di Alessandro Scassellati (ripreso da https://transform-italia.it/)
I suprematisti bianchi, i difensori armati di società bianche razziste – Prima parte
di Alessandro Scassellati
Il terrorismo dei suprematisti bianchi è ormai diventata la più pericolosa minaccia terroristica interna negli Stati Uniti, nei Paesi dell’Unione Europea e in altri Paesi con popolazioni a maggioranza con la pelle bianca. In questo primo articolo cerchiamo di ricostruire le caratteristiche di questo fenomeno, analizzandone le basi ideologiche e le connessioni con le narrazioni retoriche delle forze politiche conservatrici e della destra mainstream.
La strage di Buffalo
Verso le 14,30 di sabato 14 maggio un 18enne bianco, Payton S. Gendron, vestito in abiti militari, con elmetto, giubbotto antiproiettile e altro equipaggiamento militare, pesantemente armato con un fucile semiautomatico Bushmaster XM-15, un’arma d’assalto nello stile dell’AR-15, acquistato legalmente in un negozio di armi di Endicott, New York, ma con un caricatore ad alta capacità da 70 proiettili illegale nello Stato di New York, ha aperto il fuoco nel parcheggio (dove aveva lasciato la sua auto, nella quale sono stati trovate anche altre armi) e dentro un supermercato della catena Tops Friendly Markets, l’unico negozio di alimentari del suo genere a gestione nera in uno dei più poveri quartieri residenziali1, prevalentemente afroamericano, con strade poco illuminate e abitazioni fatiscenti, a circa 5 km a nord del centro di Buffalo, seconda città dello Stato di New York2. Gendron ha ucciso 10 persone afroamericane (la metà aveva più di 65 anni), ferendone altre 3 (due bianchi e un nero), prima di arrendersi alla polizia, dopo essersi puntato il fucile al mento3.
Inizialmente, Gendron ha sparato a quattro persone fuori dal supermercato, tre sono morte. All’interno del negozio, una guardia di sicurezza, un ex agente di polizia nero di Buffalo da poco in pensione ha sparato più colpi a Gendron e lo ha colpito al giubbotto antiproiettile senza ferirlo. Poi, Gendron ha ucciso la guardia di sicurezza e altre 6 persone, ferendone altre 2. Quattro delle vittime afroamericane erano dipendenti del supermercato. La polizia ha arrestato Gendron entro sei minuti dall’avviso dell’attacco, ma 10 persone sono state comunque uccise e 3 ferite. Tra loro c’erano una donna di 86 anni che aveva appena fatto visita al marito in una casa di cura, un uomo che comprava una torta di compleanno per suo nipote e un diacono della chiesa che aiutava le persone a tornare a casa con la spesa.
Fin da subito le autorità hanno definito il gesto compiuto da Gendron un “crimine d’odio e di estremismo violento con una matrice razziale“. Il sindaco di Buffalo, Byron Brown, ha dichiarato: “Questo è il peggior incubo che qualsiasi comunità possa affrontare, e stiamo soffrendo e ribollendo in questo momento. La profondità del dolore che stanno provando le famiglie e che tutti noi stiamo provando in questo momento non può nemmeno essere spiegata”. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha affermato che ogni atto di “terrorismo domestico” e i crimini ispirati dall’odio a sfondo razziale sono “ripugnanti per il tessuto stesso di questa nazione“. Pochi giorni dopo, durante una visita a Buffalo, Biden ha anche condannato coloro che diffondono le bugie velenose dei suprematisti bianchi “per potere, guadagno politico e profitto“.
Tramite una telecamera fissata sull’elmetto, Gendron ha trasmesso la sua azione omicida in diretta streaming sulla piattaforma dei videogiochi Twitch per almeno due minuti, prima che il servizio terminasse la sua trasmissione4. “Penso che trasmettere in live streaming questo attacco mi dia una certa motivazione dato che so che alcune persone faranno il tifo per me“, aveva scritto Gendron.
