Paese pacifista preso in ostaggio dai NoPax” (clicca qui l’introduzione) è che siamo un Paese in gran parte pacifista tenuto in ostaggio da politici e opinionisti… No Pax. Scemi di guerra sono perciò questa maggioranza che non si ribella alla propaganda. La quale ha abolito: la Costituzione (art. 11, art. 52); i valori della pace, del disarmo e dell’antifascismo; la geografia e la storia; l’economia e la medicina; il comune senso del pudore e il vocabolario; la libertà di pensiero e di espressione; la diplomazia e le sue regole-base; il rispetto per le altre culture. E perfino il senso del ridicolo: pacifisti e papisti uguale a putiniani. Ma noi insistiamo: “L’unica soluzione realistica rimane il negoziato”.

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La nonviolenza attiva, l’unica via d’uscita dalla follia delle guerre – Gerardo Femina – Europe for Peace

Molto spesso la parola nonviolenza evoca l’immagine di brave persone che non fanno male agli altri e che in genere preferiscono evitare i conflitti. Si associa la nonviolenza a una forma di passività, al non essere violenti, se non addirittura alla rinuncia a far valere i propri diritti e le proprie ragioni.

Tutto questo è molto lontano dalla filosofia e dalla pratica della nonviolenza. In effetti, la lotta nonviolenta ha permesso all’India di liberarsi dal cruento colonialismo inglese, agli afroamericani il riconoscimento di fondamentali diritti umani, ai danesi di opporsi al nazismo e, più recentemente, alla Repubblica Ceca di impedire l’installazione di una base militare che gli Stati Uniti volevano imporre contro la volontà della maggioranza della popolazione.

Il fatto che non abbiamo informazioni adeguate su questi movimenti mostra che il sistema sociale in cui viviamo non ha interesse a che certe cose si sappiano; la scoperta che la gente organizzata può far valere i propri diritti è rivoluzionaria.

Facciamo un esempio ipotetico, semplice, ma che può dare un’idea di quello di cui stiamo parlando. Una emittente televisiva, vicina agli interessi delle industrie belliche, fa propaganda a favore della guerra tramite le sue trasmissioni. La maggioranza della gente, sfiduciata, assiste passivamente a questa mostruosità. Fortunatamente, alcune associazioni protestano, inviano lettere e organizzano manifestazioni. Attività ottime e giuste, che purtroppo non raggiungono gli obiettivi voluti. Allora un gruppo decide di spaccare i vetri degli uffici dell’azienda televisiva e minacciare con violenza i dirigenti. Apparentemente, questa sembra una azione forte e risoluta, fatta da chi non si è arreso e vuole continuare la battaglia. Ma in realtà mostra la grande frustrazione e impotenza che si vive di fronte a un nemico più grande. Di fatto, oltre ad aver scaricato la propria rabbia, non si ottiene nulla, se non il peggioramento del conflitto, la conseguente repressione e l’allontanamento dalla lotta di chi non condivide scelte violente e compulsive.

Una vera scelta nonviolenta potrebbe essere smettere di guardare le trasmissioni di quella rete, un semplice spegnere la televisione, un non-collaborare con quell’emittente televisiva. Basterebbe che una percentuale di coloro che normalmente seguono quelle trasmissioni prendesse questa decisione per dare un duro colpo a quella azienda, che sarebbe costretta a rivedere le sue scelte e la sua politica. Così, la nonviolenza non è porgere l’altra guancia e nemmeno ribellione violenta, ma la forza che nasce dall’unione della gente.

È chiaro allora che il vero tema è come creare questa unione e come creare convergenza tra le organizzazioni che lottano per la giustizia e i diritti umani. Il detto “l’unione fa la forza” contiene una grande verità. Se la maggioranza delle persone colpite da un sopruso si organizza nella lotta, diventa una grande forza.  Per questo, un grande lavoro consiste nel dialogo e nella comunicazione diretta con cui si può contrastare la disinformazione. Infatti, la puntuale disinformazione, veicolata dai principali mezzi di informazione, serve proprio a dividere la gente e creare fazioni, indicando falsi nemici a cui dare tutta la colpa, e impedire quindi l’individuazione dei veri responsabili del disastro e della violenza che si subisce. Il “divide et impera” illustra bene questo concetto.

L’unione e la coesione della gente sono elementi essenziali della nonviolenza. Senza di esse, la nonviolenza rimane solo una bella parola e, nei migliori dei casi, una profonda scelta individuale.

Un giorno, la gente comprenderà che il vero potere è nelle sue mani, quando, unita, con solidarietà e coscienza, lotta per i propri diritti. E qualsiasi attività in questa direzione ha un grande significato, anche se nell’immediato non raggiunge alcun risultato concreto, perché è una crescita di consapevolezza per il futuro.

La nonviolenza richiede fiducia in sé stessi e negli altri per opporsi a quello scetticismo funzionale al sistema, che ci fa dire frasi come: è inutile, non si può, nessuno parteciperà, a che serve… Per M. L. King, il non opporsi alle ingiustizie e ai soprusi e il rimanere passivi e rassegnati sono una forma di collaborazione e complicità con i violenti. Per sottolineare questa non-passività, Silo definisce la strategia del Nuovo Umanesimo “Nonviolenza attiva”.

La nonviolenza è rivoluzionaria, richiede forza interna, convinzione, capacità di retrocedere e avanzare al momento opportuno, riflessione, dialogo… Si fonda sull’incrollabile certezza interna della validità della causa per cui si lotta e sulla fiducia che prima o poi si raggiungeranno gli obiettivi proposti. Questo è molto lontano dall’arrendersi davanti ai primi insuccessi, dalla passività e dalla rassegnazione e molto lontano da un’azione violenta che non ha alcuna prospettiva futura. Se vogliamo una società realmente diversa non possiamo usare gli stessi valori e la stessa metodologia di quel sistema contro il quale lottiamo! Al contrario, l’azione in sé stessa deve già contenere i germi di quel nuovo mondo a cui aspiriamo. Per questo la nonviolenza è rivoluzionaria, aspira a cambiare non solo situazioni concrete, ma anche quella mentalità violenta e quei valori che sono alla base delle ingiustizie della nostra società. “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo», diceva Gandhi.

