Il boia, la frusta, chi tace e chi parla

Due storie dall’Arabia Saudita riprese dal bollettino del «Comitato Paul Rougeau» (seguono il sommario e la presentazione del numero 220)

RaifBadawi

ORRORE IN ARABIA SAUDITA

Una spada si abbatte sul collo di una donna vestita di nero posizionata per la decapitazione, la donna urla. Solo al terzo colpo la testa si stacca completamente, e lei si accascia al suolo… il boia vestito di bianco pulisce la lama con uno straccio, mentre personale sanitario con i guanti di lattice recupera il corpo.

Non è la scena di un film horror ma il video che documenta un’atroce realtà. E’ successo alla Mecca il 12 gennaio scorso. La donna è Lalia Bint Abdul Muttablib Basim, birmana condannata a morte da un tribunale della Sharia per aver brutalizzato e ucciso la figliastra di sette anni. Lalia ha protestato la sua innocenza fino alla fine, gridando «Non ho ucciso, non ho ucciso!» mentre tre uomini la trascinavano davanti al boia e poi la costringevano a restare ferma mentre lui alzava la spada.

Il video che ha ripreso questa scena ha fatto il giro del mondo, messo in rete da attivisti per i diritti umani.

Il sito del ministro degli Interni saudita afferma che la decapitazione consegue «all’enormità del crimine» ed è stata compiuta per «ripristinare la sicurezza e fare giustizia».

Questa esecuzione ha ulteriormente attirato l’attenzione mondiale sui metodi di punizione cruenti dell’Arabia Saudita, già sotto i riflettori per la pubblica fustigazione di Raif Badawi, il blogger attivista politico, condannato a dieci anni di carcere e a un totale di 1000 frustate per aver offeso le autorità religiose (vedi l’articolo seguente).

Filmare le esecuzioni è rigidamente vietato dalle autorità saudite, per cui si è subito avviata la “caccia” all’autore del video e, una settimana dopo la decapitazione di Lalia, i notiziari locali hanno riferito che la guardia che ha filmato l’esecuzione è stata arrestata e dovrà rispondere del suo gesto sia davanti a un tribunale civile che davanti a un tribunale militare. Anche se non si conoscono ancora con precisione le accuse che verranno contestate alla guardia, un portavoce del ministero degli Interni ha dichiarato che il suo reato ricade nella tipologia dei crimini cibernetici.

La decapitazione di Lalia avvenuta il 12 gennaio era già la decima esecuzione effettuata in Arabia Saudita nel 2015: se il ritmo venisse mantenuto, quest’anno il Paese arabo supererebbe largamente il suo triste record di 87 esecuzioni in un anno, conseguito nel 2014.

 

PENA AGGHIACCIANTE COMINCIATA E POI SOSPESA IN ARABIA SAUDITA: al blogger saudita Badawi l’atroce pena di 1000 frustate da somministrarsi in rate settimanali di 50

L’8 gennaio – così come è successo a tanti altri amici di Amnesty International Usa – abbiamo ricevuto un messaggio agghiacciante che dava credito alle voci che circolavano nel web a proposito della durissima repressione nei confronti di un blogger saudita, reo di aver allestito un forum intitolato «Sauditi Liberali» per discutere di varie cose in internet, fra cui la religione, le autorità religiose e la politica.

Raif Badawi era stato arrestato il 17 giugno 2012 e accusato di «apostasia», reato che comporta la pena capitale. Il reato era stato poi derubricato dalla corte e la pena inflitta fu di 10 anni di reclusione con l’aggiunta di 1.000 frustate da somministrarsi, in pacchetti di 50, una volta alla settimana per 20 settimane, nonché di una multa di un milione di rial sauditi, circa 225.000 euro (1).

La prima razione di frustate era programmata per il giorno seguente 9 gennaio e Amnesty Usa invitava i propri corrispondenti a riversare in extremis sulle autorità saudite una valanga di appelli per evitare lo scempio.

Nonostante ciò, il giorno seguente (venerdì, giorno festivo musulmano) il povero Badawi è stato portato sulla pubblica piazza davanti alla moschea al-Jafali di Gedda e ha ricevuto tutti e 50 i colpi di frusta stabiliti.