Gendron viveva a Conklin, una cittadina a sud-est di Buffalo, a circa 320 km, sempre nello Stato di New York. Era arrivato a Buffalo il giorno prima per esplorare la zona e fare una ricognizione nell’area del supermercato prima di compiere l’azione omicida. È stato riconosciuto dalla direttrice del supermercato che lo aveva notato e gli aveva intimato di uscire per il suo comportamento aggressivo verso i clienti.
Prima della strage, il 12 maggio, Gendron aveva pubblicato online un “manifesto” di 180 pagine che celebrava l’ideologia del suprematismo bianco5, tuttavia non era stato inserito in nessuna watchlist ufficiale dalle forze di polizia, dall’FBI e dall’ATF6. È emerso anche che nel giugno 2021 Gendron aveva minacciato una sparatoria di massa nel suo liceo, Susquehanna Valley High School, ed era stato portato in ospedale dalla polizia di Stato per una valutazione psichiatrica, ma poi era stato dimesso dopo 36 ore senza alcun ulteriore follow-up7.
Nel suo “manifesto”, pensato con lo scopo di ispirare e istruire attacchi successivi8, Gendron ha espresso le sue convinzioni razziste, anti-immigrati e antisemite, incluso il desiderio di scacciare dagli Stati Uniti tutte le persone non di origine europea. Il primo obiettivo evidenziato nel “manifesto” era di “uccidere quanti più neri possibile” e per questo ha meticolosamente pianificato il suo attentato. Commettere quello che chiama “un atto di terrorismo” è il suo metodo per avvertire tutte le persone non bianche di “lasciare [il territorio bianco] finché è ancora possibile, finché l’uomo bianco vivrà non sarete mai al sicuro qui“. Ha trasmesso in streaming la sua strage, e il video inizia con lui che segue alla lettera l’inizio del piano che espone nel “manifesto”.
La teoria della “grande sostituzione”
Gendron è un fautore della teoria cospirativa razzista della sostituzione della popolazione bianca che, nella variante più estrema, coniata dal suprematista bianco americano David Lane, parla di “genocidio bianco“. Nella sua forma contemporanea questa teoria è stata riproposta nel 2011 dall’intellettuale (un allievo di Roland Barthes) di destra e accademico di Francia Renaud Camus, condannato per odio razziale, che ritiene che le popolazioni europee siano destinate ad essere gradualmente sostituite nelle loro terre da gruppi di immigrati di colore e/o musulmani che arrivano in massa dalle ex colonie dell’Africa e hanno tassi di natalità più elevati. Camus si è ispirato al romanzo distopico di fantascienza dell’esploratore e scrittore francese Jean Raspail (1925-2020), “Il campo dei santi“, che descrive un’ondata di migranti di pelle scura che usurpa la cultura europea9. Una teoria di cui aveva già scritto Theodore Lothrop Stoddard, uno dei leader del Ku Klux Klan, nel suo libro del 1921 The rising tide of colour against white world-supremacy. “La triste verità della questione è questa: l’intera razza bianca è esposta, immediatamente o alla fine, alla possibilità di sterilizzazione sociale e sostituzione o assorbimento finale da parte delle razze colorate che brulicano“. L’uomo bianco, aveva scritto Stoddard, “non può resistere alla concorrenza colorata“. Per questo le leggi segregazioniste Jim Crow avevano reso illegale il matrimonio interrazziale negli Stati del sud degli Stati Uniti come disperato tentativo di preservare e mantenere il potere basato su nient’altro che sulla nascita nella “razza bianca”.
Nella versione attuale utilizzata da Gendron, da altri terroristi del suprematismo bianco e da politici reazionari americani ed europei, l’idea è che una “cabala” di élite politiche ed economiche globali malvagie e sinistre (tipicamente considerate ebraiche, finanzieri, come George Soros, progressiste e di sinistra, ma anche di altro tipo, richiamando l’idea della cospirazione giudaico-massonico-bolscevica del fascismo italiano) stia intenzionalmente cercando di distruggere le nazioni bianche, attraverso la sostituzione sistematica delle popolazioni bianche, orchestrando molti diversi tipi di cambiamento sociale come l’aborto (il diritto di una donna a controllare il proprio corpo), l’immigrazione (con l’arrivo di migranti economici e di richiedenti asilo definito dal presidente Trump e altri politici reazionari come una “invasione” da “Paesi cesso”, “shithole countries”), i diritti della comunità LGBTQ+, il femminismo, l’integrazione residenziale e scolastica, il multiculturalismo, la diversità culturale, il “meticciato”, tutti visti come parte di una serie di minacce al tasso di natalità dei bianchi.
