Il Cile sbatte la porta in faccia agli haitiani

Sono circa 120mila i migranti giunti da Haiti, il paese più povero del Caribe. Adesso le politiche securitarie e anti-migranti del presidente Sebastián Piñera cercano di impedire nuovi arrivi.

di David Lifodi

 Foto: Orlando Milesi/IPS

Era il 2004 quando, per la prima volta, la missione Onu Minustah (Misión de Estabilización de Naciones Unidas) giunse ad Haiti. Militari provenienti da gran parte dei paesi dell’America latina e del Caribe, allora principalmente progressisti, in pratica dettero vita ad una sorta di occupazione caratterizzata da violenze di ogni genere ai danni di una popolazione già poverissima e costretta a sopravvivere tra frequenti disastri naturali e numerose crisi politiche. Gran parte degli haitiani hanno cercato di abbandonare il loro paese, mossi principalmente dalla forza della disperazione nel tentativo di cercare fortuna altrove, soprattutto in Brasile e in Cile.

Dal 2018 una vera e propria ondata di haitiani ha scelto come meta Santiago del Cile, non immaginando che l’arrivo alla Moneda del presidente Sebastián Piñera, noto per le sue posizioni di destra radicale, tra i primi atti del suo governo avrebbe adottato misure volte a bloccare l’immigrazione verso il Cile. Sono circa 120mila gli haitiani che vivono attualmente in Cile, giunti in gran parte dal 2014, intravedendo in questo paese un nuovo polo di sviluppo economico. Fino ad allora i migranti haitiani erano arrivati in Cile tramite visto turistico, ma con Piñera le cose sono cambiate. Per raggiungere il Cile occorre chiedere un visto turistico al consolato cileno ad Haiti, della durata di 30 giorni prorogabile al massimo fino a 90, questo nel tentativo di limitare il più possibile gli ingressi.

Il Consejo Consultivo Nacional de Migraciones, adesso cancellato dal presidente Piñera, aveva stimato che l’età media degli haitiani che giungono in Cile è intorno ai 30 anni. Molti di loro hanno deciso di abbandonare il loro paese soprattutto a seguito del devastante  terremoto del gennaio 2010 (oltre 300mila morti)  e dello spaventoso uragano Matthew abbattutosi sul loro paese nel 2016. Inoltre, gli haitiani sono costretti a fare i conti con il razzismo nei loro confronti, soprattutto per via della pelle nera e per la scarsa conoscenza dello spagnolo poiché le lingue che parlano sono il creolo e il francese. Tutto ciò fa si che il loro inserimento in Cile non sia dei più semplici e, come sempre accade nei confronti dei migranti, la popolazione locale li vede come portatori di malattie, sporcizia e responsabili di episodi di violenza ecc… .

Di fronte alla crisi economica ormai cronica che sta attraversando Haiti, anche all’epoca dei governi progressisti dell’America latina è stato fatto ben poco. Lo dimostrano le parole di Juan Gabriel Valdés, cileno, ministro degli Esteri della presidenta Bachelet tra il 1999 e il 2000 e, a partire dal 2004, capo della Minustah. In una sua intervista rilasciata al sito web Ipsnoticias il 27 aprile 2018 affermava che Michelle Bachelet, quando era alla Moneda, aveva chiesto di mobilitarsi affinché il suo paese aiutasse Haiti. Lo stesso Valdés raccontava di un paese dove una minoranza di persone viveva nel lusso rispetto alla maggioranza costretta a sopravvivere in condizioni subumane, denunciando inoltre che, a seguito del terremoto, la ricostruzione aveva finito per favorire gruppi di potere vicini agli Stati uniti. Ciò che sorprende, però, nella sua intervista, è che Valdés, come Bachelet, non mette mai in discussione la presenza della Minustah, del suo ruolo solo apparentemente umanitario, del “tradimento” di paesi come Brasile, Uruguay, Argentina e dello stesso Cile, tutti all’epoca con presidenze di centrosinistra, che si resero complici, sotto l’ombrello degli aiuti, dell’occupazione militare di Haiti.

Dalla Minustah in poi, nel paese è cresciuta la violenza contro le donne, si è sviluppata la tratta dei minori, i militari si sono resi complici dei peggiori episodi di violenza. Per tutta risposta, l’Onu finora ha riconosciuto solo 114 denunce di abuso e sfruttamento. Nel frattempo, ad Haiti la situazione è andata peggiorando, soprattutto per le politiche neoliberiste dei vari governi succedutisi alla guida del paese, alla corruzione dilagante e all’allineamento del paese agli Stati uniti, sancito definitivamente dal voto favorevole al Tiar, Il Tratado Interamericano de Asistencia Recíproca, contro il Venezuela.

Nel 2014 i migranti haitiani giunti in Cile non raggiungevano le 1.800 unità, oggi sono oltre 120mila, segnale evidente della volontà di ricostruirsi la vita in un altro paese nonostante il razzismo, l’ostilità diffusa a cui si sono aggiunte, di recente, le politiche volte ad impedire l’immigrazione da parte della presidenza Piñera.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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