Il 25 aprile con un partito fascista al governo
di Tomaso Montanari (*)
Non è un 25 aprile come tutti gli altri che, dal 1945, lo hanno preceduto: perché è il primo in cui il governo e le massime istituzioni della Repubblica sono in mano a un partito fascista.
Per reagire, e per onorare davvero la lotta e il sacrificio dei partigiani, è doveroso avere il coraggio di dirlo senza remore: diffondendo le argomentazioni di coloro che, nei loro studi, non solo lo dicono, ma lo dimostrano testi alla mano.
Ne cito, a titolo di esempio, due di genere e taglio assai diversi: il recente saggio dello storico inglese David Broder (Mussolini’s Grandchildren. Fascism in Contemporary Italy, Pluto Press 2023), e l’inchiesta del giornalista Andrea Palladino (Meloni segreta, Ponte alle Grazie 2023). È quindi necessario chiedersi come sia stato possibile: perché «prima di agire, bisogna capire», come dicevano i fratelli Rosselli un secolo fa. E qua la risposta è necessariamente articolata, almeno in tre punti.
Primo. Ci sono ragioni storiche di lungo periodo: dopo la guerra non si sono fatti i conti fino in fondo con il fascismo e con i fascisti. Il malinteso imperativo della continuità dello Stato ha impedito la necessaria discontinuità della classe dirigente, e una troppo veloce e larga auto-assoluzione ha restituito agli italiani l’illusione di essere ‘brava gente’ (su questo si veda, da ultimo, P. Corner, Mussolini e il fascismo. Storia, memoria e amnesia, Viella 2022): un’illusione che ha permesso una ricaduta nella malattia.
Inoltre, il viscerale anticomunismo del capitalismo italiano e degli Stati Uniti ha consentito che risorgesse, in barba al veto costituzionale, un partito ovviamente fascista, che alla fine (dopo ‘svolte’ totalmente false) è stato riportato al governo (negli enti locali e nel Paese) da Silvio Berlusconi, sempre in chiave anticomunista e grazie all’involuzione (profondamente contraria allo spirito della Costituzione) di un sistema elettorale maggioritario, e dunque tendenzialmente bipolare.
Tutto questo culmina nello sbandamento di una ‘sinistra’ che – da Violante a Ciampi, dalla legge sul Giorno del Ricordo ai troppi silenzi di Sergio Mattarella – finisce con l’affondare più o meno consapevolmente l’antifascismo della Repubblica.
Secondo. Questi fatti spiegano perché i fascisti non siano spariti, non perché siano tornati alla guida del Paese. E qua la spiegazione è nel drammatico smontaggio del progetto costituzionale avvenuto soprattutto ad opera dei governi di centro-sinistra: quello era il progetto dell’antifascismo per l’Italia, quello abbiamo distrutto.
Nelle parole di Piero Calamandrei, quel progetto consisteva nel «dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità d’uomini.
Soltanto quando questo sarà raggiunto si potrà veramente affermare che la formula contenuta nell’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica, perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale» (1955).
Le democrazie puramente formali presto si ammalano e muoiono: ed è esattamente quel che è avvenuto a noi. Siamo malati, e la diagnosi non è delle più fauste. La profonda ingiustizia sociale ha allontanato i cittadini dalla democrazia: e un astensionismo enorme ha portato – con i voti del 28% degli aventi diritto al voto – al governo del Paese una coalizione di estrema destra, guidata da un partito fascista. In questa (ovvia) analisi c’è anche il rimedio: l’unico antifascismo in grado di rigettare i fascisti nelle fogne della democrazia, è una politica che ricominci a costruire giustizia sociale, e dunque partecipazione.