Secondo la teoria della sostituzione bianca, le strategie impiegate da queste élite globali malvagie includono l’immigrazione di massa di non bianchi presumibilmente “ad alta fertilità” che possono essere identificati nei neri e musulmani in Europa o nei messicani, afroamericani e asiatici negli Stati Uniti10 e l’incoraggiamento della mescolanza tra membri di razze non bianche e bianchi. Quindi l’opposizione all’immigrazione non riguarda semplicemente la concorrenza nel mercato del lavoro o la sicurezza nazionale, ma la capacità riproduttiva degli immigrati e la paura apocalittica che la razza bianca venga sopraffatta e sradicata dalla mescolanza. I bianchi che si sono radunati a Charlottesville, in Virginia, nel 2017 per il Unite the Right Rally (non condannato dall’allora presidente Trump), dove un suprematista bianco ha investito con la sua macchina una donna, uccidendola, ha cantato “non ci sostituirete” e “gli ebrei non ci sostituiranno”. Le persone di colore – quelli che si identificano come latinoamericani o ispanici, neri, asiatici americani, nativi hawaiani o altri isolani del Pacifico, nativi americani/nativi dell’Alaska o come due o più razze – insieme comprendono più di due quinti – il 42% – della popolazione totale degli Stati Uniti e il 2016, l’anno in cui Donald Trump era stato eletto presidente, è stato anche il primo anno in cui l’US Census Bureau ha segnalato che più bambini non bianchi sono nati in America rispetto a bambini bianchi.
Di fatto, questa teoria cospirativa fornisce uno strumento, una chiave interpretativa per esprimere, inquadrare e collegare un insieme di idee diverse riguardo a molti diversi tipi di fenomeni sociali che vengono percepiti come delle vere e proprie minacce per la sopravvivenza della “razza bianca”, dipingendo un quadro in cui questa razza è sotto assedio, per arrivare a costruire una visione del mondo ampiamente motivante, violenta e spaventosa per persone e gruppi che si muovono all’interno del movimento del potere bianco e della destra militante. Da questo punto di vista, il terrorismo interno bianco e le politiche di razzismo istituzionale promosse dai politici conservatori e reazionari sono il risultato della convinzione che i bianchi abbiano diritto alla posizione di superiorità di cui hanno goduto per la maggior parte della storia degli Stati Uniti…
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I suprematisti bianchi, figli legittimi di colonialismo e capitalismo – Seconda parte
di Alessandro Scassellati
Prosegue il nostro viaggio nel mondo apocalittico e dispotico del suprematismo bianco. In questo secondo articolo cerchiamo di sviluppare un ragionamento sulle sue radici storiche, partendo dal colonialismo e dalla nascita del capitalismo europeo. Sviluppiamo poi un’analisi su pregiudizio bianco insito nella Costituzione e nelle politiche dell’immigrazione degli Stati Uniti. Chiudiamo con un ragionamento su diritti civili e welfare state sempre negli Stati Uniti.
Il primo articolo sul tema del suprematismo bianco si trova qui.
Le radici storiche del suprematismo bianco: colonialismo e capitalismo
L’attuale suprematismo bianco, nelle sue modalità terroristiche o “rispettabili”, è l’erede storico diretto di un’ideologia razzista che è stata costruita a partire dal 1492 in stretta interconnessione con il processo di espansione coloniale e poi, a partire dal XVIII secolo, con lo sviluppo del capitalismo europeo.
I commerci di schiavi neri e merci delle colonie sono stati la linfa vitale del colonialismo e del primo capitalismo europeo. La giustificazione standard di questo processo di espropriazione di diritti e risorse risale a John Locke (1632-1704) che nel suo Secondo Trattato sul Governo (1689) ha formalizzato una falsa narrazione storica del capitalismo, affermando che “all’inizio tutto il mondo era l’America“, una tabula rasa senza persone la cui ricchezza era semplicemente ammassata lì, pronta per essere presa da chi se la voleva prendere.