Il venerdì successivo però il condannato è stato lasciato in pace: si è ipotizzato che fosse troppo prostrato dalla punizione ricevuta 7 giorni prima e i medici avessero consigliato di soprassedere.

Forse anche a causa delle decine di migliaia fra petizioni, telefonate ecc. ricevute, e dei consigli arrivati dai Paesi amici, l’Arabia Saudita ha continuato a risparmiare le frustate per Raif Badawi di settimana in settimana fino al momento di chiudere questo numero (4 marzo).

Però la crudele sentenza rimane in vigore e i soci e i simpatizzanti di Amnesty Usa continuano a pressare le autorità saudite, a cominciare dal nuovo re Salman bin Abdul Aziz Al Saud (2), chiedendo l’annullamento della pena e il rilascio di Raif Badawi, un «prigioniero di coscienza» (3).

NOTE

(1) L’avvocato di Raif Badawi ha cominciato a scontare una condanna a 15 anni per… aver difeso i diritti umani, mentre la moglie e le figliolette del blogger sono fuggite in Canada.

(2) Il vecchio re Abdullah è morto il 22 gennaio a 91 anni, il 23 gli è succeduto il fratellastro 79-enne.

(3) Vedi http://write.amnestyusa.org/case/raif/ che contiene anche un bel filmato (il primo della serie).

 

PRESENTAZIONE del numero 220.

Questo numero è molto ampio, al limite delle dimensioni massime che ci siamo prefisse. Ciò è dovuto alla grande quantità di fatti di nostro interesse accaduti nei primi due mesi dell’anno e fino al 4 marzo.

Come sempre non c’è una grande differenza di importanza fra gli articoli ampiamente sviluppati e quelli riassunti nel Notiziario. A esempio nel Notiziario questa volta trovate una notizia “epocale”: il piccolo Stato oceanico delle Isole Figi ha reso per la prima volta questo mondo in maggioranza libero dalla pena di morte. Ciò almeno nel senso che i Paesi totalmente abolizionisti sono più numerosi di quelli ritenzionisti sommati a quelli abolizionisti per i crimini ordinari.

Purtroppo la maggioranza degli articoli non parla di cose piacevoli ma di orrori che accadono, oltre che negli Stati Uniti, in Paesi lontani, lontani geograficamente e ancor più culturalmente.

Molti articoli denunciano violazioni dei diritti umani di un tipo sconosciuto fino a pochi anni fa, a esempio le uccisioni gratuite compiute dall’Isis, dai Talebani, da al-Qaeda, da Boko Haram,… alla periferia dell’Impero. Per la verità c’è stata anche un’incursione nel cuore dell’Impero: quella contro Charlie Hebdo a Parigi, che forse poteva essere evitata se, come dice papa Francesco, si tenesse presente che «non si può provocare, non si può insultare la fede di un altro popolo, non ci si può prendere gioco della fede».

A proposito: papa Francesco e la Santa Sede moltiplicano le dichiarazioni e gli appelli contro la pena di morte (e anche contro la tortura e l’ergastolo). Senza se e senza ma. In tutte le sedi, a cominciare dalle Nazioni Unite.

I bilanci di fine 2014 di Amnesty International e di Human Right Watch registrano violazioni dei diritti umani nella grande maggioranza dei Paesi, violazioni di una particolare ampiezza e gravità tanto che Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International, è indotto a scrivere: «dobbiamo solo sperare che, quando negli anni a venire guarderemo indietro al 2014, ciò che abbiamo vissuto in quest’anno ci sembrerà il fondo, il punto più basso da cui siamo risaliti».

I più cordiali saluti ed auguri di una buona Pasqua e di una buona primavera

Giuseppe Lodoli per il Comitato Paul Rougeau

PS – E’ di grande importanza per il Comitato che ci facciate avere qualche vostro commento, positivo o negativo, a quanto scriviamo.

