I rom con “piscine” e i giornalisti senza vergogna
di Antonello Pabis (*)
Se provate a chiedere delle ”ville con piscina agli zingari” quasi tutti si ricorderanno di Cagliari, anche nella penisola, dato che quegli sciagurati articoli (**) fecero il giro del mondo, furono ripresi anche da alcune televisioni italiane e in tanti ancora non sanno se si trattò di una cosa vera o falsa.
Nell’agosto 2012, numerosi pezzi non veritieri e diffamatori, titoli con richiami in prima pagina e locandine all’esterno delle edicole che ne ampliavano l’effetto diffamatorio e discriminatorio, furono pubblicati dal quotidiano «L’unione Sarda» che così promosse una vera e propria campagna di odio antirom.
Era stato appena chiuso il campo Rom della statale 554 e di fatto dalla città di Cagliari furono espulsi tutti i rom che vi abitavano, collocati in presunte abitazioni dell’hinterland.
Non c’era nulla – del cosiddetto piano di inclusione sociale del sindaco Massimo Zedda e dell’allora assessora del Comune di Cagliari Susanna Orrù – che potesse favorire un processo di riconoscimento della persona umana e dei suoi diritti fondamentali, dal lavoro alla casa, dall’istruzione alla salute. Al contrario, la dispersione di tutte le famiglie nell’area vasta, rese difficoltosa anche la frequentazione tra loro e ostacolata la protezione sociale della comunità, particolarmente importante per i giovani che invece furono catapultati e abbandonati a se stessi in un mondo tanto vasto, con nuove possibilità (o impossibilità) ma anche tanti rischi.
E le abitazioni?
Tutte pressoché abusive, fatiscenti, degradate, irregolari, a prezzi altissimi e abbondantemente fuori dal mercato immobiliare: fino a 2000 euro al mese per un piccolo capannone abusivo riadattato con il cartongesso, “grazie” anche alla Caritas. Ancora una volta si mette in moto il sistema assistenzialistico che mai favorisce l’evoluzione degli assistiti e casomai li regola entro il recinto in cui si può vivere solo da assistiti, senza diritti e senza alcuna possibilità di evoluzione.
Ancora una volta si spende un’enormità di denaro pubblico, in nome dei rom che ne ricavano soltanto una elemosina e un miglioramento apparente per il breve periodo. Il resto viene sperperato in una miriade di provvedimenti discutibili e nelle tasche di una corte di furbi che ne trae un profitto altrimenti impossibile. Insomma, ci hanno guadagnato in tanti, tranne i rom.
In questo contesto la Caritas la fa da padrona, decide essa se si è meritevoli di aiuto oppure no, se assistere con una bombola di gas o un furgoncino, se farti parlare oppure no a un convegno sui rom, dove i rom non hanno mai la parola se non per fare la parte del buon selvaggio, portare i saluti a tutti e ringraziare (non si sa di cosa) tutti indistintamente.
In questo quadro si inseriscono gli articoli dell’«Unione Sarda» a firma di Michele Ruffi e Roberto Casu, poderoso sostegno al pregiudizio e alla campagna di odio razziale che si manifestò sui commenti pubblicati dallo stesso giornale, con minacce anche dirette verso famiglie rom e conseguente aumento del pregiudizio e dell’esclusione anche verso i più piccoli. Dopo qualche giorno, vengono smentiti da altri organi di informazione, come «Cagliari Pad» che riprende le immagini delle false “ville con piscina”, e infine querelati dall’Asce e da Saltana Ahmetovic, così da attenuare e in qualche misura contenere gli effetti devastanti della campagna d’odio perfino con le locandine civetta affisse nei punti vendita che aizzavano all’odio anti rom.
Così si arriva, dopo quattro anni, alla sentenza le cui motivazioni rivelano che i due, Ruffi e Casu, devono essere PROSCIOLTI – non assolti – dall’accusa principale per mancanza di valida querela. Infatti, mentre Saltana querelò Ruffi ma solo per una intervista non autorizzata (***) all’Asce, pur essendo ammessa come parte civile, in questo caso non sono riconosciute le prerogative della parte offesa.
Tuttavia nelle motivazioni il giudice riconosce che LA DIFFAMAZIONE C’È STATA, ECCOME!
In tali motivazioni, da pagina 3, il giudice dichiara che Michele Ruffi ha fornito una informazione distorta e sostanzialmente falsa, anche mediante un “abile accostamento” fra un’abitazione in cui esisteva una vasca idromassaggio in disuso e un’altra in cui si trovava una piscina in completo stato di abbandono e degrado, con residuo d’acqua piovana maleodorante con rifiuti e topi morti che alimentarono la fantasia della “villa con piscina”. Tutto assolutamente funzionale alla scelta del titolo “Villa con piscina a spese del comune”, che unifica i due immobili fondendoli in un solo stabile, informazione totalmente falsa!