Noi oggi sappiamo che il continente americano, a cominciare dalle isole dei Caraibi, era abitato quando venne “scoperto” da Cristoforo Colombo nel 1492 – come erano abitate le terre “scoperte” in Asia, Africa e Oceania dagli altri grandi viaggiatori/esploratori europei, da Vasco De Gama a Ferdinando Magellano, da Bartolomeu Dias ad Amerigo Vespucci e a James Cook – e che gli indigeni dovevano essere uccisi o ridotti in schiavitù per creare una terra nullius1.
Quando Cristoforo Colombo “scoprì” una rotta per un ponte marittimo tra il regno di Spagna e quelle che divennero le “Americhe“, inaugurò una nuova epoca storica che avrebbe visto livelli di degrado umano, violenza, e depravazione diversi da qualsiasi altra era dell’esperienza umana su questo pianeta. Al centro della cosmologia di questi “esploratori”, “colonizzatori” e “civilizzatori” provenienti dalla Spagna e poi da altre parti di quella che divenne l’Europa, c’era un ideale di differenza umana, inizialmente informata dalla religione, ma molto presto intersecata con un processo di razzializzazione che ha gerarchizzato le relazioni razziali con i cosiddetti bianchi e la civiltà bianca al vertice. Quella gerarchia razziale, razionalizzata da alcuni dei più grandi filosofi europei, da John Locke e Immanuel Kant a Georg Wilhelm Friedrich Hegel, metteva in discussione o addirittura escludeva gli “altri” non europei come esseri umani a pieno titolo.
Come sosteneva Cedric Robinson, la coscienza razziale europea non è emersa come una subdola invenzione dei capitalisti per dividere la classe operaia. Invece, ha rappresentato una coscienza storicamente precondizionata di un’incipiente razzializzazione in Europa che poi, a seguito dell’incontro coloniale, si è cristallizzata in una situazione pienamente sviluppata di relazioni e gerarchie razziali gobali.
Quando Bartolomé de Las Casas (1884-1566) fece la sua famosa argomentazione secondo cui i popoli indigeni che venivano sistematicamente distrutti dalle razzie, dalle malattie portate dagli europei e dalla schiavitù erano in realtà esseri umani con un’anima e non dovevano essere sottoposti a un trattamento disumano (“Tutta questa gente di ogni genere fu creata da Dio senza malvagità e senza doppiezze […].”), questo ragionamento non venne esteso agli africani che venivano ridotti in schiavitù. Seppure gli indigeni del continente americano venivano considerati come una forma umana di tipo inferiore, potevano essere convertiti poiché avevano un’anima in quanto esseri visti come almeno parzialmente umani, ma questa considerazione non venne estesa agli africani considerati alla stregua di “bestie” senz’anima.
La conquista militare delle terre delle Americhe e la riduzione in schiavitù degli indigeni e poi l’importazione di manodopera schiava dall’Africa, crearono un’enorme ricchezza per l’Europa. Samir Amin, Immanuel Wallerstein, ma in particolare Walter Rodney nel suo capolavoro, How Europe Underdeveloped Africa (1972), ha dimostrato come la sottomissione e il saccheggio coloniale abbiano creato un vasto abisso materiale tra i popoli conquistati, schiavizzati e colonizzati e l’Europa che ha ulteriormente rafforzato e normalizzato l’idea razzializzata di supremazia bianca europea.