La Nonviolenza si caratterizza per il rifiuto di qualsiasi forma di violenza e si fonda sul principio “Tratta gli altri come vuoi essere trattato”.

Oggi, in un mondo i cui i potenti hanno voluto la guerra e i governi non fanno nulla per fermarla, dove gli speculatori si arricchiscono sulla pelle della gente, dove gli unici investimenti si fanno nelle armi, dove anche i beni di prima necessità, come gas ed elettricità, sono proprietà di poche persone, la lotta nonviolenta non solo è giustificata, sia moralmente che come metodologia di azione, ma è l’unica via d’uscita.

Oggi tutti i sondaggi mostrano che in Europa e in tutto il mondo la grande maggioranza della popolazione condanna l’aggressione all’Ucraina, ma vuole fermare la guerra attraverso la diplomazia, non inviando armi. È il momento che questa maggioranza faccia sentire la propria voce non solo nei sondaggi.

È necessario creare con urgenza un grande Movimento nonviolento che unisca giovani e anziani, scienziati e artisti, militari e pacifisti, donne e uomini, lavoratori e imprenditori, perché tutti siamo colpiti da questa crisi.

Il 2 aprile spegniamo le guerre e accendiamo la Pace!

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Corte penale internazionale (CPI), crimini di guerra Usa e Assange – Agata Iacono

Due pesi e due misure.

La Corte Penale Internazionale che ha condannato Putin non è riconosciuta solo dalla Russia.

La Corte dell’Aia è stata bocciata in primis dagli USA. Gli Stati Uniti sono stati infatti uno dei soli sette Stati che hanno votato contro l’istituzione della CPI (la Russia ne aveva sottoscritto la creazione ma poi non ha ratificato il trattato di Roma), nel 1998.

Gli USA si considerano esenti da una qualsiasi valutazione che osi entrare nella propria giurisdizione, anche quando un cittadino statunitense commette un reato in un altro Stato.. Hanno minacciato la CPI per qualsiasi indagine possa essere condotta su crimini di guerra condotta commessi dagli USA.

 

Così twitta il premio Pulitzer Glenn Greenwald appena appresa la notizia del “mandato di cattura contro Putin” annunciato dalla CNN…

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Assad a Mosca da Putin: il mondo dei ‘cattivi’ nelle guerre d’azzardo dei ‘buoni’ – Michele Marsonet

Notizia semiclandestina nel monopolio incontrastato della tragedia ucraina. «Assad da Putin nel 12/mo anniversario inizio guerra civile», e non è notizia da poco, possa piacere o meno la somma di due capi di Stato con molto scarse credenziali democratiche. «Mosca mediatrice chiave nel disgelo tra Erdogan e Assad», e molto altro, ci ricorda opportunamente Michele Marsonet. Il conflitto siriano iniziato nel marzo del 2011, il califfato Islamico anti Assad favorito da occidente, e la sconfitta Isis dopo l’intervento della Russia nell’ottobre 2015.

 

Russia sempre e tutto male?

Hanno ragione i media occidentali che considerano l’impegno della Federazione Russa in Siria in termini esclusivamente negativi? A mio avviso no, e ora cerco di spiegare perché.
Chiarisco subito che Bashar al-Assad è sicuramente un dittatore, al pari di quasi tutti i governanti del turbolento Medio Oriente. Però è anche un dittatore laico, moderato dal punto di vista religioso e nemico giurato di tutti i fondamentalisti islamici che pullulano in quella stessa area geografica.

La analisi strabiche

I summenzionati media occidentali che si scandalizzano per l’impegno di Mosca scordano alcuni fatti fondamentali. Assad, con l’appoggio militare russo, è riuscito a frenare l’espansione dell’Isis che, a un certo punto, sembrava inarrestabile e pronto a conquistare l’intera Siria (nonché l’Iraq).
Chiedo, dunque, se era preferibile che lo Stato Islamico si espandesse in quasi tutto il Medio Oriente, pur di eliminare il dittatore siriano e l’influenza russa nell’area.

Dimenticando lsis e amici occidentali pericolosi

Trovo tale ragionamento curioso, soprattutto se si rammenta cos’è davvero l’Isis e i danni che la sua espansione ha causato. Aggiungo pure una certa ambiguità americana al riguardo, dovuta anche agli antichi legami Usa con l’Arabia Saudita, Stato fondamentalista per eccellenza…

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Myrotvorets scheda il  Marc Innaro come giornalista “filorusso”

Il controverso sito ucraino Myrotvorets, autodefinito indipendente ma secondo alcune fonti connesso con i servizi segreti ucraini, noto in ogni caso per posizioni nazionaliste estreme, ha “schedato” il corrispondente della RAI a Mosca, Marc Innaro, giornalista conosciuto e stimato, come “Partecipante all’operazione speciale informativa della Russia contro l’Ucraina”.

La denuncia in un tweet di ieri di Nico Piro, a sua volta corrispondente della RAI in Russia per molto tempo.

La notizia, in sé allarmante, non è stata riportata dai principali media italiani né ha prodotto particolari reazioni né a livello politico né a livello diplomatico.

Pressenza ha raggiunto Giuseppe Giulietti che ha commentato: “Personalmente ritengo intollerabile e pericolosa qualsiasi lista, persino articolo 21 è considerata associazione sgradita perché continua a reclamare verità e giustizia per Rocchelli e Mironov. Un grazie a Nico piro che denuncia qualsiasi tentativo di colpire il pensiero critico ancora più necessario in presenza dei conflitti”.

Sul sito Myrotvorets alla scheda del fotoreporter Andrea Rocchelli appare la scritta “liquidato”; Rocchelli insieme al collega Mironov fu ucciso in Donbass nel maggio del 2014 durante la guerra del Donbass mentre svolgeva la sua attività di documentazione.