Mentre Ruffi se la cava con un proscioglimento per mancanza di valida querela, a Casu non va altrettanto bene.
Infatti Roberto Casu, in un editoriale pubblicato in prima pagina sull’«Unione Sarda» ripetè le notizie false (di Ruffi e del titolista rimasto anonimo) dei giorni precedenti con evidenti finalità discriminatorie per motivi razziali, mediante il ricorso ai peggiori stereotipi già diffusi nella propaganda razzista in maniera generalizzata e indifferenziata.
Così Casu scalò la classifica dei predicatori di odio antirom e si “guadagnò” quella che per il giudice costituisce l’aggravante dell’aver agito per odio razziale, cosa che non richiede la querela di parte ma fa scattare la procedibilità d’ufficio. Così per il giornalista già censurato dall’Ordine (a Ruffi fu applicata la sanzione dell’avvertimento) scatta il provvedimento del magistrato che dispone la restituzione degli atti al PM per la riformulazione dell’imputazione.
Dunque la storia non finisce così e pur se il giudizio dovesse andare in prescrizione, resta in piedi l’azione civile che coinvolge anche la testata.
Insisteremo perché il giornalista e «L’unione sarda» paghino i danni di una pratica scellerata, il cui danno, tanto più per i bambini è inestimabile. Così, d’accordo con l’Associazione rom DOSTA abbiamo valutato che un eventuale risarcimento danni riconosciuta alle nostre associazioni sarà destinato proprio al sostegno scolastico dei bambini, non dei bambini rom ma di tutti i bambini bisognosi, cuccioli dell’unica razza esistente, quella umana.
E che giustizia sia fatta, per una volta!
(*) Antonello Pabis è portavoce di Asce, l’Associazione Sarda Contro l’Emarginazione
(**) cfr Ville e roulottes: maledetti Rom
(***) Per quanto attiene alla querela di Saltana Ahmetovic, per una intervista non autorizzata, il giudice assolve Ruffi perché le questioni sollevate possono investire profili di deontologia professionale ma non di valore penale. Per il resto la sua assoluzione è puramente casuale e le motivazioni sono pesanti quanto una condanna.
Bravo Pabis. Ho passato dieci anni a contatto molto stretto con Rom Khorakhané e Sinti emiliano-veneti a Bologna. E contatti ho mantenuto ancora. Ne ho visti di tutti i colori e molto avrei da dire su istituzioni, a partire da scuola, e volontariato e operatori vari, fermo il principio in tutte queste istanze si trova anche del buono. A parte il comandamento che dice che per giudicare bisogna conoscere le situazioni, le persone, una cosa che bisogna tenere presente quando si parla di finanziamenti per gli zingari (io uso senza paura questo termine anche se non piace neppure a molti zingari perché i gagi li hanno convinti che bisogna chiamarli ‘nomadi’, salvo poi chiamarli confondere rom con rumeni ecc ecc.) è quanto dici chiaramente: quando ci si vanta di finanziare un qualcosa per gli zingari, bisogna sempre vedere dove vanno a finire i soldi. Non ho più voglia di addentrarmi in lunghe riflessioni. Solo una : come potrebbe mai uno Stato come quello italiano, affrontare un fenomeno come quello delle migrazioni dall’Africa e da paesi dell’Oriente, se, prima che venisse questo fenomeno di enormi proporzioni, questo stato non è mai riuscito mai a trattare come ‘normalità’ la presenza di circa 100’000 zingari, di cui la metà cittadini italiani. E non per colpa degli zingari. Si ha l’impressione che per uno Stato, l’unica soluzione possibile sembrerebbe quella che gli Zingari non esistessero.
Della levatura poi, di certi che chiamare giornalisti è azzardato (se si dovesse mettere in conto anche quella che è la deontologia professionale) meglio soprassedere. Idem per certi giornali.
Gli zingari sono un’invenzione della società maggioritaria. Utilizzare l termini eteronimi zingari o nomadi è un grave errore che molte persone appartenenti alla minoranza sentono come una discriminazione. Sono da usare i termini etnonimi e quindi decisi dalle persone appartenenti alla minoranza. In Italia ci sono persone appartenenti alla minoranza linguistica sinta e rom (cittadini italiani) e persone immigrate appartenenti alla minoranza rom (comunitario o di paesi terzi).