Il nocciolo della questione, infatti, è stato il massiccio e secolare commercio transatlantico di africani schiavizzati che venivano messi a lavorare per coltivare tabacco, cotone, caffè, cacao, indaco, riso, soprattutto zucchero, e altre colture da reddito nelle piantagioni del Nuovo Mondo2. Senza i popoli africani trafficati dalle coste dell’Africa (almeno 12 milioni di persone), le Americhe avrebbero contato poco nell’ascesa dell’Europa e del capitalismo industriale europeo. Il lavoro africano, sotto forma di schiavi, fu ciò che rese possibile lo sviluppo delle Americhe. Senza di esso, i progetti coloniali dell’Europa nel Nuovo Mondo sarebbero stati inimmaginabili. Attraverso lo sviluppo dell’agricoltura delle piantagioni per la produzione di monocolture commerciali, i legami profondi e spesso brutali dell’Europa con l’Africa hanno guidato la nascita di un’economia capitalista veramente globale. Lo zucchero coltivato dagli schiavi africani ha accelerato l’unione dei processi che chiamiamo “prima rivoluzione industriale”, ossia del capitalismo propriamente considerato. Ha trasformato radicalmente le diete, rendendo possibile una produttività dei lavoratori europei molto più elevata. E così facendo, lo zucchero ha rivoluzionato la società europea3.
Sulla scia dello zucchero, il cotone coltivato da persone schiavizzate nel sud dell’America del nord ha contribuito a lanciare la prima rivoluzione industriale, insieme a una seconda ondata di consumismo. L’abbigliamento abbondante e vario per le masse (europee) è diventato una realtà per la prima volta nella storia umana. La portata del boom del cotone americano prima della guerra civile (1861-1865), che ha reso possibile tutto ciò, è stata a dir poco sorprendente se si considera che il valore derivato dal commercio e dalla proprietà delle persone schiavizzate nei soli Stati Uniti – non considerando il cotone e gli altri prodotti che producevano – era maggiore di quello di tutte le fabbriche, le ferrovie e i canali del Paese messi insieme.
In ogni caso, il diritto al possesso del mondo, sosteneva Locke, si è instaurato con il duro lavoro: quando un “uomo” ha “mescolato il suo lavoro” con le ricchezze naturali e “con ciò ne ha fatto sua proprietà”: i frutti raccolti, i minerali estratti e la terra coltivata sono diventati sua proprietà esclusiva, perché ci ha messo il lavoro.
Secondo Locke, il “suo” lavoro includeva anche il lavoro di coloro che lavoravano per lui. Ma perché le persone che effettivamente facevano il lavoro non avrebbero dovuto essere quelle che acquisivano i diritti di proprietà?
Questo è comprensibile solo quando si considera che per “uomo“, Locke non intendeva tutta l’umanità, ma solo gli uomini bianchi europei possidenti. Coloro che lavoravano per loro non avevano tali diritti. L’idea di progresso, in cui Locke credeva fermamente, era un modo per ordinare il mondo secondo una gerarchia razziale e dei tipi umani: gli africani e i nativi americani in fondo come selvaggi, gli asiatici un gradino più in alto, solo le borghesie e le aristocrazie europee raggiungevano il livello civilizzato.
Per cui, gli uomini europei che hanno rivendicato grandi quantità di ricchezze naturali fuori dall’Europa non vi hanno mescolato il proprio lavoro, ma quello dei loro schiavi. Ciò che questo significava, alla fine del XVII secolo, era che i diritti fondiari su larga scala potevano essere giustificati, secondo il sistema di Locke, solo dalla proprietà degli schiavi. Daniel Defoe (1660-1731), l’autore inglese di Robinson Crusoe (1719), ma anche un commerciante di schiavi, uno scrittore di pamphlet e una spia, ha scritto: “No commercio africano, no negri; no negri, no zucchero, ginger, indaco etc.; niente zucchero etc., niente isole, niente continente; nessun continente, nessun commercio”.