La redazione di Pressenza invia la propria solidarietà al collega e chiede che sul caso vengano chieste spiegazioni da parte del Governo Italiano.

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Siamo davvero all’inizio della Terza Guerra mondiale? – Manolo Monereo

…La guerra in Ucraina è stata la più annunciata, almeno dai tempi del conflitto in Iraq. Dal vecchio Kenan al noto specialista di relazioni internazionali John J. Mearsheimer, Stephen F. Cohen, Gilbert Doctorow, Kissinger, tutti l’avevano anticipata. L’elenco potrebbe essere ulteriormente allungato. William Burns, l’attuale capo della CIA, aveva avvertito, quando era ambasciatore in Russia, che la leadership di Mosca non avrebbe accettato l’allargamento della NATO all’Ucraina e alla Georgia; che sarebbe stata una linea rossa inaccettabile per qualsiasi punto di vista. Benjamin Abelow in un recente libro – intitolato significativamente “Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina” – sostiene che la strategia degli Stati Uniti non consisteva solo nell’estendere i confini della NATO di 1.600 chilometri verso est. Gli elementi chiave erano: a) il ritiro unilaterale dal trattato (ABM) sui missili balistici e l’installazione di missili nei Paesi dell’Europa orientale in grado di colpire i centri strategici della Russia; b) il riarmo delle forze armate ucraine, la fornitura di armi letali, l’addestramento sistematico e il supporto dell’intelligence, la presenza non celata di personale e volontari provenienti dai Paesi della NATO con l’obiettivo esplicito di aumentare l’interoperabilità con le forze della NATO; c) il ritiro unilaterale dal trattato sulle forze nucleari intermedie (INF), aumentando la vulnerabilità della Russia a un primo attacco statunitense; d) l’insistenza della NATO sul fatto che il Memorandum di Bucarest del 2008, in cui si dichiarava che l’Ucraina avrebbe fatto parte dell’Alleanza, fosse ancora in vigore, a cui va aggiunta la firma di una serie di accordi bilaterali tra Stati Uniti e Ucraina per approfondire le loro relazioni politico-militari, culminate in esercitazioni congiunte nel Mar Nero.

Il risultato di questa strategia ben studiata e calcolata è stata la guerra in Ucraina, una guerra della NATO contro la Russia per procura. Gli Stati Uniti sono sempre stati alla ricerca di un evento scatenante che i media potessero pubblicizzare in modo massiccio e che permettesse loro di giustificare e legittimare il proprio intervento armato; hanno avuto bisogno di una “Maine”, di un “Lusitania”, di una “Pearl Harbour”, di “armi di distruzione di massa”. Jordis von Lohausen distingueva accuratamente tra aggressore strategico e aggressore operativo. Per il noto geopolitico austriaco, “aggressione significa qualsiasi forma di minaccia, intimidazione e ricatto dell’avversario; qualsiasi tentativo di indebolirlo economicamente, di piegarlo moralmente, di minarlo ideologicamente. L’offensiva militare è solo una possibile forma di aggressione tra le tante”. Biden ha avuto la capacità di mettere il governo russo tra l’incudine e il martello, di metterlo all’angolo in modo tale che non avesse altra alternativa che una risposta militare o una sconfitta strategica. Il presupposto per tutto questo è la disuguaglianza delle forze. Gli Stati Uniti possono farlo perché ne hanno il potere, economico, militare, comunicativo e una rete di alleanze in tutto il mondo. Gli attori principali – come sempre – sono i suoi due protettorati politico-militari, l’Europa e il Giappone.
Niente lo spiega meglio del caso di Taiwan. Come si può vedere, su quest’isola si sta creando un caso molto simile a quello dell’Ucraina. Ancora una volta, si crea un conflitto, si criminalizza la Cina e si crea un cordone di sicurezza contro la sua presunta aggressività. Taiwan è riconosciuta a livello internazionale – e soprattutto dagli Stati Uniti – come parte della Cina. Allo stesso tempo, quest’isola svolge un ruolo strategico fondamentale per molestare e contenere la Cina. Gli Stati Uniti definiscono una strategia di tensione promuovendo il separatismo, riarmando il proprio esercito e consolidando la propria presenza militare nel quadro di una strategia globale che ha al centro la Cina. Come nel caso dell’Ucraina, si crea un contesto mediatico, politico e strategico adeguato e si cerca un evento scatenante per giustificare e legittimare il conflitto militare. Ecco perché gli scenari in Europa e nel Mar Cinese Meridionale sono collegati nel quadro di un’offensiva globale degli Stati Uniti le cui linee di frattura sono in Ucraina e a Taiwan, e che è sempre più legata all’Africa sub-sahariana…

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Generale Fabio Mini “La guerra permanente in Europa è lo scenario preferito dagli Stati Uniti”

…Generale del suo ultimo libro mi ha colpito molto il titolo: “L’Europa in guerra”. Lei ha il coraggio di dirlo chiaramente, nonostante l’informazione tenti di mascherarlo ogni giorno con voli pindarici a volte surreali. Con l’invio delle armi all’Ucraina, l’Unione Europea (e quindi l’Italia) ha scelto uno status di belligerante attivo?

Lo status di cobelligeranza europea non sta soltanto nell’invio di armi e non sta nel tempo del conflitto attivo. La guerra ucraina è iniziata in Donbass con la formula della guerra al terrorismo russofono. In questa guerra combattuta con le armi della repressione interna, della guerra civile, dei massacri di persone innocenti l’Europa si è schierata con il governo ucraino fin dall’inizio e ancor prima che cominciasse. L’Europa ha pensato che fosse “soltanto” una questione interna e comunque ha imposto sanzioni, fornito armi, riequipaggiato e ristrutturato l’esercito ucraino distrutto dagli autonomisti nel 2015. Ha esercitato attivamente l’indifferenza per le popolazioni colpite e sostenuto un regime ucraino costituito da coloro che fino ad un giorno prima considerava dei pericolosi neo-nazisti. Ha attivato tutti i canali di guerra psicologica e guerra cyber. Ha imposto la censura di guerra alle popolazioni europee e alimentato le milizie di mercenari e “volontari” internazionali. Di fronte a queste azioni di guerra l’invio di armi è quasi insignificante anche se rappresenta la maggior parte del contributo occidentale.

