Il bonapartismo entra nelle fabbriche
di Carmine Tomeo (*)
Le recenti esternazioni di esponenti del governo si schierano apertamente a favore del padronato, rivelando un disegno organico e complessivo di attacco ai diritti dei lavoratori, il cui principale artefice è il Pd. Tale attacco si sta sviluppando in una serie di provvedimenti legislativi, tra cui, oltre al Jobs Act, figurano le norme sulla rappresentanza sindacale e il recente disegno di legge per regolamentare il diritto di sciopero che, di fatto, marginalizza i sindacati conflittuali e introduce una visione bonapartista e autoritaria del rapporto di lavoro. Intanto la sinistra “moderna” dei Civati e dei Vendola si intestardisce nella ricerca di un dialogo con il renzismo, rinunciando a dare prospettiva politica alle lotte di lavoratori e lavoratrici.
Ci sono lotte che hanno di per sé un significato politico, perché, in maniera più o meno chiara, danno idea della fase storica e politica entro la quale si stano svolgendo; o anche perché indicano una direzione di lotta più generale, che va ben oltre il contesto nel quale si svolge, e possono perciò fungere da indirizzo politico più ampio della rivendicazione specifica.
Un esempio di lotta dai chiari contenuti politici in questi giorni viene da Bologna, dove una trentina di lavoratrici e di lavoratori sono in sciopero e bloccano la Mr. Job, azienda del settore della logistica, legata da contratti di appalto al colosso commerciale Yoox. Una lotta che è cominciata circa un anno fa è cominciata circa un anno fa, con lavoratrici e lavoratori a bloccare i cancelli per protestare contro gli abusi in azienda e l’aumento dei carichi di lavoro. Una lotta che prosegue oggi contro il licenziamento di otto lavoratrici che si oppongono al cambio di mansione e di sede, cioè a quella flessibilità tanto pretesa da governo e padroni, che non per caso è uno dei punti centrali del Jobs act.
Il valore politico di lotte come queste lo si evince palesemente dal fatto che la lotta delle lavoratrici della cooperativa Mr Job sta assumendo un carattere nazionale.
Pietro Ichino ha rilasciato un’intervista a Repubblica nella quale, con riferimento alla lotta dei lavoratori della Mr. Job, afferma senza mezzi termini che “bloccare i cancelli e impedire l’ingresso in azienda delle persone è un reato”. E così, dopo la sottosegretaria di Stato ai Beni culturali e al turismo, Francesca Barraciu che aveva considerato un reato l’assemblea sindacale dei lavoratori del Colosseo, il codice penale viene di nuovo evocato da un esponente del Pd nel parlare dell’esercizio da parte dei lavoratori di un loro sacrosanto diritto. Siamo, insomma, di fronte ad un attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori, che non viene velato nemmeno nei termini con i quali se ne parla. Un’offensiva tesa a sottrarre ai lavoratori quei residui strumenti di lotta nel conflitto tra capitale e lavoro.
Lo stesso Ichino fa notare di aver presentato, insieme ad altri senatori del Pd, un ddl (disegno di legge) di cui è già iniziato l’esame in Senato per introdurre la regola che “condiziona la proclamazione dello sciopero al consenso della maggioranza dei lavoratori interessati.” In pratica, se il ddl di Ichino venisse approvato, qualunque sindacato conflittuale che non abbia la maggioranza assoluta non potrebbe avvalersi di uno strumento di lotta fondamentale, qual è lo sciopero. Per i sindacati conflittuali questa regola rappresenterebbe l’abolizione di fatto di un diritto costituzionale.
Una regola che si aggiungerebbe a quella contenuta negli accordi sulla rappresentanza sindacale, dove si prevede che i contratti collettivi sono validi ed esigibili se sottoscritti da sindacati che, nel loro insieme, rappresentino la maggioranza dei lavoratori, ovvero la maggioranza dei membri della Rsu laddove in un’azienda queste siano costituite. In questo senso, la clausola dell’esigibilità dei contratti così sottoscritti rappresenta già una forte restrizione al diritto di sciopero (con la previsione di sanzioni in caso di violazione della clausola), alla quale si aggiungerebbe l’ulteriore restrizione pensata dal Pd con il senatore Ichino.
Insomma, se già oggi, a causa degli accordi sulla rappresentanza è esclusa la possibilità di scioperare, per ottenere condizioni migliori e più favorevoli, su questioni legate ad un contratto sottoscritto da sindacati maggioritari, con l’approvazione del ddl Ichino sarebbe molto difficile scioperare, e quindi esercitare il diritto alla lotta, anche per migliorare le condizioni di sicurezza dei lavoratori in azienda, per reclamare stipendi arretrati o per denunciare abusi. Anche perché, non dimentichiamolo, tutto questo è inserito nel quadro di ricattabilità dei lavoratori disegnato con il Jobs act e quindi di un generale depotenziamento conflittuale dei lavoratori.
Ciò che si vuole ottenere è il completo comando aziendale sui lavoratori, velato da una retorica fintamente democratica e la cui sanzione verrebbe da una maggioranza sindacale compiacente e con lavoratori in stato di sudditanza: è il bonapartismo che entra nei luoghi di lavoro.
Siamo perciò di fronte ad un disegno organico e complessivo di attacco ai diritti dei lavoratori. Un capolavoro politico a favore del padronato il cui artefice politico principale è il Pd. Non il Pd di Renzi, considerato come un’anomalia, ma del Pd in quanto tale, di cui Renzi ed il renzismo sono i prodotti. Un Pd al quale continuano ad aprirsi, parlando di possibili alleanze, sia Vendola che Civati, entrambi convinti della necessità di costruire una “sinistra senza aggettivi”, “moderna”. Una sinistra che ritiene superato, anacronistico il conflitto di classe, perdendo di vista, così, la dimensione reale della fase politica in corso che mostra un’intensificazione dello scontro di classe, condotto dal padronato.
Occorre invece dare priorità alla lotta di classe, dentro la quale far vivere, maturare, arricchire analisi e proposte politiche di trasformazione sociale. Dentro questo rapporto dialettico vivo tra lotta e analisi e progetto di classe, è chiaro che non può essere escluso il momento elettorale, durante il quale cercare convergenze su programmi antiliberisti. Ma se, come avvenuto in questi anni, e come ancora avviene, la fase elettorale rimane, di fatto, un obiettivo strategico della sinistra che va perdendo il suo carattere di classe, allora quei lavoratori in lotta resteranno orfani di un progetto politico intorno al quale ci si possa aggregare ed organizzare nel conflitto, sempre più aspro, tra capitale e lavoro.
(*) ripreso dal numero 46 di «La città futura».La vignetta è di Mauro Biani, già apparsa sul quotidiano «il manifesto».