I curdi traditi da tutti
Un dossier: il padre di “Orso”, Domenico Gallo, Dilar Dirik, Piero Orteca, Ginevra Bompiani e David Riondino. In coda notizie sulle adesioni (sui pullman) per la manifestazione del 1 novembre
Il padre di “Orso”: fermiamo il massacro del popolo curdo
intervista di Maurizio Boldrini
Nelle galere di Erdogan
Moltissimi giovani, e molti docenti, sono assiepati nell’aula, aderendo all’appello per fermare il massacro di quel popolo. Sono qui per riascoltare le parole del giovane morto per combattere i terroristi dell’Isis. Alessandro Orsetti, il padre- testimone, porta al collo una kefiah gialla, rossa e verde, cioè dei colori del Kurdistan. “Una giovane turca, che portava un fazzoletto come questo per le vie di Ankara, è stata arrestata e s’è fatta un sacco di anni di prigione. Anni nelle galere di Erdogan – dice – e queste sono cose che accadono, ogni giorno, in quel regime”.
Lo sappiamo e troppo spesso lo dimentichiamo. Se lo dimenticano, soprattutto, gli stati europei che continuano a concedergli credito e a vendergli armi. Le sue parole lo confermano: in quelle galere sono detenuti molti giornalisti, molti oppositori del regime, molti cittadini curdi.
Il sacrificio di Lorenzo, detto Orso
E’ arrivato da Firenze accompagnato dalla moglie, Annalisa. La loro è diventata una sorta di missione, forse per il bisogno di rispondere con un nuovo impegno civile alla sofferenza per la scomparsa del figlio. Per non rendere vano quel gesto. Ripete ad alta voce, di fronte alla comunità accademica, i contenuti della lettera che la famiglia ha inviato al governo e alle istituzioni nazionali e regionali, dopo l’attacco della Turchia alle forze curde: “Ora, subito, dobbiamo fermare questo attacco ai curdi e poi, dopo, sarà necessario trovare una soluzione pacifica per questa zona del Medio Oriente”. Sono passati già molti mesi da quando il loro figlio Lorenzo è stato ucciso dai miliziani dell’Isis, mentre militava come volontario nell’esercito popolare curdo. Solo Dio sa quante lacrime, da allora, abbia versato questa famiglia. Lacrime che dettano impegno: “Se abbiamo pianto per Lorenzo, riconoscendo la bellezza del suo gesto, davvero non vogliamo fare nulla per impedire questa nuova guerra?”.
Le domande dei giovani che vogliono capire
Nel corso dell’intervista, che diventa una conversazione corale, i giovani vogliono capire i tanti perché di questa nuova “sporca guerra”. Chiedono al padre di Orso di spiegare i motivi della tragedia del popolo curdo e anche di raccontare che cosa ha spinto il figlio Lorenzo a una scelta così radicale. Risponde: “Ci sono momenti in cui si deve avere il coraggio di fare delle scelte. Ognuno è libero di scegliere la propria strada. Lui ha scelto di stare accanto a quel popolo e non solo perché i curdi erano perseguitati ma anche perché era attratto dalle forme che avevano scelto per stare insieme. Forme di una democrazia davvero partecipata, dove non vi era una separazione tra stato e cittadini. Una democrazia che stava nascendo davvero dal basso. Senza differenze di genere. Era una scelta tutt’altro che militarista. Le armi sono state imbracciate da lui e da suoi compagni solo per la necessità di difendersi. E anche per difendere noi dal terribile attacco dei terroristi dell’Isis. La sua è stata una scelta etica e politica”.
Bisogna battersi contro la ferocia di un regime tirannico
Alessandro Orsetti lavora come educatore in una comunità dell’area fiorentina. Da sempre predica e pratica la non violenza. Eppure ha capito la scelta del figlio, fino alla triste fine e ai funerali voluti in forma pubblica, con i partigiani dell’Anpi in prima fila. Quei partigiani che avevano dato una tessera di iscritto onorario al giovane combattente. La madre Annalisa è in mezzo agli studenti. Mi rimbalzano alla mente le parole che aveva dettato proprio al foglio dei partigiani: “Le parole costano poco e se ne fanno tante, lui ha preferito i fatti, decidendo di stare vicino agli ultimi, di fare qualcosa per loro. Per aiutare i tanti orfani, i feriti, le donne …per aiutare il popolo martoriato a resistere e a combattere contro la ferocia d’uno stato tirannico e seminatore d’odio e di morte”.
La voce di Riondino, i segni di Zerocalcare
Quello che accade in quella terra straziata è raccontato, nel pomeriggio senese, dalle immagini che hanno scelto i giovani aderenti a Link, l’associazione studentesca che insieme a un gruppo di docenti ha organizzato l’incontro. Le immagini inviate da Lucia Goracci, la giornalista Rai che ha mostrato la difesa di Kobane, L’appassionata canzone di David Riondino e i graffianti segni di Zerocalcare sulle donne curde. L’intervista al rettore dell’università libera di Rojava tratta da un documentario girato da Marco Rosi e da un gruppo di studenti della comunità curda del Monte Amiata. E poi i collegamenti skype con i rappresentanti dell’Ong Stella Rossa impegnati a raccogliere fondi e viveri da inviare alle popolazioni colpite dai bombardamenti. Nell’incontro è stata anche sollecitata una pronta risposta degli atenei italiani all’appello delle Università del Rojava e di Kobane, pubblicato integralmente da il manifesto, per fermare la nuova “cospirazione contro il nostro popolo in resistenza”.
Sono però le parole emozionate, eppure lucide, di Alessandro Orsetti a far riflettere e discutere l’assemblea: “Mio figlio paventava già, allora, il rischio che gli americani abbandonassero i curdi alla loro sorte. Questo è, purtroppo, accaduto. Non ci possiamo aspettare dall’America, con l’attuale amministrazione, un coinvolgimento per una causa come quella curda”. Per Alessandro Orsetti adesso occorre farsi sentire, alzare la voce, informare i cittadini, essere davvero accanto ai curdi. “Se abbiamo pianto Lorenzo – chiude con commozione – riconoscendo la bellezza del suo gesto, davvero non vogliamo far nulla per impedire questa guerra? Molti hanno pianto Lorenzo. Lo hanno fatto con sincerità. Vedo commozione nei vostri occhi. Allora vi prego: non facciamolo morire nuovamente, facendo morire gli ideali e la causa per la quale si è sacrificato”.