 

SOMMARIO

Per noi c’è poco da festeggiare

Il 13 gennaio la prima esecuzione dell’anno negli Usa

La Georgia riesce infine ad uccidere Hill, disabile mentale

La Corte Suprema Usa discuterà dell’iniezione letale in Oklahoma

La nuova governatrice dell’Oregon mantiene la moratoria

Il governatore della Pennsylvania indice una moratoria

Salta la moratoria in Pakistan: subito esecuzioni a raffica

Nel buio pakistano peggiora la situazione di Aasia Bibi

L’Iran uccide il giovanissimo Saman, oppositore politico

Orrore in Arabia Saudita 8

Pena agghiacciante cominciata e poi sospesa in Arabia Saudita

Orrenda uccisione di un pilota giordano vendicata con 2 esecuzioni

Prosegue molto lentamente l’iter giudiziario di Nidal Hasan

Intervento della Santa Sede all’Onu sulla pena di morte

Sapere chi sono i “terroristi”, per poi tentare di capire

Diritti Umani: è uscito il Rapporto 2015 di Human Rights Watch

Amnesty: uscito il rapporto 2014-2015 sui diritti umani

Fernando Eros Caro ci spiega come fa il pittore nel braccio della morte

Acquistiamo la canzone di Clinton condannato a morte in Texas

Notiziario: California, Florida, Iran, Iraq, Isole Figi, Maryland, New York, Texas.    

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Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

6 commenti

  • Daniele Barbieri

    buondì Giuseppe Lodoli,
    come sai sono sempre solidale con te e con il comitato Paul Rougeau e infatti qui in “bottega” vi do volentieri spazio. Ma stavolta ho una perplessità che ti sottopongo; ovviamente se pure resteremo di “parere diverso” non per questo mancherà o calerà il mio sostegno a voi e alla lotta contro la pena di morte.
    Il punto è questo. Presentando il numero 220 tu scrivi: la strage «contro Charlie Hebdo a Parigi, che forse poteva essere evitata se, come dice papa Francesco, si tenesse presente che “non si può provocare, non si può insultare la fede di un altro popolo, non ci si può prendere gioco della fede”». E’ un discorso pericolosissimo e lo dico in forma di paradosso: se Giordano Bruno non avesse insultato (secondo le idee vaticane dell’epoca) Dio… poteva salvarsi; quel rogo infatti si sarebbe facilmente evitato se Giordano Bruno avesse obbedito agli auto-nominati rappresentanti di Dio (o dio) in Terra. E poi nella frase di Bergoglio che tu citi si usano, come sinonimi, due verbi diversi: “insultare” e “prender gioco” . Per come la vedo io si ha il diritto di “prender gioco” sempre; mentre gli insulti (religiosi o meno) sono una brutta cosa che ovviamente non giustificano una risposta violenta.
    Già che ci sono, aggiungo due parole sull’espressione «santa sede» (usata anche da te) o sull’analoga «sua santità» (che sento spesso su radio-Rai). Se si parla a tutte/i, come sui mass media bisogna fare, non si usano espressioni di questo tipo: io a esempio non credo alla santità del papa o del Vaticano. E’ buona cosa se i “media” non insultano Dio, Maometto, Buddha, Manitù ecc e chi ci crede; ma meglio anche se non si “inchinano” e usano espressioni da “fedeli”.
    Forse oggi ho il dente avvelenato: ho appena sentito dire da un amico quant’è bello che ogni tanto le grandi religioni si trovino d’accordo. Mi fa piacere se musulmani, ebrei e cristiani non si scannano però non dimentico che spesso i “capi” di queste (o altre) religioni si trovano D’ACCORDO anche a insultare e/o perseguitare chi è ateo, omosessuale o… “semplicemente” donna. E se la smettessero loro di insultare prima di lamentarsi dei torti (a volte immaginari) subiti?