Quando si parla è sempre meglio specificare e non fare troppe confusioni, per esempio a Bologna se parlo degli abitanti di via Erbosa non parlo di rom o sinti in generale, ma di sinti emiliani e lombardi che vivono a Bologna in via Erbosa. Le generalizzazioni sono sempre molto pericolose per questo consiglio sempre di chiedere e approfondire.
Segnalo che alcune persone appartenenti alla minoranza vivono una più o meno forte sudditanza psicologica e culturale e si autodefiniscono orgogliosamente zingari o nomadi. In ultimo, molti affermano che va bene la parola zingari solo per fare contento il gagio camlo…
Non sono d’accordo quanto alla trattazione dell’opportunità o meno di usare la parola ‘zingari’, ma, tant’è. L’importante è trovarsi d’accordo almeno su questioni vitali. Per quanto anche la lingua testimoni modi di pensare, atteggiamenti, a volte anche comportamenti. La parola zingaro, nelle sue varianti diacroniche e sincroniche da più di mille anni. Mentre la tendenza a chiamarli Rom e Sinti, con predilezione della designazione Rom discapito dei Sinti e di quanti altri gruppi esistono (Kalé, Jenisch, Tinkers ecc) con tutte le innumeri divisioni in sottogruppi. L’unico termine onnicomprensivo di tutti gruppi riconducibili a una stirpe Indoaria emigrata in tempi non identificabili con sicurezza è zingaro (ripeto con le diverse forme per zone del mondo e periodi storici).
Una precisazione alla sua affermazione in Italia ci sono solo Sinti (si intende, cittadini italiani). In realtà ci sono anche i Rom abbruzzesi, ‘ungheresi’, calabresi e, forse, ne dimentico qualcuno.
Se si guardano pubblicazioni classiche di esperti e amici degli zingari, la designazione che usano è ‘zingari’ distinti dai Viaggianti o Camminanti o Pirdé non necessariamente riconducibili all’origine indoaria, per quanto, anche in questi gruppi sia sempre presente un lessico che presenta numerosi elementi del Romanès, l lingua degli zingari, riconoscibile come comune a tutti i gruppi e sottogruppi.
Ma per queste questioni meglio rimandare chi ne a più di me. Soprattutto perché qui, quello che importa è il dato socio-politico sul dare il nome. Quando un nome si è attestato per secoli, anche se fosse stato dato con intento spregiativo (ma per la parola zingaro è probabile che facesse riferimento a una delle caste presenti in India, un nome dunque ‘codificato dal sistema sociale di quel paese). Ma io, in quanto sardo, dovrei, per scelta politica, adesso non accettare di chiamarmi sardo perché c’è chi dice che alla base dell’etimo ci sia la parola ‘immondezzaio? , luogo dei rifiuti? (ammetto che oggi la Sardegna e non da oggi è anche l’immondezzaio di tanta industria). Studiosi seri, propongono altri riferimenti etimologici, naturalmente. Ma fosse anche, pretenderei di non essere chiamato più sardo? Ridicolo. Altresì sono orgoglioso dei miei quattro mori, nonostante ci siano tendenze perverse che tendono a cancellare addirittura colori (testa di moro) o di dolci (sempre ‘testa di moro) o nomi di alberghi che riportano la parola moro. Non mi addentro nella disquisizione sulla parola ‘negro’ e sull’opera ‘purificatrice della letteratura dell’infanzia dove compaiono parole come ‘negro’ e ‘zingaro’. Ne ho già parlato in questo Blog.
Io parlo e continuerò a parlare di ‘zingari’ e mi impegnerò perché non vengano discriminati e perseguitati come ancora e sempre sono. Se poi si preferisce a questo impegno quello che è l’impegno a cancellare dal vocabolario la parola ‘zingaro’, che volete che vi dica.
Non sono d’accordo quanto all’opportunità o meno di usare la parola ‘zingari’, ma, tant’è. L’importante è trovarsi d’accordo almeno su questioni vitali, per quanto anche la lingua testimoni modi di pensare, atteggiamenti, comportamenti. La parola zingaro, nelle sue varianti diacroniche e sincroniche esiste da più di mille anni (nell’italiano antico, per es ‘cingani’). Mentre la tendenza a chiamarli Rom e Sinti, con predilezione della designazione Rom a discapito dei Sinti e di quanti altri gruppi esistono (Kalé, Jenisch, Tinkers ecc) con tutte le innumeri divisioni in sottogruppi è abbastanza recente. L’unico termine onnicomprensivo di tutti gruppi riconducibili a una stirpe Indoaria emigrata in tempi non identificabili con sicurezza è zingaro (ripeto con le diverse forme per zone del mondo e periodi storici).