«Non voglio vederlo!» – Domenico Gallo
Mentre dobbiamo tirare un sospiro di sollievo per il cessate il fuoco annunciato poche ore fa, non possiamo ignorare che in realtà si tratta di una tregua che non pone fine all’aggressione scatenata dall’esercito turco contro la Federazione democratica della Siria del Nord (Rojava). I prossimi giorni saranno decisivi per capire come si evolve la situazione sul campo.
In questo contesto di orribile violenza, l’evento che più ci colpisce è il martirio di Hevrin Khalaf, 35 anni, segretaria generale del Partito siriano del Futuro e attivista dei diritti delle donne, molto conosciuta e amata dalla sua comunità, brutalmente uccisa alcuni giorni fa durante un’imboscata. Il suo autista è stato subito ucciso. Lei è stata trascinata fuori dalla macchina, probabilmente violentata, lapidata e il suo corpo è stato oltraggiato dagli assassini, che – in un video che loro stessi hanno girato – lo colpiscono con i piedi urlando: «Questo è il corpo del maiale». Il Partito Futuro siriano è stato fondato e lanciato un anno e mezzo fa a Raqqa, nel territorio della Siria settentrionale liberato dallo Stato islamico, con l’obiettivo dichiarato di rappresentare tutte le anime della società siriana, unendo la componente curda, quella araba e quella cristiana-siriaca nella prospettiva di un futuro Stato post-Bashar al-Assad democratico, multietnico e pluralistico, basato sulla civile convivenza e sul rispetto di tutte le minoranze. Questo sogno di una convivenza felice e armoniosa fra le diverse componenti etniche e religiose, fondato sul rispetto dei diritti umani e sull’emancipazione delle donne dalle catene del patriarcato, sogno che si stava incarnando nella Federazione democratica della Siria del nord, è quanto di più antitetico si possa immaginare alla lugubre esperienza dello Stato islamico dell’ISIS.
Per questo l’assassinio di Hevrin Khalaf è un crimine rituale, perché simboleggia tutto ciò che le milizie alleate del turco odiano al massimo livello e quello a cui mira l’operazione “fontana di pace”: demolire l’esperienza democratica curda per reinsediare lo Stato islamico. Un assassinio rituale come fu quello di Garcia Lorca, assassinato dai falangisti il 19 agosto del 1936. Garcia Lorca non era un combattente e non rappresentava un pericolo per nessuno, però fu fucilato perché comunista, omosessuale e poeta, cioè esprimeva con la sua personalità tutto ciò che i fascisti spagnoli detestavano al massimo.
Un altro evento, profondamente diverso ma ugualmente drammatico, si è consumato nella notte tra il 6 e il 7 ottobre, quando un barcone carico di migranti si è rovesciato a poche miglia da Lampedusa. Nelle ore successive sono state recuperate tredici salme: tutte giovani donne, alcune incinte, fra queste anche una ragazzina di 12 anni. Alcuni giorni dopo, ispezionando il relitto, i sommozzatori hanno trovato il corpo di un bambino piccolo abbracciato alla sua mamma, cullati dalle onde in fondo al mare. Apparentemente non c’è alcun rapporto fra il martirio della giovane donna curda e la triste vicenda della donna affogata tenendo stretta fra le braccia il suo bambino. In realtà sono due eventi che fanno risaltare il male oscuro che divora l’anima della nostra civiltà, devastata dalla disumanità che avanza. Disumanità che ci ha fatto porre termine all’operazione mare nostrum proprio per evitare di salvare i barconi dei migranti in difficoltà ed evitare che quella donna e quel bambino giungessero sulle nostre coste. Disumanità che ci ha consentito di dare via libera ai massacri di Erdogan.
C’è un appello di donne che dice: «Non parlateci più di valori occidentali se non sapete difendere i curdi. Non parlateci più di parità se lasciate ammazzare le libere donne curde. Non parlateci più di pace se vi girate dall’altra parte davanti alla guerra più ingiusta del secolo. […] Non parlateci più di niente. Di Italia, di Europa, di identità, di dignità della vita, di diritti umani, di giustizia […] se non avete il coraggio di reagire. State zitti».
Di fronte a questi corpi martoriati, l’unica voce che può parlare è proprio quella di Garcia Lorca, nel lamento per la morte di Ignazio Sanchez: «Non voglio vederlo! / Dì alla luna che venga, / ch’io non voglio vedere il sangue / d’Ignazio sopra l’arena / non voglio vederlo!».
La violenza contro le combattenti curde ha una tradizione (*)
L’attivista e ricercatrice del movimento delle donne curde Dilar Dirik commenta la violenza contro le combattenti curde. Non si tratta di umiliare la singola donna, ma la società nel suo complesso, spiega Dirik.
Nella storia ci sono un gran numero di casi nei quali la violenza contro le donne è stata usata sistematicamente come arma di guerra. Eserciti, che si basano su idee patriarcali, usano lo stupro, la tortura sessuale e altri metodi per disonorare il nemico.
Quando si tratta di combattenti donne, spesso la violenza sessuale non viene usata solo per umiliare e mortificare la singola donna, ma anche per traumatizzare il nemico e la sua società a livello complessivo. Di norma gli eserciti riconoscono combattenti maschi come nemici, mentre considerano le combattenti donne puttane.
Nel contesto dello Stato turco, la violenza sessualizzata contro le donne ha una lunga tradizione. Fino a oggi i femminicidi durante il genocidio degli armeni e quello contro i cristiani siriani nel 1915 (Seyfo) vengono rifiutati nel mainstream della Turchia, anche se la fondazione dell’odierno Stato nazionale si basa su di essi.
Nelle carceri turche la violenza sessuale è stata usata soprattutto negli anni 080 contro donne appartenenti ai gruppi rivoluzionari. Sakine Cansız, co-fondatrice del Partito dei Lavoratori del Kurdistan PKK, che allora prese parte alla resistenza nelle carceri, nelle sue memorie descrive la violenza sessuale come pratica di tortura corrente.
Lo Stato turco e i suoi media ricorrono ripetutamente all’affermazione che le guerrigliere curde in montagna subirebbero abusi. L’intenzione che sta dietro a questo, è di indispettire la parte conservatrice della società curda per impedire alle persone si sostenere il PKK. Ma anche per contrastare l’afflusso di migliaia di donne verso le montagne.
Mentre i corpi oltraggiati di guerriglieri maschi spesso vengono filmati dall’esercito turco a scopi propagandistici (soprattutto dagli anni ‘90), i cadaveri delle combattenti, spesso vengono anche dominati attraverso il fatto che vengono denudati. Anche „test di verginità” su guerrigliere morte in passato appartenevano alle pratiche correnti.