  • Grazie Daniele. Mentre Isis (Daesh) e dintorni decapitano senza processo formale, in Arabia saudita è tutto regolare! Si decapita dopo regolare processo. O si lapida. Un’altra specialità dei Saud (NB. L’ARABIA SAUDITA E’ UNICO STATO AL MONDO CHE HA LA DINASTIA REGNANTE NEL NOME!!) è che i boia si accaniscono sui lavoratori migranti; l’anno scorso fu la volta di bengalesi. Che ovviamente non hanno una dinaro per difendersi. Ma anche gli avvocati sono perseguitati, se difendono blogger, come si legge nell’articolo. L’Italia dovrebbe seguire la Svezia e la Germania e rompere rapporti militari con quel regno schifoso, che è primo importatore di armi al mondo e primo importatore anche di armi italiane. Marinella

  • Giuseppe Lodoli

    Con quello che scrive Marinella, alla quel mando un caro saluto, sono d’accordissimo. E ora passiamo a Daniele.

    Caro Daniele, GRAZIE di aver pubblicato i due articoli del nostro bollettino e di aver letto così attentamene il messaggio di accompagnamento.

    Ti ringrazio anche di aver mandato un tuo commento (ed è rarissimo che i commenti, sempre sollecitati, siano così impegnativi come questo tuo).

    Per quanto riguarda Charlie Hebdo, intanto nell’immediato mi ha dato fastidio la mobilitazione con il motto “Je suis Charlie”, che mi suonava come “Non ci bastano 20 morti, sono una bazzecola, dateci ancora dentro”.

    Poi ho pensato che coloro che ce l’hanno visceralmente con i musulmani che attaccano Charlie Hebdo si sarebbero offesi se questi ultimi avessero rappresentato Gesù Cristo con una testa di maiale e cose del genere.

    Poi ho cercato di pensare a quali dovrebbero essere i modi giusti per rapportarsi all’insensato desiderio di morte dei movimenti radicali islamici: forse cercare di bloccare i finanziamenti che permettono a certi attori dello scenario internazionale di operare, non certo l’uccisione sul posto dei ‘terroristi’, non certo l’uso dei droni e dei bombardieri… tra le varie opzioni da me prese in considerazione non c’era la satira.

    La sottolineatura di quella frase (colloquiale, in aereo) del papa fatta nel messaggio di accompagnamento, peraltro estrapolata da un discorso molto più ampio contenuto in un articolo all’interno del bollettino (Sapere chi sono i “terroristi”, per poi tentare di capire”) pigliamocela, direi, come una buona provocazione di commenti…

    Ma non pigliamocela.

    Cari saluti
    Giuseppe

    P. S.
    Comunque non ti arrabbiare per l’uso delle locuzioni del tipo “Santa Sede”: se loro hanno stabilito di chiamarsi così non ci possiamo fare niente. E non possiamo impedirgli di parlare all’ONU ecc. (tanto più se parlano bene).