Terzo. Manca ancora un pezzo di risposta per spiegare come sia stato possibile che in un paese come l’Italia i fascisti siano tornati al governo. Quel pezzo si trova in una intervista di Marine Le Pen concessa a Repubblica pochi giorni fa. Qui la leader dell’estrema destra francese diceva di avere le stesse idee di Giorgia Meloni, tranne che su un punto: la guerra. Alludeva all’attuale, oltranzistica, fedeltà atlantica di Meloni: la quale, ribaltando una lunga retorica antiamericana, sposa ora senza riserve le ragioni della Nato, delle armi, della acritica sottomissione alla dottrina americana che vuole il mondo dominato da una sola potenza, in nome della superiorità della cultura occidentale.
Questa differenza, cruciale, tra Le Pen e Meloni spiega perché il Front Nationale sia pacificamente definito da tutti come un partito di estrema destra, xenofoba e razzista, mentre per Fratelli d’Italia la stampa occidentale preferisca parlare di forza ‘conservatrice’: anche se le idee sono esattamente le stesse (salvo, appunto, una: ma decisiva).
La triste verità è che, per gli Stati Uniti e per le classi dirigenti europee, lo spartiacque non è quello tra fascismo e antifascismo, ma tra fedeltà atlantica (ivi compresa un’acritica accettazione del dogma del TINA neoliberista) e multilateralismo.
Per questo si accetta di buon grado che l’Italia si trovi nella condizione della Polonia: con un governo illiberale e xenofobo che però offre assolute garanzie nella lotta contro la Russia, e quindi contro la Cina. Naturalmente questo significa concedere ai governi di estrema destra mano libera sui diritti civili, e sulle vite dei marginali (poveri, migranti, diversi di ogni sorta): un danno collaterale irrilevante nel grande scacchiere della volontà di potenza mondiale.
Del resto, Fratelli d’Italia nasce esattamente per sfruttare questa finestra di opportunità. Prendiamo i suoi tre fondatori ufficiali: Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Giorgia Meloni. Il primo rappresenta (in modo perfino caricaturale) la fedeltà al fascismo storico, e la militanza nel torbido e sanguinario neofascismo del dopoguerra.
Il secondo rappresenta la garanzia di totale organicità ai dogmi del liberismo economico e alle esigenze del sistema militare-industriale e dunque della guerra. La terza rappresenta l’apertura all’ideologia dell’estrema destra internazionale (da Orban a Bolsonaro a Trump). Quest’ultimo punto merita qualche parola in più.
Nonostante l’affettuosa deferenza per Giorgio Almirante e alcune giovanili dichiarazioni di entusiasmo per Mussolini, Meloni è attenta a smarcarsi dal fascismo nostalgico alla La Russa. La ragione è la volontà di essere, e apparire, in sintonia con un nuovo fascismo che – pur nella sostanziale continuità ideologica con le idee di Hitler o di Evola – non ha bisogno di un apparato simbolico storico, e costruisce nuovi simboli e nuovi miti.
In questo 25 aprile, prendetevi un momento per guardare un terribile video del 2013 (in francese, con sottotitoli in inglese: https://www.youtube.com/watch?v=XA5S5Qrg6CU).
È la ‘dichiarazione di guerra’ alle democrazie lanciata da Génération Identitaire, un movimento politico nato in Francia (e lì sciolto dal governo nel 2017) che fa della ‘questione etnica’ il fulcro di una politica fondata sulla paura e sull’odio.
La linea è quella del suprematismo bianco: e in concreto quel movimento ha organizzato una serie di attacchi anche fisici contro le Ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo. I simboli non sono le svastiche: ma, come si spiega nell video, i ‘lambda’, cioè le lettere greche che figuravano tra gli emblemi degli Spartani (‘lambda’ è la lettera iniziale di Lacedemoni, altro nome degli Spartani).
La scelta cade sulla grande antagonista della democratica Atene: una città governata da una minoranza (gli Spartiati) che dominava attraverso la violenza e il terrore su una maggioranza (gli Iloti) etnicamente diversa. Un modello atroce, fatto proprio dall’organizzazione studentesca di Fratelli d’Italia.