In un passaggio molto importante del suo libro Lei scrive ‘la vulgata di moda è sempre la stessa: l’Occidente combatte per il bene e per la democrazia contro il male e l’autocrazia, per la libertà e i diritti umani e per la prosperità contro la dittatura, gli abusi e la povertà. Combatte perché è giusto che sia così: perché esiste un destino manifesto e un popolo eletto, un egemone e tanti vassalli’.  Non crede che il conflitto in Ucraina abbia però dato all’occidente il messaggio chiaro che il resto del mondo non accetti più questa dicotomia autoproclamata?

Verissimo. Ma questo Occidente non sembra averlo ancora capito. La prima risoluzione dell’assemblea dell’Onu del 2022 sulla condanna della guerra vide l’astensione dei paesi rappresentanti i tre quarti del mondo e ci fu presentata come una vittoria del Bene sul Male. Da allora gli Usa e l’Unione Europea hanno alimentato la guerra in Ucraina e cercato di convincere almeno uno di tali paesi a rivedere la propria posizione. Anche la seconda risoluzione a distanza di un anno ci è stata presentata come una vittoria corale. In realtà non solo ha confermato la prima ma ha ulteriormente rafforzato il fronte degli astenuti segnando il fallimento delle pressioni, promesse, corteggiamenti e minacce esercitate dal cosiddetto Occidente sul resto del mondo…

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Emmanuel Todd: La tercera guerra mundial ya comenzó

…Ud. explica que los rusos perciben este conflicto como «una guerra defensiva», pero nadie intentó invadir Rusia, y hoy, debido a la guerra, la OTAN nunca había tenido tanta influencia en el Este con los países bálticos que quieran integrarla.

Para responderle, le propongo un ejercicio psico-geográfico, que puede realizarse mediante un zoom hacia atrás. Si miramos el mapa de Ucrania, vemos la entrada de tropas rusas por el Norte, el Este, el Sur… Y allí, efectivamente, tenemos la visión de una invasión rusa, no hay otra palabra. Pero si hacemos un inmenso zoom atrás, hacia una percepción del mundo, pongamos hasta Washington, vemos que los cañones y misiles de la OTAN convergen desde muy lejos hacia el campo de batalla, movimiento de armas que había comenzado antes de la guerra.

Bakhmut está a 8.400 kilómetros de Washington, pero a 130 kilómetros de la frontera rusa. Una sencilla lectura del mapa del mundo permite, pienso yo, considerar la hipótesis de que «Sí, desde el punto de vista ruso, esta debe ser una guerra defensiva.»

“Cuando miramos los votos de las Naciones unidos, encontramos que el 75% del mundo no sigue a Occidente, lo que entonces parece muy pequeño. Podemos ver entonces que este conflicto, descrito por nuestros medios de comunicación como conflicto de valores políticos, está a un nivel más profundo un conflicto de valores antropológicos.”…

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Pepe Escobar intervista Sergey Glazyev: “La strada verso il multipolarismo finanziario sarà lunga e irta di ostacoli”

The Cradle

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

 

La sede della Commissione economica eurasiatica (CEE) a Mosca, legata all’Unione economica eurasiatica (UEEA), è probabilmente uno dei nodi più cruciali dell’emergente mondo multipolare.

È qui che sono stato ricevuto dal ministro dell’Integrazione e della Macroeconomia Sergey Glazyev – già intervistato in dettaglio da The Cradle – per una discussione esclusiva e allargata sulla geoeconomia del multipolarismo.

Glazyev è stato affiancato dal suo principale consigliere economico Dmitry Mityaev, che è anche il segretario del consiglio scientifico e tecnologico della Commissione economica eurasiatica (CEE). L’UEEA e la CEE sono formate da Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Armenia. Il gruppo è attualmente impegnato a stabilire una serie di accordi di libero scambio con nazioni che vanno dall’Asia occidentale al Sud-est asiatico.

La nostra conversazione non è stata programmata, è stata a flusso libero e diretta al punto. Inizialmente avevo proposto alcuni punti di discussione che ruotavano attorno alle discussioni tra la UEEA e la Cina sulla progettazione di una nuova valuta basata sull’oro e sulle materie prime, che aggirasse il dollaro statunitense, e su come sarebbe realisticamente possibile che la UEEA, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) e i BRICS+ adottassero lo stesso modello di valuta.

Glazyev e Mityaev sono stati assolutamente franchi e hanno posto anche domande sul Sud Globale. Per quanto le questioni politiche estremamente delicate debbano rimanere fuori dalla cronaca, le loro affermazioni sulla strada verso il multipolarismo sono state piuttosto preoccupanti – in realtà basate sulla realpolitik.

Glazyev ha sottolineato che la CEE non può chiedere agli Stati membri di adottare politiche economiche specifiche. Ci sono effettivamente proposte serie sulla progettazione di una nuova moneta, ma la decisione finale spetta ai leader dei cinque membri permanenti. Ciò implica una volontà politica – che, in ultima analisi, deve essere esercitata dalla Russia, responsabile di oltre l’80% degli scambi commerciali dell’EAEU.

È molto probabile che un nuovo impulso possa arrivare dopo la visita del Presidente cinese Xi Jinping a Mosca il 21 marzo, dove terrà colloqui strategici approfonditi con il Presidente russo Vladimir Putin.

Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, Glazyev ha sottolineato che, allo stato attuale, la Cina ne sta traendo profitto, poiché la sua economia non è stata sanzionata – almeno non ancora – da Stati Uniti e Unione Europea e Pechino sta acquistando petrolio e gas russo a prezzi fortemente scontati. I fondi che i russi stanno perdendo in termini di vendita di energia all’UE dovranno essere compensati dal progetto dell’oleodotto Power of Siberia II, che andrà dalla Russia alla Cina, passando per la Mongolia – ma per questo ci vorrà ancora qualche anno.

Glazyev ha abbozzato la possibilità che un dibattito simile su una nuova valuta abbia luogo all’interno dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) – ma gli ostacoli potrebbero essere ancora più forti. Ancora una volta, ciò dipenderà dalla volontà politica, in questo caso da parte di Russia-Cina: una decisione congiunta di Xi e Putin, con il contributo cruciale dell’India – e, dal momento che l’Iran diventa membro a pieno titolo, anche di Teheran, ricca di energia.

Ciò che è realistico per ora è l’aumento degli scambi bilaterali nelle rispettive valute, come nei casi Russia-Cina, Russia-India, Iran-India, Russia-Iran e Cina-Iran.

In sostanza, Glazyev non vede la Russia, pesantemente sanzionata, assumere un ruolo di leadership nella creazione di un nuovo sistema finanziario globale. Questo ruolo potrebbe spettare all’Iniziativa di sicurezza globale della Cina. La divisione in due blocchi sembra inevitabile: la zona dollarizzata – con l’eurozona incorporata – in contrasto con la maggioranza del Sud Globale con un nuovo sistema finanziario e una nuova moneta di scambio per il commercio internazionale. A livello interno, le singole nazioni continueranno a fare affari nelle loro valute nazionali…

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Sul baratro dell’atomica – Ascanio Celestini

Quando l’esercito della Federazione russa ha invaso l’Ucraina, il conflitto è passato da una dimensione regionale a una mondiale. A quella guerra oggi partecipa tutto l’Occidente, con le sue armi, i suoi addestramenti, la sua propaganda. Quando è cominciata questa nuova fase, un anno fa, sono andato in pellegrinaggio, lo dico ironicamente, da Alex Zanotelli, che vive nel quartiere Sanità, a Napoli: sono andato cioè per capire con lui qualcosa in più su cosa stava succedendo, come ci dovevamo organizzare, quale era la “cassetta degli attrezzi” che ci dovevamo portare dietro per tentare di “riparare il danno”. Insomma, la domanda era: come possiamo difenderci da un futuro sempre più disastroso nel quale rischiamo di vedere i nostri figli partire per la guerra?

“L’unica cosa sulla quale in questi giorni sto riflettendo molto – ha detto Zanotelli – è che oggi c’è giù un unico grande vincitore: il complesso militare industriale… I fabbricanti d’armi, son loro che hanno vinto. È questa la cosa paradossale della nostra storia: stiamo ballando letteralmente sul baratro di una esplosione atomica… È l’inverno del nucleare in un pianeta che non ci sopporta più. È questa la follia umana che non abbiamo compreso…”.

Resta un’altra domanda importante: che fare, qui e ora? Dobbiamo lasciare l’Ucraina nelle mani dei militari russi?

Secondo Alex Zanotelli il pensiero e le pratiche della nonviolenza sono fondamentali soprattutto prima che scoppi una guerra. La nonviolenza non si improvvisa. Oggi possiamo chiedere un cessate il fuoco. Non la “pace”, ma un cessate il fuoco a qualsiasi costo: si tratta di fare di tutto per limitare i danni, arginare il disastro, senza eroismi e senza retorica. L’importante, insomma, è fermare il numero dei morti. Subito dopo occorre ricominciare in tanti modi diversi l’opera di coscientizzazione o ricoscientizzazione nonviolenta.

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Il business dei trasporti e la guerra – Antonio Mazzeo

Un miliardo e settecento milioni di euro per potenziare e convertire a fini bellici le infrastrutture portuali, aeroportuali, ferroviarie e autostradali dell’Unione europea. Il programma EU Military Mobility è stato lanciato nel 2018 con il fine di “consentire che la rete di trasporto civile possa essere utilizzata dalle forze armate per le proprie necessità” in modo da facilitare la mobilità degli equipaggiamenti e delle truppe sia nel quadro delle missioni militari Ue e dei paesi membri, ma anche per rispondere alle richieste NATO.

Nel 2021 la Commissione ha approvato il cospicuo finanziamento a favore del programma di mobilità militare Schengen. “Con questa iniziativa garantiremo spostamenti rapidi e senza interruzioni al personale e agli assetti militari – in breve tempo e su larga scala – all’interno e fuori dell’Ue“, hanno spiegato i vertici di Bruxelles. “Sarà creata una rete ben connessa, con tempi di reazione più brevi e infrastrutture sicure e resilienti“.

Tra le priorità di intervento indicate dalla Commissione oltre all’efficientamento militare delle infrastrutture anche il miglioramento della logistica “intelligente” e l’esemplificazione delle norme doganali per facilitare le esercitazioni e il transito dei mezzi di guerra e dei beni pericolosi alle frontiere. “L’ottica è quella di supportare il coordinamento tra i rispettivi sforzi di Ue e NATO”, dichiara Bruxelles. “Inoltre si accresceranno le sinergie con i partner più stretti come Stati Uniti d’America, Canada, Norvegia e Regno Unito”. Questi ultimi sono stati integrati de facto nel programma EU Military Mobility.

L’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 ha fornito le giustificazioni per un ulteriore colpo di acceleratore agli interventi di militarizzazione delle reti trasportistiche europee. “Assicurare la velocità nei movimenti e trasporti sicuri alle forze armate è cruciale per accrescere le capacità Ue e NATO di risposta alle crisi, in particolare ora che dobbiamo fornire un supporto militare urgente all’Ucraina”, ha dichiarato Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea. Così il 10 novembre scorso è stato varato il Piano d’azione per la mobilità militare 2.0 per “far fronte al deterioramento della situazione di sicurezza dopo l’aggressione russa all’Ucraina”. Il programma EU Military Mobility del 2018 è stato rimodulato con lo scopo di incrementare ulteriormente la velocità e le capacità di spostamento delle forze armate europee “attraverso lo sviluppo di corridoi di trasporto multimodali, incluse strade, ferrovie, vie aeree, corsi d’acqua interni, nodi di interscambio e centri logistici, con infrastrutture di trasporto dual-use in grado di supportare il trasporto militare”.