    • Daniele Barbieri

      grazie Giuseppe
      forse mi sono spiegato male; provo a chiarirmi.
      1 – Sul motto «Je suis Charlie» la discussione resta aperta: mille le interpretazioni possibili. Io credo che i cosiddetti “grandi della Terra” in corteo con la libertà di espressione e con la lotta al terrorismo c’entrino ben poco. Su codesta “bottega” sono uscite le obiezioni (che in gran parte condivido) di Karim Metref a quello slogan e al ruolo di «Charlie Hebdo». Molto pesano i silenzi: ovvero mi pare assai sospetto “identificarsi” solo con i morti di Parigi e non con quelli in Nigeria, in Siria, in Libia, in Yemen… Però continuo a pensare che per la maggior parte delle persone che hanno sentito il bisogno di dire «Je suis Charlie» e di manifestare il primo sentimento fosse: giù le mani dalla libertà d’espressione, no al terrorismo.
      2 – Non sono un esperto di «Charlie Hebdo» ma mi pare che la rivista abbia attaccato spesso le altre religioni o la “laicità di Stato”. Dunque non era “beffarda” a senso unico.
      2 bis – Sempre per amore di paradosso. Qualcuna/o ricorda la prima pagina de «il manifesto» quando fu eletto Ratzinger? Il titolo era «il pastore tedesco». Sdegno a go-go nelle sacrestie della politica italiana. In altri tempi l’avrebbero denunciato o perfino sequestrato nelle edicole. E io insisto: perché non si potrebbe fare satira sul Vaticano e/o su Gesù Cristo? Come su Manitù o Buddha.
      3 – Sul desiderio di morte fra gli estremisti detti “islamisti” (e non solo: penso a quanto ha scritto Franco Berardi Bifo sul pilota tedesco suicida) il discorso è ovviamente molto complesso. D’accordo con Giuseppe nel pensare che il primo problema nel capire cosa sia il terrorismo (o meglio uno dei tanti terrorismi) e come si combatta NON sia la satira… e secondo me neppure la religione.
      4 – Provocazione la mia? Un pochino. Aggiungo «W Giordano Bruno».
      4 bis – E se dico «W Giordano Bruno» posso dire poi «W Helder Camara»? O mi devo limitare a «W Camilo Torres»?
      5 – Le parole pesano meno dei fatti ma sono importanti. Se in Vaticano gradiscono chiamarsi «santa sede» è un problema loro. Se il dittatore della Corea vuol fare precedere il suo nome con 30 lodi è una paranoia sua e non mia. Dire «il papa» è una informazione (piaccia o no questo papa, si sia o no credenti); imporre nel linguaggio la definizione di «santo padre» è altro. Continuo a credere che in uno Stato non confessionale anche il linguaggio debba essere laico.
      5 bis- Mai pensato che il Vaticano non debba parlare all’Onu (meglio se lì «parla bene» come scrive Giuseppe). Neppure sono contrario che un papa possa parlare all’università, mettiamo di Roma; che debba aprire l’anno accademico invece è scandaloso. Spero la differenza sia chiara.
      PASSANDO AD ALTRO. Leggo oggi (un articolo di Geraldina Collotti su «il manifesto») due notizie dagli Usa. La prima è tragica: dopo un coma diabetico ha perso conoscenza Mumia Abu Jamal, da 34 anni in carcere negli Usa, quasi certamente innocente. La seconda notizia – non saprei dire se è paradossalmente buona o immensamente triste – riguarda la liberazione di Anthony Hinton, afroamericano anche lui, che l’anno scorso è stato riconosciuto innocente dopo 30 anni di galera. Chiedo a tutte/i e in particolare al «Comitato Paul Rougeau» (che ha un filo diretto con le prigioni Usa) se sanno qualcosa di più su “Mumia” e su Anthony Hinton, visto che i grandi – a loro dire – media su vicende simili ci tengono poco informati (e meno male che, con tutti i loro difetti, ci sono «il manifesto» e «Il fatto quotidiano»). Grazie.

  • Giuseppe Lodoli

    Grazie Daniele di queste tue ulteriori precisazioni e del tuo impegno su questi temi.

    A proposito di Helder Camara, mi fa piacere ricordare quel ‘pretino’ sorridente (non lo chiamo Sua Eccellenza e nemmeno mons. e nemmeno vescovo per rimanere nel politically correct ) che conobbi tanti anni fa quando venne a parlare alle Acli dove lavoravo.

    Stamattina ero al manifesto con Marco Cinque ma non ho letto il manifesto…
    So che Mumia è ricoverato e so che i sostenitori di Mumia (non mi risulta che Mumia sia quasi sicuramente innocente, lo dicono i suoi sostenitori e forse lui si sente soggettivamente innocente) vogliono raccogliere immediatamente 20 mila dollari per integrare le cure che il carcere gli fornisce, ma nessuna fonte attendibile ha detto che lui sia in condizioni critiche.

    Per quanto riguarda Anthony Hinton ti dico soltanto che per gli oltre 150 condannati morte prosciolti negli Usa dopo il ripristino della pena di morte, molti dei quali invecchiati in carcere, molti dei quali sicuramente innocenti, c’è stato raramente un indennizzo decoroso. Quello che sorprende di più è che a volte passa qualche anno, dopo la risoluzione dei rispettivi casi giudiziari, prima della liberazione. ( Comunque sempre meglio l’America della sua alleata Arabia Saudita)

  • Daniele Barbieri

    COMUNICATO STAMPA AMNESTY (7 maggio)

    ARABIA SAUDITA: IL BLOGGER RAIF BADAWI ANCORA IN CARCERE UN ANNO DOPO LA CONDANNA A 1000 FRUSTATE

    Un anno dopo la condanna di Raif Badawi a 1000 frustate e 10 anni di carcere, Amnesty International e la moglie Ensaf Haidar hanno rinnovato l’appello per l’immediato e incondizionato rilascio del blogger saudita.

