I nobel contro Greenpeace, il ’68 e i tweet
«La scienza non è neutrale, soprattutto il suo uso non lo è, perché terribilmente segnato da chi paga le ricerche»
di Massimo Serafini
Da diverse notti sogno che arriva di nuovo il ’68. Chiarisco, per i più giovani, che il 68 non è un autobus, ma il 1968, un anno che definire fantastico non rende perfettamente l’idea della quantità di emozioni e passioni vissute da coloro che ebbero la fortuna di vivere l’esperienza del movimento, che poi tutti chiamarono contestazione giovanile. Per fare capire di più va ricordato che la ribellione, ovunque sbocciò, si propose di portare l’immaginazione al potere. E’ questo un sogno che faccio spesso, quasi sempre quando leggo notizie che mi indignano e segnalano l’imbarbarimento della società nella quale viviamo. Questa volta a scatenarlo è la presa di posizione di 110 scienziati, tutti insigniti del premio nobel, contro Greenpeace per la sua lotta contro gli organismi geneticamente modificati. Li si accusa addirittura di crimini contro l’umanità per aver ostacolato la diffusione del riso dorato, ricco pare di vitamina A, proprio grazie alle modifiche genetiche. Mancando la vitamina A a moltissimi bambini e bambine ed essendo questa carenza spesso la principale causa di decesso degli stessi, l’appello ne deduce che Greenpeace è responsabile di genocidio. Naturalmente nessuno vuole mettere in discussione il valore dei firmatari né tantomeno l’aiuto dato all’umanità con le loro scoperte, ma ciò che colpisce di questo appello è la mancanza di qualsiasi spirito critico da parte di persone, che si dicono di scienza, in altre parole il fatto che sottoscrivano in maniera acritica tesi e argomenti che da anni le multinazionali dell’agroalimentare diffondono sui benefici degli organismi geneticamente modificati.
“Ma che c’entra il 68?” mi direte. C’entra eccome, perché l’enormità e la durezza delle accuse avrebbero meritato una accoglienza meno distratta e disattenta da parte dell’opinione pubblica e della stessa stampa, che ha immediatamente diffuso la notizia. Stupisce che non si comprenda che un manifesto come quello firmato dai Nobel abbia come solo obiettivo quello di togliere ogni credibilità all’azione ambientalista, in particolare quella collettiva delle associazioni, di cui Greenpeace è la più autorevole. Si usano firme di Nobel, allo scopo che nessuno disturbi il manovratore né tantomeno lo sottoponga a controlli. Siamo al punto che i crimini contro l’umanità li compie chi vuole impedire che essa sia costretta a vivere con l’aria che respira, l’acqua che beve, la terra su cui vive, in poche parole i beni comuni, inquinati ed avvelenati . E’ un mondo totalmente rovesciato quello che l’appello definisce, nel quale il carnefice suscita più rispetto delle sue vittime. Nel 68 un manifesto come quello contro Greenpeace sarebbe stato accolto con manifestazioni ovunque, più o meno come a Bologna accogliemmo i partecipanti, quasi tutti “emeriti” a un convegno sulla medicina del lavoro che si sarebbe dovuto tenere nell’aula magna dell’università bolognese: gli occupammo l’aula. Solo un anno dopo l’autunno caldo operaio riscrisse l’intera medicina del lavoro ancorandola alla prevenzione e rifiutando di continuare a monetizzare la salute. Sono ben consapevole che verrò scambiato in questo mio ragionamento per il giapponese rimasto in trincea, dopo la fine della guerra, per decenni, anche perché molti dei protagonisti/e di quel fantastico anno si sono in questi anni pentiti e chiedono di essere riveriti, come pretendevano i “baroni”, così chiamavamo allora i docenti universitari, incrementando la diffusione di uno dei peggiori luoghi comuni, tanto caro ai piccoli borghesi: “da giovani incendiari, da vecchi pompieri”. Non essendo io pentito, di fronte a un appello del genere continuo a pensare che bisogna indignarsi e ribadire che la scienza non è neutrale, soprattutto il suo uso non lo è, perché terribilmente segnato da chi paga le ricerche. Quindi Nobel o non Nobel quell’appello ha solo un obiettivo, che non è la salute dei bimbi, ma vendere quel riso geneticamente modificato, e per questo vuole liquidare e togliere ogni credibilità a chi fino ad ora è riuscito a impedire che ciò avvenisse. Non si vogliono né controlli né controllori e francamente un mondo senza controllori e contestatori è inabitabile, soprattutto noioso.
Non solo non sono pentito, ma auspico che le nuove generazioni, giustamente insoddisfatte del mondo in cui vivono, ricreino quel clima di allora e riparta quindi una ribellione collettiva. Non basta condannare o dissociarsi dall’appello con un Tweet, come tanti hanno fatto, perché restano azioni individuali e solo la protesta collettiva mette in difficoltà operazioni come queste orchestrate dalle multinazionali. Riconquistare in poche parole collettivamente spirito critico e protagonismo, senza i quali si resta condannati a rimanere soggetti alienati ed emarginati lasciando ai sogni ciò che dovrebbe essere vita quotidiana.
LA VIGNETTA è di MAURO BIANI