Nel 2018 a Efrîn il cadavere della combattente YPJ Barîn Kobanê (*) è stato mutilato da milizie sostenute dalla Turchia. Nell’attuale invasione è stata brutalmente assassinata la politica e attivista per i diritti delle donne Hevrin Khalaf. Media turchi lo hanno definito un successo.
Anche il cadavere della combattente YPJ Amara Rênas è stato mutilato da un gruppo di uomini filo-turchi e ripreso in modo umiliante. La recente cattura della combattente YPJ Çiçek Kobanê è stata interpretata da molti come dimostrazione simbolica del dominio maschile sul Rojava, un luogo diventato noto per l’autodifesa delle donne.
Tutto questo va visto nel contesto del significato del Rojava per le donne. Le YPJ sono considerate forza attiva per la protezione di un progetto radicale, liberale, politico e sociale delle donne. La sconfitta del cosiddetto Stato Islamico (IS) è stato considerato dalle donne soprattutto come una vittoria ideologica. Un evento storico.
Gruppi armati che filano orrori sessualizzati nei confronti di donne e condividono il materiale con il mondo, con questo non solo documentano i loro crimini di guerra. Posando trionfalmente su corpi denudati e mutilati di donne curde, contemporaneamente comunicano la loro ideologia.
Il movimento delle donne curde – sulla base delle più recenti esperienze e di un’analisi del patriarcato come sistema vecchio di 5.000 anni – vede paralleli tra IS, Erdogan, Trump e Putin e le loro ideologie violente, patriarcali e nelle ultime affermazioni fa notare i loro punti comune.
(*) Barîn Kobanê, di nome Amina Omar, si è unita alle YPJ come reazione al genocidio e femminicidio a Şengal nell’agosto 2014. Il 30 gennaio 2018 all’età di 26 anni è caduta nel corso dell’invasione turca durante la difesa di Efrîn. Poco prima della sua morte nella zona di Bilbilê aveva combattuto contro mercenari jihadisti della Turchia. Quando aveva quasi finito le munizioni, mise mano alla sua arma e mirò alla propria testa per sfuggire alla prigionia. Il suo corpo nonostante questo cadde nelle mani degli aggressori: Gli jihadisti le tagliarono i seni e filmarono il suo cadavere mutilato. Le riprese apparvero poi nei social media.
(*) ripreso da www.retekurdistan.it – Fonte: ANF
I curdi? Se li sono venduti tutti, senza ritegno – Piero Orteca
Perché i curdi traditi da tutti
Ormai è chiaro a tutti: l’attacco turco e la tragedia curda hanno avuto semaforo verde, più o meno tacito o più o meno concertato a tavolino, dagli Stati Uniti, dall’Europa e dalla Russia. Lo abbiamo scritto più volte: i curdi sono la carne da cannone del Medio Oriente. E i sepolcri imbiancati che da Washington, Bruxelles, Parigi, Roma e chi più ne ha più ne metta cianciano di pace, indipendenza e libertà dei popoli mentono sapendo di mentire. Vergogna. La tregua raggiunta con tanto di strombazzamenti è durata solo un pomeriggio. I turchi hanno continuato a battere con la mazza da fabbro ferraio sull’incudine e, a quanto pare, hanno anche usato bombe al fosforo bianco. Vietatissime. Ma ad accorgersene è stata solo l’Organizzazione contro le armi chimiche, perché all’Onu e alla Commissione europea ronfano o fanno finta di essere interessati. Ma a loro riguarda solo la spartizione dei pani e dei pesci in Siria, quando si firmerà la pace definitiva. Ergo, Erdogan sa di avere il coltello dalla parte del manico e continua a prendere Trump a schiaffoni.
La pelle dei curdi per la Turchia nella Nato
Ieri si è saputo che una lettera di velate minacce economiche scritta dal Presidente americano due settimane fa è stata cestinata dal sultano di Ankara. Erdogan tiene il piede in due staffe: alleato della Nato, contemporaneamente flirta con Putin. E’ in condizione di fare un sacco di danni al blocco occidentale, perché può rivelare piani di difesa militari, tecnologie d’arma di ultima generazione e segreti di ogni tipo. Un’aquila con due teste, pronta a vendersi al primo venuto. Gli altri abbozzano, perché dei curdi non gliene frega niente. Li hanno utilizzati come fantaccini da massacrare nella battaglia contro l’Isis, ma ora che la guerra è vinta possono andare a farsi strabenedire. L’area del nord-est della Siria occupata dai turchi è stata concordata fino all’ultimo centimetro quadrato con la Casa Bianca e con gli europei. Quando Conte strepita al telefono con Erdogan, prima si informi di quello che hanno fatto i suoi presunti alleati. Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Germania hanno spudoratamente tirato la coperta dalla loro parte.
Fascia di sicurezza nelle teste di Trump ed Erdogan?
Qualcuno, per cortesia, avverta l’Italia, perché se no facciamo la figura degli scemi del paese. Se il ministro degli Esteri Di Maio respira, che batta un colpo. O che almeno qualcuno gli spieghi che il Kurdistan non è una benzodiazepina è che il Lexotan non è una repubblica dell’Asia centrale. Spifferi di corridoio che arrivano dai servizi segreti occidentali, dicono che non è finita qua. Erdogan vorrebbe andare oltre la testa di ponte che si è costruito nel nord-est della Siria lungo una fascia di 120 km, profonda 30. Da lì può avere mano libera per assestare rovinose legnate ai curdi in tutte le direzioni. Trump minaccia di rovinare l’economia turca. Ma minaccia e basta, per ora. Sa benissimo che l’ex Sublime Porta è in grado di ballare un valzer diplomatico azzardatissimo, che potrebbe portarla a rasentare un clamoroso voltafaccia, per gettarsi armi e bagagli nelle braccia della Santa Russia di Putin. Parliamoci chiaro, non conviene né ad Ankara e né alla Nato, un affare in perdita.