    “È veramente tragico che sia trascorso un anno intero da quella crudele e ingiusta condanna. Raif Badawi è stato punito in tutta evidenza per aver osato esercitare il suo diritto alla libertà d’espressione” – ha dichiarato Said Boumedouha, vicedirettore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

    “Non basta che le autorità saudite abbiano sospeso la fustigazione pubblica di Raif Badawi nel tentativo di evitare le critiche internazionali e di far dimenticare il suo caso. Fino a quando la sentenza non sarà annullata, rimarrà ingiustamente imprigionato e a rischio di essere frustato, ulteriore macchia sul già tragico curriculum dell’Arabia Saudita in materia di diritti umani. È più che mai il momento che la sua condanna sia annullata e che le autorità di Riad lo rilascino immediatamente e senza alcuna condizione” – ha aggiunto Boumedouha.

    Ensaf Haidar, moglie di Raif Badawi, sta portando avanti dall’esilio canadese un’incessante campagna in favore del marito. In occasione del primo anniversario della condanna, ha inviato un toccante appello alle autorità saudite:

    “Un anno fa, avete condannato mio marito a 10 anni di carcere e a 1000 frustate. Quattro mesi fa, l’avete frustato in pubblico come se fosse uno spregevole criminale. Esprimere le proprie opinioni non è un crimine. Sollecito il re Salman bin Abdul Aziz Al Saud a rilasciare immediatamente mio marito e a porre fine alla sua sofferenza” – ha scritto Ensaf Haidar.

    “Sono estremamente riconoscente per il sostegno internazionale in favore di mio marito. Credo che abbia contribuito a evitare ulteriori frustate. Ma non basta. Raif sta ancora languendo in carcere, trascorre ogni giorno senza sapere cosa accadrà quello dopo. È giunto il momento che sia liberato e che possa unirsi nuovamente alla sua famiglia” – ha aggiunto Ensaf Haidar.

    Amnesty International sta sollecitando la comunità internazionale, e in particolare gli alleati occidentali dell’Arabia Saudita, a fare pressioni su Riad affinché Raif Badawi e altre decine di prigionieri di coscienza ingiustamente in carcere siano rilasciati.

    Ulteriori informazioni
    Il 7 maggio 2014 un tribunale di Gedda ha condannato Raif Badawi a 10 anni di carcere, 1000 frustate e una multa di un milione di rial per aver aperto un forum online per il pubblico dibattito.
    Il 9 gennaio 2015 Raif Badawi ha subito le prime 50 frustate, al termine della preghiera del venerdì, in una pubblica piazza di Gedda. Dopo le proteste internazionali, nelle successive due settimane le frustate sono state sospese su raccomandazione dei medici. In seguito le frustate sono state ulteriormente sospese, senza motivazione, ma rischiano di riprendere.
    Amnesty International considera Raif Badawi prigioniero di coscienza e ha avviato una campagna globale per il suo rilascio, sostenuta da decine di migliaia di persone in ogni parte del mondo.
    Amnesty International Italia ha svolto per 10 settimane consecutive manifestazioni di fronte all’Ambasciata dell’Arabia Saudita a Roma, riuscendo a consegnare a un funzionario della rappresentanza diplomatica saudita oltre 20.000 firme a sostegno del rilascio di Raif Badawi.
    Appello per Raif Badawi:
    http://appelli.amnesty.it/raif-badawi/

    Amnesty International Italia collaborerà all’uscita e alla promozione di una raccolta di testi di Raif Badawi, la cui pubblicazione è prevista a settembre a cura dell’editore Chiarelettere.

    Roma, 7 maggio 2015

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