Il Piano d’azione 2-0 ha una durata quinquennale (2022-2026) e si indirizza a potenziamento delle infrastrutture in modo da “rispondere al peso, alle dimensioni e alla tipologia del trasporto militare”. Maggiore enfasi viene attribuita all’armonizzazione delle norme e delle procedure nazionali e alla digitalizzazione dei processi amministrativi, mentre vengono proposte nuove misure per “rafforzare la protezione del settore trasporti dagli attacchi cyber e da altre minacce ibride e promuovere la loro resilienza climatica e sicurezza energetica”.

Il Piano per la mobilità militare 2.0 punta inoltre a identificare le possibili fragilità delle infrastrutture per il loro miglioramento e a integrare la rete di distribuzione del carburante per supportare la movimentazione delle forze armate “in tempi rapidi e su larga scala”. “Sarà promosso l’accesso alle capacità di trasporto strategico e verranno portate al massimo le sinergie con il settore civile per potenziare la mobilità dei militari specialmente per via aerea e marittima”, spiega la Comissione europea. “Inoltre rafforzeremo il dialogo con i paesi partner della regione, come ad esempio Ucraina, Moldavia e quelli dei Balcani occidentali”. Infine l’impegno a collaborare ancora più strettamente con l’Alleanza Atlantica. “Ue e NATO hanno il comune interesse a promuovere la mobilità militare e possiedono differenti strumenti a loro disposizione”, aggiunge Bruxelles. “Il nuovo Piano d’azione rafforzerà e intensificherà ulteriormente la cooperazione Ue-NATO nel campo della mobilità militare, sui principi di apertura, trasparenza, reciprocità e inclusività. Ciò assicurerà un più forte e credibile pilastro europeo alla NATO”…

continua qui

 

 

 

 

QUINTO PRESIDIO IL 22 MARZO PER CONTESTARE, IN NOME DELLA VOLONTA’ POPOLARE, I VOTI PARLAMENTARI SULL’INVIO DELLE ARMI IN UCRAINA – PIAZZA DELL’ESQUILINO ROMA

 

Il 22 marzo è previsto un dibattito e un voto alla Camera dei deputati, dopo che  la premier Giorgia Meloni dovrà riferire sul Consiglio europeo del 23 e 24 marzo con in agenda l’Ucraina.

 

Fuori l’Italia dalla guerra, fuori la guerra dalla Storia!

Le “pacifiste” e i “pacifisti”, che raccolgono una proposta di Disarmisti esigenti & partners (WILPF Italia in prima fila), invitano a una mobilitazione contro il coinvolgimento bellico dell’Italia che avrà il suo culmine nel presidio che si terrà dalle ore 9:00 alle ore 19:00, appunto il 22 marzo a Roma, in piazza dell’Esquilino.

Si protesta, interpretando l’opinione e il sentimento popolare maggioritari per il ripudio della guerra, sancito dalla Costituzione, contro l’indirizzo istituzionale di unità filoatlantista di cui il governo in carica, in continuità con il governo Draghi, chiederà conferma parlamentare.

Per alcuni, si tratterà della quinta tappa di un “digiuno di coerenza ecopacifista“. L’iniziativa ha inizio già al corteo del 5 novembre 2022 (vedi nota sotto riportata).

Allora ci si presentò con uno striscione che esponeva in massima evidenza la considerazione di Papa Frencesco: “Oggi non esistono guerre giuste“.

E recava le seguenti scritte: “Fermate subito i combattimenti, intervenga l’ONU per negoziare una tregua e prevenire una escalation nucleare“.

Custodiamo, esseri umani cooperanti, la Terra sofferente“.

Nonviolenza. Riconvochiamoci, quando si vota in Parlamento, per protestare contro l’invio di nuove armi all’esercito ucraino“.

Di conseguenza, dopo il 13 dicembre 2022, il 10 gennaio 2023, il 23 gennaio 2023, il 24 febbraio 2023, ecco queste attiviste e questi attivisti, con compagne e compagni di cammino che si sono aggiunti, di nuovo in campo!

No al Patto Meloni Schlein per la “pace (sedicente) giusta”, costruita sulla ricerca della vittoria militare!

Il presidio del 22 marzo, dedicato come sempre alla scomparsa presidente della WILPF Antonia Sani, sarà preceduto da un confronto online, con i parlamentari disponibili, il 20 marzo dalle ore 19:00 alle ore 20:00  (vedi lettera allegata).

Questo il link per collegarsi:

https://us06web.zoom.us/j/83737497172?pwd=TENTODAva3c3M09QcHJsQVluclc5dz09

Il 22 marzo si svolgerà, nell’ambito del presidio, una conferenza stampa dalle ore 11:00 alle ore 12:00 in piazza dell’Esquilino a Roma.

Alfonso Navarra e Cosimo Forleo introdurranno, tra gli altri, Enzo Pennetta, del comitato referendario “Ripudia la guerra” . Non è la presentazione ufficiale dell’iniziativa ma l’illustrazione dell’idea come work in progress (vedi appello allegato per la promozione di comitati locali per i referendum contro l’invio di armi all’Ucraina).