Dal tradimento coloniale anglo-francese
Per questo, per mettere tutti d’accordo, la soluzione resta quella del massacro dei curdi. Ancora una volta presi in giro dagli uomini e dalla storia. Hanno solo la colpa di essere le scorie incandescenti di un retaggio coloniale anglo-francese che non ha mai guardato in faccia nessuno. Quando oggi Macron e Johnson si permettono di dare lezioni di civiltà, meriterebbero di essere presi a pedate nel fondoschiena. Hanno fatto carne di porco della convivenza tra i popoli e hanno spremuto il limone fino alla buccia. E adesso lo scaraventano nella spazzatura, assistiti dal cinismo americano che in politica estera ha fatto più danni di Attila. Forse si stava meglio quando si stava peggio. Prima delle Primavere arabe. Oggi il Medio Oriente è diventato un pentolone in ebollizione e naturalmente i più deboli, i curdi, pagano per tutti.
Contro il buon senso, la miope, feroce oppressione dei curdi – Ginevra Bompiani
La memoria è una facoltà ambigua, che spesso serve a inchiodarci alle comode versioni della nostra storia. E in effetti, con quanta compunzione ci ricordiamo come sono stati malvagi i tedeschi a sterminare sei milioni di ebrei e di zingari, mentre noi Europei reagiamo con tiepida ipocrisia allo sterminio del popolo Curdo, pur di non dover salvare da immonde prigioni, da noi finanziate, i tre milioni di siriani che vi abbiamo rinchiuso.
Non dipende infatti da noi, se questo sterminio viene o verrà fermato. Non siamo noi a interporci fra i combattenti, a imporre un temporaneo cessate il fuoco. Noi siamo ancora sotto lo choc del cosiddetto ’ricatto’ di Erdogan. Ma quale ricatto?
Vorrei provare ad arrivare con calma alle parole che avrei voluto sentire – se non dai governanti, almeno dalle associazioni, se non da loro, dai singoli – le parole del ‘buon senso’, o del ‘senso comune’.
- Tre milioni di siriani affollano i campi di prigionia turchi, senza che la Turchia sia affondata nel mare per questo. Distribuiti in tutta Europa, scomparirebbero come alberi nella foresta.
Al momento, Erdogan cerca di condurre due operazioni: far fuori i suoi atavici avversari e vittime e fare del territorio occupato dal popolo curdo un immenso campo profughi, dove rovesciare non solo gli attuali rifugiati, ma tutti quelli che questa nuova guerra produrrà.
Ancora una volta nella Storia, ci sarebbe un paese dove le vittime fuggiasche occupano lo spazio di un popolo scacciato dalla guerra.
Questo non ci ricorda l’operazione inglese in Palestina, quando, degli ebrei sopravvissuti alla strage, ci ‘sbarazzammo’ spingendoli in una terra occupata da altri popoli, e creando intorno a loro e in Medio Oriente una situazione di guerre continue?
La differenza è che qui il popolo che attualmente occupa il territorio, sarebbe già stato sterminato, e che i futuri occupanti verrebbero rovesciati sulle sue rovine e il suo sangue, senza chiedere loro se vogliono infilarsi in questa trappola.
- Questa ignobile operazione riceve come al solito la nostra cauta disapprovazione e reale beneplacito. La risibile sanzione di ‘sospendere la vendita delle armi in futuro’, quando la guerra è in atto e non stiamo sospendendo le vendite attuali (e anche della vendita futura si ‘parla’ soltanto), è come chiamare ‘fonte di pace’ una guerra spietata, o ‘operazione di polizia’ i bombardamenti a tappeto.
L’ipocrisia, la mistificazione sono diventati (o sono da sempre?) il linguaggio della politica, ma non solo. Sono in realtà il linguaggio corrente: politica e mercato ce ne hanno dato il costume. Ma non devono essere il nostro. A noi, noi singoli, noi associazioni, compete dire la verità. E’ il nostro compito, il nostro interesse, il nostro onore.
- Ecco dunque quello che secondo me ‘la verità del buon senso’ (Moravia disse un giorno a chi discuteva di verità teologica, filosofica e via dicendo: “Io credo alla verità del buon senso’, e io con lui), ci avrebbe dovuto dire:
“Volete aprire le prigioni, dove tre milioni di esseri umani sono trattenuti, oppressi e torturati? Fatelo subito. Da questo momento non vi verseremo più un solo euro, e con quelli che risparmiamo, accoglieremo queste persone in modo decente e diffuso. Con il resto dei miliardi che diamo a voi e alla Libia (a cui va fatto lo stesso discorso) potremo occuparci della situazione che insieme a voi abbiamo creato, in modo che questa gente non sia più costretta a lasciare la propria terra (nessuno lo fa per proprio piacere, ma con grandissimo dolore). Cessiamo da questo momento di vendere armi a tutto il Medio Oriente (meglio se a tutto il mondo, ma un passo alla volta), e cessiamo ogni commercio con voi.
Poiché Putin e l’esercito siriano ci hanno preceduti nel mettersi a cuscinetto fra voi e il popolo curdo (e perfino Trump fa un piccolo passo indietro), non possiamo che unirci a loro, in modo che l’operazione sia comune e abbia l’efficacia necessaria a fermare subito e definitivamente la guerra.
Infine, cerchiamo l’alleanza di quei popoli del Medio Oriente che non stanno opprimendo o sterminando altri popoli, e cessiamo ogni intesa con quelli che lo stanno facendo.”
Questo, a mio parere, dovrebbe essere il discorso del buon senso, il senso che pensa al bene comune, che non arzigogola, non finge e non inganna, ma parla la preziosa lingua umana, fatta per tessere, non per ordire.
Altrimenti continueremo a produrre profughi e a pagare i loro aguzzini perché non li lascino arrivare fino a noi. Altrimenti, piano piano, la popolazione del mondo sarà rimpiazzata da una popolazione di profughi, ciascuno nel paese dell’altro, ciascuno in fuga dal proprio, tutti senza case e senza documenti, senza voto, senza diritti o mezzi di sostentamento, tutti rifocillati da organizzazioni internazionali che imporranno i propri prodotti. Non ci saranno più cittadini, ma solo rifugiati, non ci sarà più una patria, solo campi di raccolta.
Tranne noi, gli eterni invasi, asserragliati nelle nostre riserve di caccia, nei nostri ghetti, controllati dai gestori, dai mercanti, dagli oratori, dai carcerieri, noi aggrappati come Arpagone a un oro di cartapesta.