Un esempio eloquente: il percorso formativo di Azione studentesca si chiama ‘agoghé’, come quello dei giovani spartiati, che in esso si formavano alla resistenza fisica, e alla violenza (anche attraverso uccisioni rituali e impunite degli Iloti).
Una ricca documentazione iconografica mostra come i ragazzi italiani che crescono all’ombra della Presidente del Consiglio non ricorrano ai fasci o alle svastiche (anche se la croce celtica rimane il simbolo ufficiale di Azione studentesca), ma ai simboli dell’antica Sparta: un mimetismo formale che mette i giovani di estrema destra italiana al riparo dalle accuse di fascismo nostalgico, e in connessione con i loro camerati di tutta Europa, consentendo una perfetta, e indisturbata, continuità con gli ‘ideali’ fascisti e nazisti.
Vale la pena di ricordare che è stata proprio Azione studentesca la responsabile, nel febbraio scorso, del pestaggio dei ragazzi del Liceo Michelangiolo, a Firenze: e che nello stesso palazzo fiorentino hanno sede Fratelli d’Italia, Casaggì (nome locale di Azione studentesca) e la casa editrice “Passaggio al bosco” (etichetta esplicitamente jüngeriana che allude alla ribellione contro la democrazia), il cui catalogo è ricco di testi su Sparta, e sulla sua mistica del razzismo violento. È in questo quadro che si deve leggere l’uscita sulla ‘sostituzione etnica’ del ministro Lollobrigida, cognato di Meloni.
Lungi dall’essere frutto di “ignoranza”, come penosamente asserito dall’interessato, si tratta della maldestra esibizione della parola d’ordine chiave per questa nuova-vecchia destra europea che fa della questione razziale e migratoria il centro di un intero sistema di pensiero e azione. Negli ultimi decenni si possono documentare decine e decine di uscite di Salvini, Meloni e molti altri leader della destra italiana sulla sostituzione etnica: e ora la tragedia di Cutro mostra come proprio quell’ideologia ispiri le azioni e le omissioni dell’attuale governo della Repubblica.
Un nuovo fascismo, dunque: che non ha necessariamente bisogno dei labari del Ventennio. Ma che quel progetto comunque resuscita e persegue: soprattutto in una mistica della violenza e della morte che ha nei neri, nei musulmani, nei diversi i propri eterni obiettivi.
Lo dimostra il fatto che la politica di questo governo fascista attacca frontalmente alcuni principi fondamentali della Costituzione antifascista: l’articolo 9 (perseguendo la difesa di una nazione che si darebbe per via etnica e non culturale, come invece vuole proprio quell’articolo), l’articolo 10 (negando di fatto il diritto d’asilo e blindando le frontiere contro chi non gode in patria delle nostre stesse libertà democratiche), l’articolo 11 (usando la guerra come strumento della politica internazionale, e non perseguendo affatto la pace e la giustizia attraverso la nostra partecipazione a organismi internazionali: non solo nella sudditanza alla Nato, ma per esempio anche nel rifiuto, in Unione Europea, di opporsi alle politiche omofobe ungheresi).
È questo ciò che dobbiamo saper vedere, in questo 25 aprile 2023. Il fascismo può apparire nuovo e diverso, ma alla fine il suo obiettivo è sempre e comunque quello di abbattere quel progetto di pace, giustizia, uguaglianza e democrazia che la Costituzione incarna. È un pericolo reale, e incombente: perché forse non potranno tornare in Italia i fascisti col fez e la camicia nera, ma certo potremmo veder nascere un regime violentemente razzista e autoritario, come quello polacco o quello ungherese.
E nessuno sa cosa verrebbe dopo. Per questo, oggi, non dobbiamo limitarci a celebrare le gesta dei nonni: dobbiamo impegnarci con tutti noi stessi perché i nostri figli non siano costretti a ripeterle.
(*) Da Volere la Luna.
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