Interverranno per la coalizione dei Disarmisti esigenti (www.disarmistiesigenti.org)

Alfonso Navarra – portavoce cell. 340-0736871

Ennio Cabiddu – Stop RWM cell. 366-6535384

Cosimo Forleo – Per la Scuola della Repubblica – cell. 347-9421408

Con la collaborazione di:

Angelica Romano – UN PONTE PER

Patrizia Sterpetti – WILPF Italia

 

 

L’Unione europea ha già stabilito che “rimarrà al fianco dell’Ucraina fornendole il suo risoluto sostegno per tutto il tempo necessario

Il Consiglio europeo, che riunisce a Bruxelles i 27 capi di Stato e di governo, torna il 23 e il 24 marzo a decidere, su proposta di Mr PESC Josep Borrell, aiuti finanziari e militari a Kiev, lasciando chiuso il percorso verso una pace politica e diplomatica, reso ancora più complicato dalla notizia dell’incriminazione di Putin da parte del Tribunale Penale Internazionale.

L’Unione europea ha già stabilito che “rimarrà al fianco dell’Ucraina fornendole il suo risoluto sostegno per tutto il tempo necessario”.

Nel vertice svoltosi nel febbraio 2023, l’assistenza complessiva fornita all’Ucraina dall’Unione europea e dai suoi Stati membri è stata stimata ad almeno 67 miliardi di euro.

Sempre in quel summit di febbraio il sostegno militare complessivo della UE all’Ucraina era stato valutato a circa 12 miliardi.

Le schede informativa sulla solidarietà UE con l’Ucraina, aggiornate al 3 marzo 2023, si trovano al seguente link:

https://eu-solidarity-ukraine.ec.europa.eu/factsheets-eu-solidarity-ukraine_it

 

Il Consiglio del 23 e 24 marzo sarà una tappa importante perché i capi di Stato e di governo dell’Unione potranno dimostrare con i fatti il sostegno all’Ucraina sempre ribadito a parole: la proposta di Borrell, se approvata, «esaurisce» infatti totalmente l’ampliamento dell’European Peace Facility concordato alla fine dell’anno scorso.Nel fondo resterebbero quindi 1,4 miliardi di euro fino al 2027: un budget decisamente insufficiente per continuare ad armare l’Ucraina a questi ritmi. Gli Stati dell’Unione hanno già aperto alla possibilità di un aumento di altri 5,5 miliardi del fondo, ma per concretizzarlo è necessario appunto trovare un altro accordo.

 

Il 22 marzo, in previsione di questo Consiglio UE, è  fissata una discussione, con voto, delle comunicazioni che la premier Meloni indirizzerà al parlamento italiano (la Camera a palazzo Montecitorio) con riferimento al suo viaggio successivo a Bruxelles, per il citato vertice del 23 e 24 marzo. Da parte dei commentatori politici l’appuntamento è stato inquadrato come un momento discriminante relativamente alla natura e all’assetto degli equilibri politici vigenti.

Sulla guerra in Ucraina il governo guidato dalla Meloni chiederà chiarezza filo-Kiev e filo-NATO, in particolare al Pd, ora capeggiato dalla nuova segretaria Elly Schlein; ma, a ben vedere, anche agli stessi alleati di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega.
Ci si perdoni il linguaggio da infotainment: alla Camera arriverà il decreto “umanitario” sull’Ucraina ma l’appuntamento per “stanare” la “suocera” Schlein sulla posizione dei “democratici” in merito (ma anche le “nuore” Salvini e Berlusconi) è, appunto, quello del 22 marzo, quando il presidente del Consiglio Meloni andrà a riferire in Aula.  Per quell’occasione verrà preparata una risoluzione ad hoc per capire se ci sarà, come c’è stata finora, la sponda del Partito democratico, ben differenziata dalla opposizione “pacifista” del Movimento 5 Stelle.
Da parte di Disarmisti esigenti & partners, e si spera da parte del pacifismo esigente, la pressione dovrà essere in direzione contraria: portare quanto più PD possibile, auspicabilmente tutto, e quanti più deputati in ogni partito, ad abbracciare una posizione che lavori per la pace per il tramite della pace. (Questa contraddizione, a lavorarci bene, potrebbe essere approfondita nello stesso schieramento governativo di centro-destra attraversato dal “pacifismo utilitaristico”).  Lo abbiamo già scritto nel volantino che abbiamo distribuito alla manifestazione del 5 novembre 2022 (corteo svoltosi nella capitale Roma che paradossalmente non chiedeva nulla al governo italiano): se le armi devono tacere, esse non devono essere apparecchiate per i belligeranti, per chi dà loro la parola, per chi le usa.
Organizziamo quindi, DE & partners, una conferenza stampa dei digiunatori e dei loro sostenitori – “portavoci del popolo” perché espressioni del sentimento pacifista della maggioranza degli italiani – in  Piazza dell’Esquilino dalle ore 11:00 alle 12:00 nel contesto di un presidio, sempre nella medesima piazza, che dovrebbe protrarsi dalle ore 8:00 fino alle ore 18:30.

 

Un’inchiesta del sito pagellapolitica.it ha dimostrato “parziale e fuorviante” la dichiarazione resa dalla premier  Meloni a Bruno Vespa: “Il sostegno in armi all’Ucraina non costa nulla agli italiani“.

Ecco il paragrafo, curato da Carlo Canepa, dedicato a “le armi italiane all’Ucraina“.

“Dall’inizio della guerra l’Italia ha inviato sei pacchetti di armi e mezzi militari all’Ucraina: cinque sono stati approvati dal governo di Mario Draghi e uno dal governo di Giorgia Meloni. Il primo invio è stato stabilito con un decreto del Ministero dell’Interno del 2 marzo 2022. I successivi decreti sono datati 22 aprile 202210 maggio 202226 luglio 20227 ottobre 2022 e 31 gennaio 2023. I primi cinque decreti ministeriali poggiano su un decreto-legge approvato alla fine di febbraio 2022 dal governo Draghi, e poi convertito in legge dal Parlamento, che ha concesso al governo di inviare armi all’Ucraina fino alla fine del 2022. Il sesto decreto ministeriale poggia su un decreto-legge presentato dal governo Meloni sulla falsariga di quello di Draghi, convertito dal Parlamento per consentire al governo di inviare armi agli ucraini fino alla fine del 2023. In entrambi i casi la Camera e il Senato hanno approvato due risoluzioni per consentire l’invio di armi e mezzi.