(il manifesto, EDIZIONE DEL 19.10.2019) – da qui
Mancano 3 giorni alla manifestazione del 1° novembre a Roma. Concentriamo tutti gli sforzi per far arrivare al corteo migliaia di compagne/i e di sostenitori del Rojava
FIRENZE : verso il 1 novembre a Roma
Bus da Firenze a 20 euro, sottoscrizione volontaria per studenti/esse
Per info e prenotazione: Giulia 328 1049050, Erdal 333 3561086
-
Pullman Da Reggio Emilia per partecipare alla manifestazione nazionale del 1° novembre a Roma contro la guerra, al fianco del popolo curdo e a difesa del confederalismo democratico. Per info e prenotazioni posti contattare:
3386066779
3478765083BUS IN PARTENZA ANCHE DA:
– Puglia
– Reggio+Catanzaro+Cosenza
– dalla Sicilia con svariati mezzi
❗️Il primo novembre scenderemo in piazza in difesa del #Rojava, di seguito l’invito e le info per costruire insieme uno spezzone di donne:
❤️ Vi scriviamo per ricordarvi l’invito a scendere in piazza l’1 Novembre in difesa del Rojava e di quell’esperimento democratico rivoluzionario che ha messo al centro la #liberazione delle donne. Proprio per questo abbiamo pensato fosse giusto guidare con la nostra forza e la nostra energia questa mobilitazione, aprendo il corteo con uno spezzone formato dalle tante donne e compagne che quotidianamente animano collettivi e percorsi di lotta!
Vi chiediamo di unirvi a noi e formare insieme uno spezzone che mostri tutta la voglia di lottare che ci accomuna e tutta la solidarietà e il sostegno che vogliamo far sentire a tutte le donne che, in Rojava, in questi anni, stanno lottando per liberare dal fascismo non solo se stesse ma tutte noi!
➡️ Il corteo partirà alle 14 da Piazza della Repubblica per sfilare fino a Piazza della Madonna di Loreto. L’appuntamento per noi è alle ore 14 dietro lo striscione “VIVA LA RIVOLUZIONE DELLE DONNE FERMIAMO L’INVASIONE TURCA IN ROJAVA #WOMENDEFENDROJAVA”
Per maggiori informazioni sul corteo:
https://bit.ly/2pi4eJW
https://bit.ly/2qMAt4l
Jin Jian Azadi
Ci vediamo in piazza
Adesione di Articolo 21 :l’associazione parteciperà a tutte le iniziative previste contro l’intervento militare della Turchia nel nord . Ci saremo perché Erdogan non solo vuole annientate il popolo curdo, ma vuole anche distruggere l’esperienza del Rojava dove è stato realizzato un esperimento di repubblica laica, che rispetta le differenze e le diversità e riconosce il valore della libertà di informazione”. Saremo in piazza anche per chiedere l’immediata liberazione e di tutti i prigionieri politici dalle carceri turche, a cominciare da quelle centinaia di giornalisti che Erdogan ha costretto nelle galere per poter agire indisturbato e protetto dall’oscurità.
L’Arci aderisce alla Manifestazione nazionale 1° novembre a Roma #controlaGuerra #IostoconiCurdi
Insieme contro la guerra e al fianco del popolo curdo, per l’umanità e contro la barbarie
L’Arci nazionale aderisce all’appello lanciato dall’UIKI, dalla Comunità Curda in Italia e dalla Rete Kurdistan.
Scenderemo anche noi in piazza il prossimo 1 novembre a Roma per chiedere il ritiro delle truppe dal nord est della Siria, l’intervento delle Nazioni Unite in qualità di garante internazionale con la definizione di una no-fly zone e la creazione di corridoi umanitari per i feriti nelle zone di conflitto.
Il popolo curdo non meritava il tradimento subito, merita invece l’attenzione e il sostegno dell’Occidente e delle istituzioni internazionali.
Vogliamo esserci non solo a parole, ma con azioni concrete e partecipazione.
Noi ci siamo e ci saremo, attraverso il sostegno alle vostre iniziative e attraverso una campagna di crowdfunding lanciata e promossa attraverso i nostri canali per gli aiuti alle migliaia di sfollati e vittime.
Insieme contro la guerra e al fianco del popolo curdo, per l’umanità e contro la barbarie.
Radio Onda Rossa: trasmissioni quotidiane verso il corteo del 1° novembre a Roma
AGGIORNAMENTO SDESIONI
Arci
Sinistra Italiana
FIOM Nazionale
COBAS Confederazione dei Comitati di Base
Un Ponte per
Articolo UNO
Giuristi Democratici
Articolo 21
Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
DiEM25 Italia (Democracy in Europe Movement 2025)
èViva
Rete delle Donne per la Rivoluzione Gentile
Non Una di Meno
Associazione Senza Confine
Rete delle donne per la Rivoluzione gentile
Fondazione Nilde Iotti
Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA)
Associazione Donne del Mondo di San Giovanni in Persiceto
Unione Montana Valle Susa
Progetto Diritti onlus
Alternativa Libertaria/fdca
Associazione Verso il Kurdistan
Casa Internazionale delle Donne
E Zezi Gruppo Operaio
Cooperazione Rebelde Napoli
Federazione Italiana C.E.M.E.A. (Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva)
Sciamadonne – Gruppo di Ricerca Sciamanica Europea
Rete Kurdistan Puglia
PALERMO solidale con il popolo curdo
Rete Kurdistan Abruzzo
Rete Kurdistan Barletta
lista civica Laboratorio Civico X
Cobas Terni
èViva Comitato di Roma capitale
Non Una Di Meno Napoli
Non Una di Meno Roma
Lucha y Siesta, Roma
Aurelio in Comune
Brigate di Solidarietà Attiva
LOA Acrobax Project
BSA Nazionale
Centro Donne Dalia – Roma
Jineoloji Italia
Focus – Casa dei Diritti Sociali
Comitato Kurdistan a Firenze
Assemblea Beni Comuni / Diritti
Focus Casa dei Diritti Sociali
CSOA “Angelina Cartella” di Reggio Calabria
Rete Jin e Jineoloji Napoli
Associazione network Educare Alle Differenze
Associazione Cultura è Libertà
Comitato Madri per Roma Città Aperta
L’Assemblea delle Donne del Consultorio del Trullo
La Palestra Popolare Baccelli
Wen-Do Roma, Luna e le Altre (Roma)
L’associazione di promozione sociale Latte, Amore e Fantasia di Potenza