Ciò nonostante, la narrazione di Locke è diventata la favola giustificativa che il capitalismo racconta di sé – si diventa ricchi attraverso il duro lavoro (l’etica del lavoro protestante), l’individualismo e la spinta imprenditoriale, aggiungendo valore alla ricchezza naturale – e questa narrazione può essere considerata il più grande colpo propagandistico di successo della storia umana. Quasi un secolo fa, il pioniere e studioso dei diritti civili W.E.B. Du Bois aveva già affermato molto di ciò che avevamo bisogno di sapere su questo argomento. “È stato il lavoro dei neri a stabilire il moderno commercio mondiale, che è iniziato prima come commercio nei corpi degli schiavi stessi“, ha scritto…
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Suprematisti bianchi, mutazione antropologica neoliberista, destra radicale e armi – Terza parte – Alessandro Scassellati
Ultima tappa della riflessione sul suprematismo bianco, partendo dalla mutazione antropologica avvenuta con il neoliberismo, per poi passare a ragionare sul “contromovimento” della destra radicale e reazionaria e sul mondo paranoico dei ricchi. Tutti elementi che fanno tornare di attualità le ricerche sviluppate dalla Scuola di Francoforte sulla personalità autoritaria tra gli anni ’30 e ’60 del secolo scorso. In chiusura, alcune riflessioni sull’interazione tossica tra il radicalismo reazionario del Partito Repubblicano e il “diritto” a possedere e portare armi da guerra negli USA.
I primi due articoli sul tema del suprematismo bianco si trovano qui e qui.
Mutazione antropologica e paradigma neoliberista
La pandemia da CoVid-19 ha fortemente rivalutato il ruolo dell’intervento pubblico nell’economia e nella società, rendendo visibile quanto potere e quali impatti può avere lo Stato quando si rende conto che deve agire con decisione per proteggere la salute e il benessere dei cittadini oppure rischiare di essere visto come un ente o un regime politico fondamentalmente superfluo o illegittimo.
Durante questa pandemia (ancora in corso a livello globale) la vita pubblica è stata più volte fermata in molti Paesi attraverso il “distanziamento sociale”, le restrizioni e i lockdowns, ma gli interventi degli Stati in varie forme – dai pacchetti fiscali di sussidi a disoccupati e aiuti a famiglie e imprese alle campagne di vaccinazioni, dagli interventi massivi da parte delle banche centrali (azzeramento dei tassi di interesse e acquisto di buoni del tesoro e obbligazioni corporate) al lancio di programmi tesi a promuovere un’accelerazione della transizione ecologica e digitale delle economia (come nel caso del programma Next Generation EU) – sono stati imponenti (si veda il nostro articolo qui). Allo stesso tempo, il dibattito pubblico ha accelerato, investendo moltissimi temi critici: i compromessi tra un’economia in rovina e la salute pubblica, le virtù dei sistemi sanitari centralizzati o decentrati sui territori, le fragilità della globalizzazione (scombinamenti nella logistica, catene di approvvigionamento, divisione internazionale del lavoro, rischi geopolitici, etc.), il futuro politico-istituzionale dell’Unione Europea e della sua “autonomia strategica”, le disuguaglianze socio-economiche (tra i super ricchi e coloro con lavoro e reddito garantito e coloro privi di alcuna sicurezza, alla mercé dei “capricci del mercato”, ossia delle tendenze socialmente distruttive del capitalismo), il reddito universale di base, il reddito minimo, il populismo, il nazionalismo, il vantaggio intrinseco dell’autoritarismo (decisioni rapide, anche se impopolari).
Soprattutto, nei Paesi ricchi occidentali sono stati messi in discussione orientamenti politico-culturali ed economici neoliberali divenuti egemonici a partire dalla fine degli anni ’70, allorquando partiti politici conservatori e, dopo il 1989, anche alleanze progressiste di centro-sinistra fautrici della Terza Via – frutto di grandi coalizioni tra democratici liberal, socialdemocratici, socialisti, cristiano-sociali che hanno adottato le piattaforme politiche ed economiche neoliberali delle destre conservatrici, cercando di dotarle di “un volto umano” -, avevano ottenuto il sostegno di gran parte della classe media (ossia di quella classe che lo storico newdealista americano Arthur Schlesinger Jr. aveva definito nel 1949 il “centro vitale” del sistema politico democratico di massa) e avevano vinto le elezioni sulla base di un chiaro programma politico “liberale“, finalizzato a rilanciare il capitalismo imprigionato nelle crisi del Fordismo e del Keynesismo (su questo tema si veda il nostro articolo qui). Partiti politici conservatori e progressisti hanno sostenuto che gli elevati tassi di crescita economica degli anni ’50-‘60 (i “Trenta gloriosi”) sarebbero stati nuovamente raggiunti se solo si fosse dato modo alle forze del libero mercato di agire più liberamente e per questo hanno combattuto e cercato di smantellare le forme di potere burocratico, statalista, socialista, consociativo e corporatista.
