Il compleanno del Maestro
di Pietro Ratto
Nella mia vita, il Divino Demiurgo ha sempre scherzato in modo così strano, col Tempo… A volte stento davvero a crederci.
Per esempio, non mi ha permesso di incrociare uno degli spiriti a cui mi sono sentito più vicino, in questi miei anni. Uno degli uomini che più ho stimato, che più ho venerato.
Non c’ero, ad esempio, quando è morto. Non mi è stato concesso. Eppure, potendolo fare, per nulla al mondo avrei rinunciato ad accomiatarmi dal suo impareggiabile ingegno, per nulla al mondo avrei rinunciato a stringere per l’ultima volta la sua mano, dolce e tremante, sul confine del suo tempo. Mi hanno detto che se n’è andato sereno, che dal suo sguardo e dai suoi ultimi sussurri, tutti i presenti hanno avvertito il suo volarsene via in piena pace con se stesso. Ma non ne dubito, vi assicuro. Non ne avrei mai dubitato, nemmeno un secondo.
Non c’ero, negli anni della sua vecchiaia. Non mi è stato concesso, per esempio, di salutarlo per strada, quando, ormai con fatica, passeggiava per le vie della sua città tra gli ossequi di mille passanti. Negli ultimi tempi, più volte mi risulta fosse caduto, che lo avessero immediatamente soccorso, che qualcuno si fosse poi affrettato a improvvisare qualche panchina, qua e là, sul tragitto che ogni pomeriggio, sempre più faticosamente, percorreva. Così, solo per permettergli di riposare un po’, di tanto in tanto, durante le sue immancabili passeggiate. Non mi è stato permesso di offrirgli il mio braccio, di donargli il mio riconoscente sostegno. Troppo tempo, troppo spazio ha seminato tra noi, il dispettoso Demiurgo.
Non ho avuto nemmeno la sfacciata fortuna di assistere a qualche sua affascinante lezione, accidenti. Non mi sarei perso una sola parola, un solo sguardo, scaturire da quegli occhi di un azzurro penetrante e profondo. Non mi sarei lasciato sfuggire una sola battuta di quell’Insegnante dalla dialettica così trascinante ed affabile, di quel Didatta così chiaro e preciso, così appassionato e sensibile nei confronti dei suoi mille invaghiti studenti, assetati di lui, del suo sapere, della sua saggezza, del suo amore per il mondo e la vita. Fossi vissuto in quegli anni, nulla mi avrebbe impedito di far la conoscenza di quel Professore che, ogni sera, si annotava cosa consigliare, la mattina seguente, a quel giovane con un mal di gola un po’ troppo insistente, a quella studentessa dallo sguardo triste e sperduto…
Mi hanno detto che non ha mai avuto una donna; la sua timidezza gli ha impedito di farsi avanti, di dichiarare il suo amore. Dicono abbia vissuto con questo rimpianto tutti i suoi anni. In compenso, però, so che amava le persone, gli animali, le piante. Che tutte le primavere aspettava con ansia un passerotto, il quale, puntualmente, tornava a gorgheggiare nel suo fiorito giardino. So che batteva le mani come un bambino, ogni volta che scopriva un nuovo nido di pettirossi sopra la finestra del suo studio. So che amava osservare e riconoscere gli alberi, che adorava i fiori e che, spesso, si prodigava ad offrirli alle signore del suo quartiere.
Avrei fatto carte false per ascoltare il dolce ed onesto rumore dei suoi ragionamenti, negli anni in cui elaborava geniali teorie per uscire dal clima di incertezza in cui Hume – quel diavolo di uno scozzese, che pure adorava – aveva scaraventato la Scienza del tempo. Quanto invidio quell’alunno a cui annunciò l’imminente soluzione del dilemma, escogitata e poi trionfalmente pubblicata senza mai perdere la sua consueta umiltà. Quanto avrei voluto sentirlo raccontare le avventurose fasi dell’elaborazione della sua eminente, inarrivabile scienza della Morale, che una volta messa definitivamente e perfettamente a punto non lo esimé dall’augurarsi, in piena sincerità, che in futuro qualcuno potesse riuscire meglio di lui in quell’intento. Quanto avrei amato sentirlo parlare dei suoi studi sull’ancor sconosciuta sfera dei sentimenti umani, su quel terreno così poco battuto, così impervio ed incerto per un’indagine razionale come quella in cui consiste, da sempre, la Filosofia.
Se fossimo stati giovani assieme, certamente mi avrebbe insegnato a giocare a biliardo, da autentico campione qual era. Ogni giorno poi, di ritorno da scuola, avremmo fantasticato sul nostro futuro, passeggiando in equilibrio sui vecchi tronchi che, qua e là, galleggiavano sulle limpide acque del Pregel. Avremmo fatto a gara a restare in piedi su quelle antiche carcasse abbandonate alla lieve corrente, su quelle ultime vestigia degli alti e nobili abeti dell’isola di Kneiphof, che – quando anche il loro tempo era giunto al termine – si lasciavano cadere e rotolare a valle, per poi tuffarsi tra le braccia del silenzioso fiume. Tra una corsa e l’altra, sulle placide rive di quelle dolci acque, lo avrei ascoltato snocciolare i suoi infiniti progetti, o ripetere magistralmente qualche lezione di Geografia, o di Latino.
Così, per colmare questo immenso baratro che inesorabilmente ci separa, provo spesso a ripetermi ciò che ho imparato da lui. Che Tempo e Spazio, dopo tutto, non esistono. Che sono solo le lenti da cui osserviamo questo cieco, sensuale, fantastico e pazzo mondo che ci avvolge. Ma è così difficile, soprattutto in questi anni, in cui l’inconsistente Tempo sempre più consistentemente mi pesa.
Ho provato, allora, a scrivere ciò che so e che ho apprezzato di lui1. Ma tutti i libri del mondo non valgono un solo metro di passeggiata, in compagnia del Maestro.
No, niente da fare. Non sono riuscito a incrociare quel grande uomo in nessuna fase della sua semplice e profondissima esistenza terrena. Non ce l’ho fatta, punto e basta.
I suoi insegnamenti, però, li tengo sempre con me. Proprio come se lui mi avesse onorato della sua autentica amicizia. Anzi: come se per me fosse stato un generoso fratello. O un affettuoso padre. O un tenero nonno.
Credo ci sia un infinito bisogno di lui, oggi. Me ne accorgo proprio dal fatto stesso che ben pochi sentano più la necessità di ricorrere ai suoi profondi insegnamenti, che ben pochi avvertano, ormai, il desiderio di ascoltare le sue sagge, antiche, attualissime parole. Già: sono certo che ci sia un gran bisogno, oggi, di un uomo come lui.
Oggi, sì. Per questo festeggio, commosso, il duecentonovantunesimo compleanno di questo mio amatissimo Maestro, chiamato Immanuel Kant.2
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1
Cfr. P. Ratto, La Passeggiata al Tramonto. Vita e scritti di Immanuel Kant, Leucotea-EBK, Sanremo, 2014.
2
Immanuel Kant è nato il 22 aprile 1724 ed è morto il 12 febbraio 1804.
Auguri maestro. Complimenti e grazie a chi lo ricorda, soprattutto con così belle parole.