CSOA Strike Spa
CSOA Ex Snia
Fridays for future Roma
CSOA La Strada
Casetta Rossa Spa
Link Roma 3
IN “BOTTEGA” fra i post più recenti vedi Turchia e Italia: proteste e censure, appelli e proposte
GLI AFFARI INSANGUINATI DELL’ITALIA. Un embargo immediato alla vendita di armi alla Turchia non è neppure in agenda nel nostro Paese. Con buona pace dei curdi
Qui l’articolo di Giorgio Beretta: http://www.osservatoriodiritti.it/2019/10/28/armi-turchia-vendita-italia/
una petizione di Potere al Popolo:
https://www.change.org/p/luigi-di-maio-l-italia-fermi-la-vendita-di-armi-alla-turchia-e-il-massacro-del-popolo-curdo/u/25280629?cs_tk=Aog87DmVLkktAn-evV0AAXicyyvNyQEABF8BvCLmk3nJTGyjM3Libq9JdLU%3D&utm_campaign=80ff7c15edc94c52bd7b2339c236fcc9&utm_medium=email&utm_source=petition_update&utm_term=cs
In piazza per la pace in Siria il 1° novembre
Da: PATRIA INDIPENDENTE http://www.patriaindipendente.it/
Un ampio documento unitario voluto da Anpi, Arci, Cgil, Legambiente, Rete della Pace, Udu e altre associazioni per fermare l’aggressione ai curdi e per trovare le vie della pace in Medio Oriente. Anche a Roma sfilerà il popolo della pace nella giornata europea di mobilitazione a sostegno dei diritti dei curdi del Rojava. Il 1° novembre associazioni, sindacati, studenti, partiti democratici, semplici cittadini si daranno appuntamento nella capitale e in tante altre città italiane per partecipare in contemporanea alla manifestazione promossa da “Autonomia del nord-est Siria-Rojava”, coordinata nel nostro Paese dall’UIKI (l’Ufficio informazione del Kurdistan in Italia). E Anpi, Arci, Cgil, Legambiente, Rete della Pace, Udu e altre associazioni, dopo aver lanciato appelli ed espresso vicinanza alle donne e degli uomini curdi che aveva contribuito a sconfiggere l’Isis ed aveva avviato nel territorio una grande esperienza democratica, hanno deciso di fare un passo in più. Così hanno messo a punto una “Piattaforma per la pace in Siria e in MedioOriente”. Un documento articolato che Patria vi propone integralmente.
Piattaforma Pace in Siria ed in Medio Oriente
Fermiamo la guerra in Siria
Fermiamo le guerre in Medio Oriente
Costruiamo la pace
L’allontanamento dal territorio siriano da parte delle forze armate americane, l’annunciata aggressione turca nei confronti del popolo curdo residente nel territorio della Siria del nord est, il successivo intervento russo al fine di comporre il conflitto accettando nella sostanza le pretese territoriali della Turchia confermano l’abbandono della popolazione curda al suo destino e la cacciata dei residenti dalla cosiddetta fascia di sicurezza. Ma mettono in luce anche l’inerzia e l’incapacità di svolgere un efficace ruolo di mediazione sia da parte dell’Onu che da parte della Ue.
Il mondo, e l’Europa in particolare, che avrebbe dovuto sostenere con tutte le proprie risorse, l’esperienza di integrazione e di convivenza tra le comunità etniche e religiose in corso nel Nord/Est della Siria, riconoscendo il sacrificio e la resistenza del popolo siriano e della sua milizia curda Ypg (Unità di protezione popolare), di cui una importante componente costituita da donne combattenti che si sono distinte per coraggio ed abnegazione, pagando un altissimo prezzo di vite umane, e riuscendo a sconfiggere l’Isis, hanno invece tradito questa esperienza, rendendosi complici di una nuova violazione della sovranità siriana, della ripresa della guerra e provocando l’alto rischio di un ritorno dei miliziani dell’Isis alle loro attività belliche e terroristiche.
La guerra continua ad essere l’unico strumento di composizione dei conflitti in Medio Oriente, dove si intrecciano laceranti contraddizioni mai sopite: la questione nazionale dei curdi, la legittima aspirazione ad uno Stato e un territorio per i palestinesi, la salvaguardia dell’esistenza dello Stato d’Israele, la lotta per l’egemonia regionale che si avvantaggia della perenne rivalità fra sciiti e sunniti, il perdurare del conflitto in Yemen e la repressione violenta delle mobilitazioni popolari in Iraq e Libano che rischiano di degenerare e riaccendere nuovi focolari, la frammentazione della Libia, il contrasto fra regimi laici e regimi confessionali (tutte le petromonarchie sono a carattere teocratico), la questione economica per le ricchezze petrolifere in gran parte di quei territori, gli interessi economici e strategici delle grandi potenze, il ruolo devastante che ha avuto e può avere l’Isis in Medio Oriente oltre che in Europa, in un quadro aggravato dagli interventi militari trascorsi in Iraq, in Libia, ed oggi nella stessa Siria che hanno comportato conseguenze catastrofiche per la stabilità dell’intera regione.
Davanti a questo scenario così complesso e drammatico l’unica via d’uscita è l’applicazione del diritto internazionale, multilateralismo per l’azione di mediazione e di risoluzione nonviolenta dei conflitti armati, mettendo al bando la guerra e le armi nucleari.
Noi, uomini e donne, cittadini e cittadine europee, migranti, rifugiati e richiedenti asilo, sentiamo il dovere di agire, di mobilitarci, di far sentire le nostre voci e le nostre ragioni a chi ci governa, a chi ha la responsabilità politica di fermare questa spirale di guerre e di violenze infinite.
Per questo rivolgiamo alle Nazioni Unite, alle istituzioni europee, agli stati membri, questa piattaforma di pace per porre fine alla guerra in Siria e nella regione Medio Orientale, per costruire la sicurezza ed il futuro di ogni popolazione, per ogni uomo e per ogni donna, in libertà e nel rispetto dei diritti umani universali e della libertà.