Un’agenda politica che ha promesso che individui, famiglie, comunità e affari sarebbero rifioriti soltanto dopo aver spezzato le catene dello Stato sulla società, lasciando libero il settore delle imprese private – il mercato con i suoi “animal spirits” – di controllare ogni aspetto della vita delle persone, e che si è concretizzata in un programma economico neoliberista, volto a ridurre salari, tutele, diritti, spesa sociale e servizi pubblici, privatizzando imprese, servizi e beni pubblici, deregolamentando i mercati, a cominciare da quello finanziario, e rendendo “flessibile” il mercato del lavoro.
Le implicazioni di questo vasto programma divennero subito chiare con la pubblicazione di un articolo intitolato “No more free lunch for the middle class” (niente più pasto gratis per la classe media) nel New York Times Magazine del gennaio 1982, scritto da Peter G. Peterson, ex Segretario al Commercio USA e presidente del consiglio di amministrazione di Lehman Brothers Kuhn Loeb Inc., il grande operatore di Wall Street destinato a crollare nel 2008 durante la crisi finanziaria dei mutui subprime.
L’attuazione del programma neoliberista ha voluto dire meno welfare (meno universalismo, più selettività nei diritti di accesso, e workfare), maggiore precarietà dei lavoratori (specie se giovani, donne, anziani, di etnie minoritarie, disabili, immigrati), salari (reali) più bassi, dequalificazione di ampi segmenti dei lavoratori, aumento dell’intensità del lavoro più che della sua produttività, diminuzione dei diritti e della sicurezza dei lavoratori, i quali sono stati costretti a diventare più flessibili in termini di dove lavorano, quali sono i loro compiti, quali condizioni lavorative devono affrontare, quanto e quando lavorano, e così via. Come esemplificato dal film “Sorry we missed you” (2019) di Ken Loach, se i tempi di lavoro sono diventati imprevedibili e senza orari definiti, le persone sono costrette a fare i salti mortali per organizzare le loro vite e quelle delle loro famiglie.
Ne è risultata una struttura fortemente segmentata e differenziata dei mercati del lavoro assai diversa da quella della fase Fordista e che ha ridotto ai minimi termini i lavoratori dei vecchi settori centrali (falcidiati dai processi di crisi aziendali, delocalizzazione, automazione e digitalizzazione della produzione) e il potere contrattuale dei lavoratori specializzati, accentuando allo stesso tempo la vulnerabilità dei diritti dei gruppi meno qualificati e più svantaggiati – persone con bassi livelli di istruzione, donne, giovani, anziani, minoranze etniche, migranti, portatori di handicap -, i cui salari tendono ad essere schiacciati verso il basso anche come conseguenza dell’esistenza di varie forme di sistematico razzismo e pregiudizio normativo ed istituzionale. Ad esempio, in Paesi come USA, UK o Brasile, dove neoliberismo e razzismo hanno operato e operano in sinergia per frammentare la classe lavoratrice.
Nei Paesi ricchi, salari stagnanti e peggiori condizioni di lavoro sono stati accompagnati da una enorme crescita dell’indebitamento privato e dei consumi a buon mercato (“lo sconto cinese”) ottenuti grazie alla “globalizzazione” economica, ossia attraverso la finanziarizzazione della vita delle persone comuni e la gestione da parte delle global corporations di imponenti flussi di merci prodotte dalle “supply and value chains” nei Paesi emergenti e poveri (su questo tema si veda il nostro articolo qui).
Sono stati così riconfigurati gli assetti socio-economici esistenti alla fine degli anni ’70 in modi che non hanno rappresentato solo delle risposte alla crisi dell’accumulazione capitalistica o alla rinascita del potere di classe dei detentori di capitale dopo gli avanzamenti del movimento operaio e sindacale degli anni ’60 e primi ‘70, ma sono state anche parte di un progetto di cambiamento antropologico, intellettuale, politico e ideologico teso a riprogrammare la governabilità liberale, ridefinendo i rapporti tra Stato, democrazia, società ed economia.
