«I vegumani»

db alle prese con un romanzo (importante) di Clelia Farris. A seguire una rivelazione sul passaporto dell’autrice e una domanda indiscreta.

Gran libro ma chi lo leggerà deve essere paziente e indomabile come una lumaca, preferibilmente la Chrysomallon dell’immagine qui sopra.

Cominciamo con una giornata insolitamente fresca per essere una mattina di marzo: solo 35 gradi. Qualcosa non va? Molto non va però qui far spoiler non è concesso. Se i guai ecologico-climatici sono a cascata le piante potrebbero essere la soluzione. Ma fino a che punto è possibile per gli umani “vegetalizzarsi”? Oppure già «siamo più simili (alle piante) di quanto non sembri»?

Alla base di ogni rivoluzione si aggira sempre una domanda inquietante: fino a che punto è lecito spingersi in un esperimento collettivo? E il consenso va sempre richiesto o, in casi drammatici, può essere estorto?

Mentre il romanzo di Clelia Farris conquista, pagina dopo pagina, chi legge e quasi tutto sembra abbastanza chiaro ecco un nuovo gran colpo di scena con sottinteso elogio della lentezza (e della “vendetta” da consumare fredda)… ma di più non posso svelare: io sono un recensore, mica una spia.

Occhi aperti sull’humus, sugli impossibili fiocchi di neve, sulle scommesse, sui canti dei vegetali e sui biorobot ma anche su cosa risponderà Aster. Naturalmente mai fidarsi delle nonne antipatiche… o forse qui Farris ci ha teso una trappola. E sia «maledetta l’idiozia umana»: quando la frase si materializza (a pagina 112) chi legge probabilmente l’ha pensata almeno 3 volte.

Personaggi indimenticabili, soprattutto quelli femminili. Ma tutto funziona qui: dalla frase iniziale (lo spiazzante “fresco” dei 35 gradi in marzo) all’ultima («ho bisogno della mia velocità»).

Mi ripeto (in fondo mica sono Paganini): gran libro. Regalatevi «I vegumani» (160 pagine, 15 euri) pubblicato da Future Fiction.

Solarpunk? Forse ma le etichette importano poco. Importa che Clelia Farris osi un breve e affascinante romanzo con un’idea-base geniale quanto difficile. La “vulgata” secondo cui il post-umano è/sarà quasi identico al prima (con il bipede detto Sapiens nella sostanza immutato) non sta in piedi: un’idea scema oltre che pigra. Se davero il pianeta detto Terra ha la febbre alta e presto potrebbe collassare allora gli esseri umani dovranno – più prima che dopo – mutare ben più in profondità che per qualche innesto tecnologico. D’altro canto, su tempi lunghi, «nessuno avrebbe potuto intuire la forma eretta dell’essere umano dall’aspetto del pesce che camminò sulla spiaggia primordiale». O se preferite dirla così: «Ogni crisi ci fa capire che l’essere umano è una creatura senza una forma definitiva […] siamo malleabili, come il fango da cui proveniamo».

Ma questa bravissima Clelia Farris chi è? Ovviamente una statunitense giurerà chi non ha guardato la quarta di copertina, pronunciando il suo nome “Clilia”. In effetti Farris è un cognome assai diffuso negli States. Ma anche in Sardegna. A sciogliere il dubbio è un «piatto forte» che viene servito fra gli applausi: «maialetto arrosto su rami di mirto». Bene. Se però il signor Severo De Pignolis prendesse la parola alla riga 6 di pag 71 direbbe: «che orrore questi carnivori». Ma … numquam bene silentium o se preferite: un bel tacere non fu mai scritto. E infatti dopo 15 righe quel tal Severo dovrebbe pentirsi.

Infine una domanda forse indiscreta all’autrice. Mi sono “paralizzato” su questa frase: «qualcuno occupava i tavolini di un bar, una flautista deliziava il pubblico con un arrangiamento particolare di un famoso brano jazz». Chiedo, anche a nome di Charles Lloyd: per caso è «Forest Flower»? Oppure cosa?

In “bottega” trovate alcuni racconti di Clelia Farris ma anche articoli su di lei e recensioni ai suoi libri. Suggeriamo questi punti di partenza: La terza via fra vivere e morire (recensione a «Necrospirante») e Narrator in fabula? Seconda puntata ma anche Fino alla riga 14 non dirò…

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

3 commenti

  • Mariano Rampini

    Ok!!!!

  • Spiacente, Daniele. Niente fiore della foresta. Il brano è Cantaloupe Island di Herbie Hancock. Mi piacciono i musicisti che saltellano fra i generi.

  • Ricevo da un amico sardo (che si definisce “poco social”).

    Su «Vegumani».
    Finito di leggerlo in questo momento. Avevo già letto qualcosa di Clelia Farris ma forse è quello che mi è piaciuto di più. Mi ha fatto ripensare un po’ a «Crash» di Ballard, un po’ a Wenders, ma soprattutto a «Sos sinnos» di Michelangelo Pira, autore di uno dei più bei libri scritti in sardo.
    «Cando toccaiat de bivere a forma de arvore sa cuntentesa it a boccare  ramos e frores e fozas e a suzzare sa terra».
    Traduco: «quando dovevamo vivere sotto forma di alberi la gioia era sbocciare rami, fiori e foglie e succhiare  la terra».
    Una piccola nota organologica, Asfodelo, personaggio simpaticissimo, non potrebbe mai strimpellare le corde dell’armonium, perché l’armonium è un aerofono e le corde proprio non le ha.
    Grazie per avermi suggerito la lettura.
    R.

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