Una precisazione all’affermazione per cui in Italia ci sarebbero solo Sinti (parliamo di zingari cittadini italiani). In realtà ci sono anche i Rom abruzzesi, ‘ungheresi’, calabresi e, forse, ne dimentico qualcuno. Più di uno zingaro mi ha detto che Modugno sarebbe stato ‘uno dei loro’, un rom calabrese, anche se nativo della Puglie. Ma la cosa è piuttosto dubbia.
Se si guardano pubblicazioni classiche di esperti, amici degli zingari, la designazione che usano è ‘zingari’ distinti dai Viaggianti o Camminanti o Pirdé, comunità non necessariamente riconducibili all’origine indoaria, per quanto, anche in questi gruppi sia sempre presente un lessico che presenta numerosi elementi del Romanès, la lingua degli zingari, riconoscibile come comune a tutti i gruppi e sottogruppi.
Ma per queste questioni meglio rimandare chi ne a più di me. Soprattutto perché qui, quello che importa è il dato socio-politico sul dare il nome. Quando un nome si è attestato per secoli, anche se fosse stato dato con intento spregiativo (ma la parola zingaro è probabile che facesse riferimento a una delle caste presenti in India, un nome dunque codificato dal sistema sociale di quel paese, pur riferito a casta bassa).
Ma io, in quanto sardo, dovrei, per scelta politica, adesso non accettare di chiamarmi sardo perché c’è chi dice che alla base dell’etimo ci sia la parola ‘immondezzaio? , luogo dei rifiuti? (ammetto che oggi la Sardegna e non da oggi è anche l’immondezzaio di tanta industria). Studiosi seri, propongono altri riferimenti etimologici, naturalmente. Ma fosse anche, pretenderei di non essere chiamato più sardo? Ridicolo. Altresì sono orgoglioso dei miei quattro mori, nonostante ci siano tendenze perverse che tendono a cancellare addirittura colori (testa di moro) o di dolci (sempre ‘testa di moro’) o nomi di alberghi che riportano la parola moro. Non mi addentro nella disquisizione sulla parola ‘negro’ e sull’opera ‘purificatrice’ della letteratura dell’infanzia dove compaiono parole come ‘negro’ e ‘zingaro’. Ne ho già parlato in questo Blog.
Io parlo e continuerò a parlare di ‘zingari’ e mi impegnerò perché non vengano discriminati e perseguitati come ancora e sempre sono. Se poi si preferisce a questo impegno quello che è l’impegno a cancellare dal vocabolario la parola ‘zingaro’, che volete che vi dica.
Caro Marco, grazie. Stiamo provando a fare, per quanto ci riusciampo, il nostro dovere.
Questo Stato investe sull’ignoranza piuttosto che la cultura. E òle istituzioni locali, la telvisione ed i giornali prevalemte si accodano. La conoscenza scompiscia i piani del potere e trasmettere una buona informazione con altrettante iniziative per demistificare i pennivendoli di cui abbondano gli organi di informazione diventa una missione.
Ciao a tutte e tutti,
Lunedì 24 luglio a Cagliari si è tenuta la conferenza stampa indetta dall’Asce per valutare le motivazioni della sentenza al processo contro i giornalisti che hanno stabilito una verità inconfutabile: i giornalisti hanno detto il falso e sostenuto una vera e propria campagna di istigazione all’odio razziale.
Erano presenti numerosi giornalisti e c’era anche l’Ansa. L’Unione Sarda non ha pubblicato una riga, nè sull’esito del processo, nè sull’appello al rispetto della Carta di Roma (sulla deontologia professionale del giornalista tenuto sempre alla sostanziale verità dei fatti riportati, nè sulla decisione dell’Asce e di altre associazioni solidali di costituire un Osservatorio sull’attività degli organi di informazione affinchè venga prevenuta e contrastata la tendenza alla falsificazione delle notizie e il favoreggiamento di un clima xenofobo e l’istigazione all’odio razziale.
Il silenzio dell’Unione Sarda si può capire ma anche l’ANSA non ha emesso alcuna nota. Non ha trovato l’ANSA interessanti le notizie? E’ di un qualche rilievo il fatto che il giornalista dell’ANSA è anche un collaboratore dell’Unione Sarda? Non lo sappiamo ma è certo che dobbiamo fare uno sforzo in più perchè le notizie circolino comune, anche senza l’ANSA.
Per questo pubblichiamo nuovamente la documentazione e chiediamo ad ogni socio e socia di volerla postare nei social.
Antonello Pabis