Profeticamente, già nella prima metà degli anni ’70, il poeta Pier Paolo Pasolini denunciava che era in atto una “metamorfosi antropologica”, ovvero la costruzione di un’altra tipologia umana rispetto al passato, diversa per caratteristiche di coscienza, autopercezione, desideri, aspettative e valori, basata sull’omologazione consumistica, “un edonismo consumistico neolaico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.” Un tema affrontato, in chiave ampiamente dispotica ed apocalittica, anche da molti scrittori contemporanei come Philip K. Dick, J. D. Ballard e altri.
Una “mutazione antropologica” messa in luce anche da Michel Foucault (1926-1984) che alla fine degli anni ‘70 aveva parlato della nascita della società disciplinare biopolitica e dell’impegno attivo dello Stato nella costruzione di un contesto ambientale ed istituzionale orientato ad una governamentalità che rende possibile che la vita sia sempre più funzionale rispetto alle esigenze del sistema economico di mercato e che si potesse costruire un uomo flessibile – una “soggettività desiderante” libera di scegliere ed intraprendere senza altro fine che la valorizzazione del proprio “capitale umano” – che deve sapersi incessantemente adattare ad esso, interiorizzandone i princìpi e comportandosi secondo le sue sempre mutevoli esigenze.
Al fondo del neoliberismo c’era l’irresistibile promessa libertaria anarchica della liberazione centrata sulla più assoluta autonomia e resilienza individuale: tutti avrebbero potuto diventare imprenditori di sé stessi, arricchirsi, mettersi alla prova, competere per migliorare la propria posizione sociale, rimanendo sé stessi, liberandosi da ogni autorità e da ogni governo, obbedendo solo ai propri istinti vitali, coltivando e amplificando i propri talenti e “spiriti animali”, anche a spese degli altri, senza preoccuparsi dell’interesse generale e di doverne pagare delle conseguenze.
Una narrazione basata sul darwinismo sociale che sul piano politico-culturale ha trasformato ogni cittadino in un io-legislatore che, quando esercita la sua potestà, non è tenuto a interrogarsi sul “bene comune”, sulle ricadute delle sue decisioni sull’insieme della comunità, locale, nazionale o globale che sia, poiché gli si richiede di essere laborioso e di calcolare costi e benefici delle sue scelte soltanto per sé e quando va bene per la sua famiglia o fazione politica. Le persone sono state incoraggiate a concepirsi più come consumatori che come cittadini, e a privilegiare soluzioni privatistiche anche a problemi che hanno una dimensione indiscutibilmente pubblica, come la sanità, l’istruzione, la sicurezza. Per cui, l’individuo tende a non concepirsi come parte di una comunità più vasta e i suoi diritti non possono essere sacrificati neanche in nome della sicurezza collettiva. Una libertà individuale assoluta, senza fraternità né uguaglianza.
Questo spiega anche il culto del diritto di portare armi da parte di molti cittadini degli Stati Uniti, Paese dove l’ideologia neoliberista si è maggiormente affermata in ambito politico-istituzionale e radicata tra la popolazione. Un culto, che come ha notato Mattia Ferraresi, è incardinato sul principio inviolabile della libertà individuale, poggia sulle idee dell’autopossesso e dell’autodeterminazione, dalle quali discende il diritto di proteggersi secondo modalità che non siano sottoposte ad un’autorità. “L’idea della libertà puramente negativa (libertà “da”: dallo Stato, dalle leggi, dagli altri) con cui si giustifica il possesso delle armi è la stessa invocata per celebrare conquiste e progressi nell’ambito dei diritti individuali. Il diritto di disporre di sé, del proprio corpo, delle proprie inclinazioni, della propria sessualità, della propria sicurezza introduce anche il suo rovescio demoniaco: le armi come feroce certificazione dell’indipendenza individuale. … L’insolubile tragedia americana delle armi abita in quella zona d’ombra della modernità in cui la liberazione dal controllo degli altri confina con la dittatura dell’io.”…
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