Al momento non è possibile sapere quante e quali armi ha inviato l’Italia all’Ucraina. Le liste degli armamenti sono infatti segrete, o meglio sono considerate «documenti classificati» per ragioni di sicurezza. Il loro contenuto è stato comunque divulgato ai membri del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), che controlla l’operato dei servizi di intelligence italiani. Dunque non è possibile conoscere il valore delle armi e dei mezzi ceduti gratuitamente all’Ucraina. Il primo decreto-legge approvato dal governo Draghi per sostenere l’Ucraina – quello su cui si basano i primi cinque pacchetti di aiuti – autorizzava (art. 2) solo la spesa di 12 milioni di euro per «mezzi e materiali di equipaggiamento militari non letali». Come spiega un dossier del Senato, una parte di questa cifra faceva riferimento ai costi di trasporto degli aiuti militari in Ucraina. 

Dall’inizio del conflitto alcuni esponenti del governo e fonti stampa hanno divulgato il valore degli aiuti militari inviati dall’Italia all’Ucraina. All’inizio di marzo 2022, per esempio, alcuni quotidiani sostenevano che il primo pacchetto di aiuti avesse un valore tra i 100 e i 150 milioni di euro. A gennaio 2023 il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato al Corriere della Sera che i primi cinque pacchetti di aiuti militari avevano un valore complessivo di circa un miliardo di euro. Come detto, senza una lista pubblica di che cosa è stato mandato all’Ucraina, non è possibile verificare se queste cifre sono corrette oppure no.
In ogni caso è vero che l’Italia non sta comprando armamenti nuovi da mandare all’Ucraina: si tratta di mezzi, munizioni, armi e strumenti 
già a disposizione delle forze armate italiane. Qui però si apre una prima questione legata ai costi di questa operazione: le armi e i mezzi che stiamo inviando all’Ucraina dobbiamo poi ricomprarli?

 

La questione delle scorte

Come spiega un dossier della Camera sul decreto-legge che ha prorogato l’invio di armi per tutto il 2023, non esiste una «corrispondenza diretta tra il materiale ceduto e l’esigenza di ripianamento delle scorte, la cui programmazione, così come l’acquisizione di nuovi equipaggiamenti, è indipendente dalle cessioni». Tradotto in parole semplici: in base alle leggi l’Italia non è obbligata a ricomprare le armi che sta regalando all’Ucraina. Questa, almeno, è la versione che è stata espressa dal governo Meloni a dicembre 2022, durante l’esame del decreto in Parlamento.
In realtà nelle settimane successive il ministro della Difesa Guido Crosetto è intervenuto sul tema dicendo esplicitamente che l’Italia dovrà comprare di nuovo le armi che ha regalato all’Ucraina. Il 25 gennaio 2023, durante un’audizione di fronte alle commissioni Difesa di Camera e Senato, Crosetto 
ha infatti dichiarato: «L’aiuto che abbiamo dato in questi mesi all’Ucraina è un aiuto che in qualche modo ci impone di ripristinare le scorte che servono per la difesa nazionale».
Dunque, a differenza di quello che lascia intendere Meloni, un costo per l’invio delle armi all’Ucraina sembra esserci, sebbene spostato nel futuro.

 

 

Il contributo dell’Ue

C’è poi una seconda questione che mostra come la presidente del Consiglio non la racconti tutta sui costi dell’invio delle armi all’Ucraina.
A marzo 2021 l’Unione europea 
ha istituito lo “Strumento europeo per la pace” (Epf, dall’inglese European peace facility). Questo è un fondo esterno al bilancio comunitario dell’Ue che ha l’obiettivo di finanziare una serie di azioni nel settore militare e della difesa. Come spiega un dossier del Parlamento, l’Ue ha finora stanziato 3,6 miliardi di euro per la fornitura all’Ucraina di attrezzatura militare attraverso sette pacchetti di aiuti. Tra le altre cose l’Epf ha l’obiettivo di rimborsare anche una parte del valore delle armi inviate dai Paesi Ue all’Ucraina.
Il fondo 
è finanziato dagli Stati membri in modo proporzionale alla quota del loro Reddito nazionale lordo (Rnl), che si ottiene sommando o sottraendo al Prodotto interno lordo (Pil) i redditi guadagnati da o pagati a persone o aziende estere (anche i contributi alla Nato funzionano in un modo simile). L’Italia contribuisce al fondo Epf per circa il 12,8 per cento, quindi per circa 460 milioni di euro sui 3,6 miliardi stanziati finora per l’Ucraina“.

 

In conclusione: sia per la necessità di ripristinare le scorte sia per il contributo da pagare all’EPF della UE, possiamo affermare, contrariamente a quanto dichiara la Meloni, che l’aiuto militare all’Ucraina ci costa in termini economici. Esiste poi un costo incommensurabile che è l’allontanamento dalla civiltà della pace a cui dovremmo invece avvicinarci.

Lo abbiamo scritto in una lettera indirizzata ai deputati e spedita in questi giorni per chiedere ad essi un dialogo online il 20 marzo, dalle ore 19:00 alle ore 20:00 (questo il link per collegarsi:

https://us06web.zoom.us/j/83737497172?pwd=TENTODAva3c3M09QcHJsQVluclc5dz09):

 

Prima di votare questa o quella mozione consideri con attenzione a non farsi complice di logiche di guerra che rischiano di condurre il Paese verso avventure senza ritorno e persino il baratro della catastrofe nucleare. Si faccia un esame di coscienza e consideri quanto certe scelte belliciste siano solo a favore dei pochi che si arricchiscono sulle spalle dei molti e sempre più poveri. Contribuisca a riportare l’Italia quale punto di riferimento di diplomazia come cultura della cooperazione e non del nemico; e della necessaria pace con la natura, indispensabile per la pace tra le società umane”.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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