Per queste ragioni, sostenendo l’appello delle donne curde a tutti i popoli che amano la libertà, chiediamo e ci impegniamo per:
• La cessazione del fuoco senza condizioni e il ritiro immediato delle truppe turche e di ogni altro esercito e milizie straniere, dal territorio della Siria;
• l’immediata sospensione di vendita di armi ed assistenza militare alla Turchia, come pure agli altri stati implicati in guerre nel Medio Oriente, da parte degli stati membri dell’Unione Europea e in particolare dell’Italia;
che sia garantita assistenza umanitaria e corridoi umanitari per la popolazione siriana vittima di questa nuova invasione, come pure il rispetto dei diritti umani per tutta la popolazione civile, senza discriminazione di etnia o religione;
• il ritiro del contingente militare italiano dal confine tra Turchia e Siria;
• una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite per istituire una missione di forze di interposizione con mandato ONU per la protezione della popolazione siriana e per ripristinare condizioni di ricostruzione democratica, di convivenza tra le diverse comunità;
• la costituzione di una commissione internazionale sotto l’egida dell’ONU per verificare l’eventuale uso di armi chimiche contro la popolazione siriana della regione della Rojava, del Ghouta; operazioni ed azioni militari che possano costituire crimini di guerra e/o azioni di vera e propria pulizia etnica di cui si sono rese colpevoli le parti coinvolte nel conflitto in questi anni;
• la costituzione di una commissione internazionale d’inchiesta sotto l’egida dell’ONU per scoprire esecutori e mandanti dell’assassinio di Hevrin Khalaf, segretaria generale del Future Syria Party, e dei suoi accompagnatori;
• la sospensione di accordi commerciali e di associazione tra l’Unione Europea e la Turchia;
• il non rinnovo dell’accordo tra UE e Turchia per la gestione dei rifugiati provenienti
• dalla Siria e da altri paesi in guerra;
• l’attuazione, da parte dell’UE e degli stati membri di una politica di accoglienza e di integrazione di ogni uomo o donna in fuga da situazioni di rischio e minaccia alla propria vita e dei propri cari, siano condizioni di povertà, di repressione, di persecuzione, di disastri ambientali, di guerre, accompagnando queste politiche con programmi di cooperazione, di investimenti, con accordi commerciali e di associazione coerenti e diretti ad eliminare le cause che obbligano le persone a fuggire in cerca di rifugio e di condizioni di vita dignitose;
• la ripresa di una profonda riflessione da parte del Parlamento Europeo sul ruolo dell’alleanza atlantica (NATO) e sulla necessità di avere una politica di difesa ed un esercito di difesa europeo;
• il rilascio dei prigionieri politici e “verità e giustizia” per le vittime di sparizione forzata che in Siria;
• togliere il PKK dalla lista delle organizzazioni terroriste;
• riattivare il programma europeo per la riconversione industriale dell’apparato militare, a sistemi dual e civile; mantenendo l’apparato militare per scopi prevalentemente di difesa e non commerciali;
• sostenere la società civile e democratica – quella siriana e delle altre popolazioni vittime di guerre e di regimi antidemocratici, quella turca che si oppone a Erdogan – con programmi di promozione dei diritti umani, in particolare per la libertà di espressione, di comunicazione, di associazione;
• promuovere iniziative di dialogo tra le comunità e di costruzione della democrazia dal basso.
Questa piattaforma è promossa da associazioni, sindacati, organizzazioni studentesche, artisti, sportivi, intellettuali, politici, pensionati, cittadini e cittadine, migranti, rifugiati, richiedenti asilo, che hanno a cuore i principi ed i valori su cui si fonda l’Unione Europea, che si riconoscono nella carta universale dei diritti umani, che si impegnano e vogliono costruire una società giusta, libera e democratica. Libera da guerre e dalle armi. Libera da dittatori e regimi repressivi.
“Un turco, un curdo, un armeno”: un articolo di Murat Cinar pubblicato da Pressenza.
https://www.pressenza.com/it/2019/10/un-turco-un-curdo-un-armeno/
TURCHIA, LA DENUNCIA DI AMNESTY INTERNATIONAL: CENTINAIA DI PERSONE ARRESTATE PER AVER CRITICATO L’OFFENSIVA MILITARE IN SIRIA
In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha reso noto che in Turchia centinaia di persone sono state arrestate per aver fatto commenti o denunce sull’offensiva militare in Siria e rischiano incriminazioni ridicole in una fase in cui il governo di Ankara sta intensificando la repressione nei confronti delle voci critiche.
Il rapporto, intitolato “Non possiamo lamentarci”, descrive l’ondata repressiva che ha accompagnato l’operazione militare “Primavera di pace” e che si è abbattuta su chiunque si sia distanziato dalla linea ufficiale del governo. Giornalisti, utenti dei social media e manifestanti sono stati accusati di “terrorismo” e sottoposti a indagini, detenzioni arbitrarie e divieti di viaggio all’estero. Se giudicati colpevoli, rischieranno di subire lunghe pene detentive.
“Mentre i carri armati attraversavano il confine siriano, il governo ha colto l’opportunità per lanciare una campagna nazionale per eliminare le opinioni dissidenti dai mezzi d’informazione, dai social media e dalle strade. Le questioni relative ai curdi e ai loro diritti sono sempre più tabù”, ha dichiarato Marie Struthers, direttrice di Amnesty International per l’Europa.
“Centinaia di persone sono state arrestate per aver espresso dissenso sull’incursione militare in Siria e sono oggetto di indagini sulla base delle leggi antiterrorismo”, ha aggiunto Struthers.
Giornalisti ridotti al silenzio
Il 10 ottobre, il giorno dopo l’inizio dell’offensiva militare, l’autorità regolatrice delle comunicazioni (Rtuk) ha avvisato gli organi d’informazione che vi sarebbe stata tolleranza zero su “ogni trasmissione che potrebbe avere un impatto negativo sul morale e sulle motivazioni dei soldati o che potrebbe ingannare i cittadini attraverso informazioni incomplete, false o parziali funzionali agli obiettivi del terrorismo”.
Lo stesso giorno Hakan Demir di “Birgün” è stato interrogato su un tweet pubblicato dall’account ufficiale del quotidiano che rilanciava un servizio della Nbc con questo testo: “Gli aerei da guerra turchi hanno iniziato a compiere attacchi contro aree civili”.
Contemporaneamente Fatih Gökhan Diler, direttore del portale “Diken”, veniva arrestato per aver pubblicato un articolo dal titolo “Le Sdf denunciano: due civili hanno perso la vita”.
Entrambi i giornalisti sono stati accusati di “incitamento all’odio e all’inimicizia” e sottoposti a un divieto di viaggio all’estero fino all’esito delle indagini.
All’alba del 19 ottobre la polizia ha fatto irruzione nell’abitazione della giornalista e difensora dei diritti umani Nurcan Baysal: “Entrati in casa in 30, pesantemente armati e camuffati per terrorizzare i bambini solo per alcuni post in cui chiedevo la pace mostra fino a che punto sia arrivata la soppressione della libertà d’espressione in Turchia”.
Un’altra giornalista, Özlem Oral, è stata arrestata lo stesso giorno e interrogata su alcuni tweet critici nei confronti dell’operazione “Primavera di pace”, pubblicati da un account che non era il suo. Il giorno dopo è stata rilasciata ma dovrà presentarsi regolarmente in una stazione di polizia e non lasciare Istanbul, la città dove risiede.
