I veleni di guerra che uccidono in …
… in tempi di pace e il diritto (costituzionale) alla salute
Appello del «Comitato Amici e Parenti delle vittime dei Veleni di Guerra»
Appello in difesa dei diritti dei militari contaminati dagli inquinanti bellici e dei loro familiari.
Attuare (e non eludere) la Costituzione: affrontare da subito l’argomento “Verità e giustizia per le vittime dell’uranio impoverito e degli altri inquinanti bellici”.
La questione del risarcimento delle vittime degli inquinanti bellici e dei loro familiari non attiene al trasferimento o al rimpallo di competenza tra l’Amministrazione (Ministero) della Difesa e lo Stato, ma costituisce un problema di ordine superiore, legato alla volontà di questo Stato e dei governi (nel caso attuale il “Governo del cambiamento” M5S-Lega) di farsi garante dei diritti Costituzionali.
L’articolo 38 della Carta Costituzionale sancisce il diritto dei lavoratori affinché siano loro riconosciuti i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio sul lavoro e, al precetto, è stata data attuazione attraverso il Testo Unico (TU) sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Tale assicurazione ha lo scopo di garantire a tutti i lavoratori, in caso di infortunio o di malattia professionale, prestazioni sanitarie relative alle prime cure, prestazioni economiche e forniture di apparecchi protesici. Esonera inoltre il datore di lavoro dalla responsabilità civile conseguente all’evento lesivo subìto dai propri dipendenti, salvo i casi in cui, in sede penale o, se occorre, in sede civile, sia riconosciuta la sua responsabilità per reato commesso con violazione delle norme di prevenzione e igiene sul lavoro.
Non ci sarebbe nulla da obiettare se non il fatto che il Legislatore italiano ha da sempre escluso i militari (lavoratori anch’essi, funzionari pubblici con un compito specifico imprescindibile per la tenuta stessa dello Stato, per la tutela dei cittadini) dall’applicazione di queste garanzie, malgrado l’assenza di un supporto normativo di esclusione.
La tutela approntata dall’articolo 38 della Carta Costituzionale tutela però tutti i lavoratori e la sua parziale applicazione sembra entrare in contraddizione con la definizione di lavoratore, inteso come chiunque svolga quella attività definita dagli articoli 1 e 4 della Costituzione e che individuano il lavoro come valore fondante della Repubblica e della dignità dei cittadini, come diritto ed obbligo degli stessi a contribuire al benessere della collettività.
Ecco allora che quando si parla di attuazione della normativa in materia di tutela della sicurezza e contro gli infortuni e le malattie professionali, questa deve necessariamente riferirsi all’unico genus di lavoratori esistente: quello sancito dalla Costituzione.
Ma allora, per giustificare diseguaglianze e lacune normative deve forse essere modificato l’articolo 1 della Costituzione? Certo che no! Si deve dare immediatamente attuazione ai precetti costituzionali come l’articolo 38 e accordare subito le tutele necessarie a chiunque abbia subìto una menomazione nello svolgimento del proprio lavoro e che a causa del danno patito non è più in grado di realizzare quell’esistenza libera e dignitosa procurabile attraverso il lavoro.
È questo l’imperativo che in uno Stato di diritto deve prevalere ed è questa la strada che ha imboccato la IV Commissione d’Inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’Uranio Impoverito conclusasi nel 2018, elaborando una proposta tecnica in linea con i principi fondanti del nostro ordinamento, nell’interesse dei lavoratori in divisa e dei loro familiari.
È la necessità di attuare la Costituzione a legittimare e ad imporre alla Commissione Difesa dell’attuale governo di fare propria la proposta di legge Scanu e presentarla, scardinando quel meccanismo di omertà e sottomissione a cui interessi superiori obbligano le istituzioni di questo Stato. Non è ammissibile che continui ad accadere che il Ministero della Difesa attraverso l’IGESAN (L’Ispettorato Generale della Sanità Militare) sia contemporaneamente il datore di lavoro del personale militare e colui che deve riconoscere le eventuali cause di servizio: bisogna rompere il meccanismo del controllato che si controlla da solo!
Il Ministero della Difesa, e in primis il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta, in attesa che venga espressa in via definitiva una normativa per tutelare e risarcire i militari esposti a fattori di rischio nella propria attività lavorativa (come ha promesso attraverso l’istituzione di un Tavolo Tecnico), se vuole realmente dare un segno concreto e di rottura cambiando approccio sulla questione rispetto al passato, deve procedere all’estinzione di tutti i procedimenti giudiziari in corso, dare riconoscimento ai numerosi “pendenti” anche in via stragiudiziale, ed elargire subito, in via transattiva e a titolo di acconto (può farlo tramite decreto!), un iniziale risarcimento forfettario per dare prova della sua buona fede, per dare respiro alle vittime e le loro famiglie costrette a pagare ingenti spese mediche e legali, per i danni morali subiti dalle famiglie e dalle vittime in due decenni di opposizione da parte del Ministero della Difesa alla richiesta di riconoscimento dei danni per chi si è ammalato o è deceduto. I familiari e le vittime sono stanchi di promesse di cui non vedono mai la fine, e di una giustizia negata da oltre 20 anni. Un atto del genere sarà la misura della volontà politica di risolvere il problema, e chiediamo al “Governo del cambiamento” di dimostrarla con azioni tangibili. Il “Governo del cambiamento” ha giurato sulla Costituzione, anche sull’articolo 38.
Chiediamo ai sinceri democratici e ai parlamentari eletti il 4 marzo 2018, ai sindacati militari, alle associazioni di militari, alle associazioni di familiari delle vittime dell’uranio impoverito e altri fattori di rischio che da anni si battono per la verità e la giustizia, di sottoscrivere questo appello, per un vero cambiamento di rotta nella tutela dei diritti dei lavoratori in divisa e dei loro familiari.
Comitato Amici e Parenti delle vittime dei Veleni di Guerra
PRIMI FIRMATARI
Emanuele e Simone Lepore, fratelli del maresciallo del’AM Giovanni Luca Lepore
Massimiliano Garofalo, fratello di Alessandro Garofalo
Francesco Zito, padre di Leonardo Zito
TRA LE PRIME ADESIONI
Stefano Fassina (parlamentare)
Luca Marco Comellini, segretario generale del Sindacato dei militari
PER CONTATTI: capvittimevelenidiguerra@gmail.com oppure 320 8491257
Per sostenere le spese del Comitato : ricarica Postepay intestata a Emanuele Lepore numero 4023600958562129, codice fiscale LPRMNL90C08A783R
PER CAPIRE DI PIU’
Sulla tragedia infinita (e censurata o travisata dai principali massmedia) dei militari che continuano a morire per uranio impoverito e altri veleni – e sul poligono assassino di Quirra in Sardegna – trovate in “bottega” numerosi post: per esempio Quirra: un altro militare morto e Promemoria sui veleni di Quirra.
Sui proiettili all’uranio impoverito usati in Bosnia e poi sulla Jugoslavia di Milosevic (nelle guerre Nato degli anni ’90) e sui soldati italiani lasciati senza protezione e informazione – 7500 gli ammalati, 366 i militari morti – per tacere dei civili nelle zone bombardate e dei tumori (che nell’ex Jugoslavia sono dilagati) vale leggere quanto ha di recente scritto Ennio Remondino: www.remocontro.it/2019/06/01/morti-da-uranio-impoverito-guerra-sporca-e-menzogne-da-vergogna.