Il 27 ottobre l’avvocata ed editorialista Nurcan Kaya è stata arrestata all’aeroporto di Istanbul dopo che aveva scritto su Twitter: “Sappiamo per esperienza che ciò che chiamate operazione di pace è un massacro”. Rilasciata dopo poche ore, non potrà viaggiare all’estero.
Ma non sono solo i giornalisti turchi a essere presi di mira. Il 25 ottobre gli avvocati del presidente Erdogan hanno annunciato di aver denunciato per “offesa al presidente” il direttore e l’editore del settimanale francese “Le Point”, che il giorno prima aveva pubblicato in copertina questo titolo: “Pulizia etnica: il metodo Erdogan”.
La repressione sui social media
Solo nella prima settimana dell’offensiva militare, 839 account sono stati posti sotto indagine per “diffusione di contenuti di rilevanza penale”; 186 persone sono state messe in custodia di polizia e 24 di loro sono state rinviate in detenzione preventiva.
Una delle persone arrestate è accusata di “propaganda in favore di un’organizzazione terrorista” per aver retwittato tre post. Uno di questi aveva il seguente testo: “Il Rojava vincerà. No alla guerra”. Anche in questo caso sono stati disposti il divieto di viaggio all’estero e l’obbligo di presentarsi due volte al mese a una stazione di polizia.
Attivisti e oppositori politici sotto attacco
L’operazione “Primavera di pace” è stata il pretesto per intensificare la repressione contro gli attivisti e gli oppositori politici. Parecchi parlamentari sono sotto inchiesta. Uno di loro, Sezgin Tanrýkulu, dovrà rispondere di un tweet contenente questo testo: “Il governo deve saperlo. Questa è una guerra ingiustificata e una guerra contro i curdi”.
Secondo l’Ordine degli avvocati della provincia di Þanlýurfa, il 9 e il 10 ottobre almeno 54 persone sono state arrestate dalla polizia antiterrorismo. Tra loro vi sono esponenti del Partito democratico del popolo (Hdp), di sinistra e filo-curdo, così come membri di sindacati di sinistra.
Nella prima settimana dell’offensiva militare almeno 27 persone, molte delle quali affiliate all’Hdp, sono state arrestate nella provincia di Mardin con accuse di terrorismo. Tra queste, la sindaca della città di Nusaybin, subito sostituita da un governatore distrettuale.
Il 12 ottobre le “Madri del sabato”, un gruppo di parenti di vittime di sparizioni forzate che organizzano veglie pacifiche ogni sabato dal 2009 per ricordare i loro cari, sono state avvisate che, se fosse stata pronunciata la parola “guerra”, la manifestazione sarebbe stata sgomberata. Cosa puntualmente e violentemente avvenuta non appena è iniziata la lettura di una dichiarazione che criticava l’operazione militare in Siria.
“Dall’inizio dell’operazione ‘Primavera di pace’, la Turchia ha ulteriormente esasperato l’atmosfera di censura, riducendo al silenzio con arresti e incriminazioni pretestuose i pochi ancora disposti a criticare l’intervento militare in Siria”, ha denunciato Struthers.
“Le autorità turche devono cessare di mettere il bavaglio alle opinioni che non piacciono e porre fine all’attuale repressione. Chiediamo che tutte le accuse contro coloro che hanno pacificamente espresso la loro opposizione all’operazione militare siano immediatamente annullate”, ha concluso Struthers.
Roma, 1 novembre 2019
Il rapporto “Non possiamo lamentarci” è disponibile (dal 1 novembre) all’indirizzo:
https://www.amnesty.it/turchia-la-denuncia-di-amnesty-centinaia-di-persone-arrestate-per-aver-criticato-loffensiva-militare-in-siria
Cagliari Piazza Garibaldi, sabato 16 novembre 2019 ore 15-18
Corteo di Solidarietà con la Resistenza Kurda // Riseup4rojava
https://www.facebook.com/events/425615871462039/
Comunicato e invito a Conferenza Stampa:
I KURDI ANCORA SOTTO ATTACCO TURCO – SABATO NUOVA PROTESTA A CAGLIARI (Previste anche azioni di boicottaggio)
Nonostante le proteste provenienti da tutto il mondo, continuano gli attacchi della Turchia alla resistenza kurda e alle popolazioni della Siria del Nord.
Negli ultimi giorni lo stato turco ha bombardato pesantemente i villaggi nella regione di Til Temir.
I villaggi di Dawudiya ed Erisha sono stati colpiti da attacchi di artiglieria nelle prime ore del mattino di oggi.
Le forze di occupazione hanno invaso i villaggi di Qasimiye, Rihaniye, Reshidiye e le frazioni di Rimone, Danyal, Gego, Yelda, Tuma ed Hebîb Qerezîan mercoledì notte e costringendo gli abitanti alla fuga.
Lo stato turco ha effettuato i sui attacchi contro la Siria settentrionale dal 9 ottobre con l’ausilio delle bande ISIS e al-Nusra, mentre molte aree sono state invase a seguito degli accordi della Turchia con gli Stati Uniti e la Russia.
Sono rimasti uccisi centinaia di civili, comprese donne e bambini mentre a seguito dei continui attacchi si possono contare centinaia di migliaia di sfollati.
Come riportato anche da diverse organizzazioni internazionali, nella regione sono stati commessi gravi crimini di guerra, tra cui esecuzioni di massa, ed è stato denunciato l’uso di armi vietate come il fosforo bianco.
La popolazione resiste in un contesto di interessi mercantili e politici delle potenze imperialiste e neo feudali e delle conseguenti complicità che coinvolgono anche l’Europa e l’Italia.
Noi intendiamo unirci alla solidarietà verso i popoli che nel Rojava resistono eroicamente all’aggressione della Turchia e agli interessi capitalistici a partire dal Corteo che si terrà Sabato 16 nov. (concentramento in Piazza Garibaldi dalle ore 15.30).
Proseguiremo la protesta con il boicottaggio economico della Turchia, degli accordi e convenzioni di ogni genere che coinvolgono la Sardegna ed altri azioni che comunicheremo in occasione della Conferenza stampa che si terrà domani, Venerdì 15 alle ore 11, in Cagliari, Via Roma 235 (Hub/Spoke)
Cagliari, 14/11/19
Per Rete Kurdistan Sardegna
Antonello Pabis
Per info: 3332384701