Ucraina: ma l’Europa vuole la pace?
articoli, video, canzoni e immagini di Antonello Repetto, Mauro Biani, Giorgio Bianchì, Jan Oberg, Enrico Euli, Pedro L. Pedroso Cuesta, Francesco Masala, Silvio Marconi, Peppe Sini, Umberto Galimberti, Branko Marcetic, Gigi Eusebi, Jacques Derrida, Francesco Scatigno, Giacinto Botti, Umberto Franchi, Domenico Modugno, Francisco Goya, Diem… A seguire una nota (tecnica) della “bottega” sui nostri dossier.
Antonello Repetto (instancabile) manifesta a Carloforte contro ogni guerra
L’Europa è:
equilibrio, economia in salute, agevolazioni per le imprese in difficoltà, creazione di lavoro , andare oltre le barriere dello spazio e del tempo, accoglienza
L’Europa ama i suoi figli:
(a cura di Francesco Masala)
NO alla Guerra !
Siamo con le vittime di tutte le guerre, non con gli eserciti
UN’ ORA DI SILENZIO PER LA PACE
Ritrovo a Vicenza
Piazza dei Signori
martedì 12 aprile ore 18 – 19
Appuntamenti: in aprile: martedì 12, 19, 26 e in maggio: martedì 3
ECCO il volantino che è stato distribuito a Genova mercoledì scorso, durante la 1036° ora in silenzio per la pace
E basta con ‘ste patrie!!!!!
• “.. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.”don Lorenzo Milani
• ….”Nostra patria è il mondo intero”….Pietro Gori, stornelli dell’esilio, 1885
• “Imagine there’s no countries” (Immagina che non ci siano patrie) ..”Nothing to kill o die for (niente per cui uccidere e morire)John Lennon, Imagine, 1971
• “E che m’importa della tu’ vittoria / perché ci sputo sopra alla bandiera” (canzone popolare)
• “E domani si va all’assalto /soldatino , non farti ammazzar (Ta-pum, canto alpino)
• “Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede/ a ciò che spesso han mascherato con la fede, / ai miti eterni della patria e dell’eroe/ perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità (Guccini, 1965)
La guerra in Ucraina costringe ad abbandonare ogni reticenza. E’ ora di dire che non ci sono idee più dannose per l’umanità che l’idea di patria. Qualunque patria.
Si chiami Ucraina o si chiami Russia. Si chiami Italia o si chiami occidente.
“Prima gli italiani” hanno urlato per anni le destre. Ma perché prima gli italiani? Un lavoratore italiano sfruttato deve forse sentirsi più vicino a Briatore che ad un lavoratore sfruttato francese, africano o americano? Una donna maltrattata o stuprata deve sentirsi più vicina a Giorgia Meloni o ad una donna africana maltrattata o stuprata? I tre lavoratori che muoiono ogni giorno in Italia sul lavoro sono più italiani o più lavoratori sacrificati sull’altare del profitto?
“Se entrano in casa tua….” Sottolineano ogni giorno coloro che pensano di risolvere il conflitto in Ucraina inondando gli aggerediti ucraini di armi, come se nel loro paese non ce ne fossero già abbastanza. L’Italia non è “casa” per tutti i lavoratori, per i disoccupati, per i precari, per gli sfruttati.
3 miliardari italiani sono più ricchi di dieci milioni di poveri italiani . Quei dieci milioni di poveri dovrebbero forse considerarli “compatrioti” ed essere disposti a dare la vita per la stessa patria?
In nome dell’idea di patria migliaia di soldati russi sono stati spediti in Ucraina ad uccidere.
In nome dell’idea di patria i maschi ucraini tra i quindici e i sessant’anni non possono lasciare il paese. Siamo certi che quando salutano mogli e figli siano d’accordo ad andare a combattere “per la patria”?
Iracheni ed afghani ammazzati anche con armi italiane avevano forse aggredito o minacciato la nostra “patria”?
“I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell’Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei. ( Don Lorenzo Milani, l’obbedienza non è più una virtù)
Ogni mercoledì siamo qui dalle 18 alle 19. Unisciti a noi, anche solo per qualche minuto
Info su http://www.orainsilenzioperlapace.org
https://fb.me/e/1AEk3Emsh
scrive Mauro Biani:
“Eh ma fa filosofia”. Certo, è la riflessione, le domande sul mondo, il pensiero, e il confronto libero che ci distingue dalla clava e dalle dittature. Se no clava e dittatura hanno già vinto.
Roma: “Fuori le aziende militari dagli atenei” fermati 4 attivisti Extinction Rebellion
Fermati e portati in questura, questo mercoledì mattina, 6 aprile, quattro attivisti romani di Extinction Rebellion che stamani si sono incatenati all’ingresso del rettorato dell’Univerità La Sapienza per denunciare gli accordi tra l’Ateneo, Eni e il gruppo Leonardo, azienda produttrice di armi in Italia.
L’iniziativa rientrava nell’ambito della giornata di mobilitazione a livello internazionale del gruppo ambientalista ribattezzata ScientistRebellion proprio per il protagonismo del mondo universitario e della ricerca con l’obiettivo di denunciare la gravità dell’emergenza climatica. Anche a Venezia, un gruppo di accademiche e accedemici ha manifestato davanti ai cancelli della raffineria Eni di Porto Marghera. Nove di loro si sono incatenati al cancello d’ingresso, mentre altri attacchinavano articoli e poster scientifici sui muri dello stabilimento.
Viola di Extinction Rebellion Roma. Ascolta o Scarica
Conflitto NATO/Russia in Ucraina – Jan Oberg
La reazione “rettiliana” dell’Occidente si dimostrerà estremamente autodistruttiva.
Dacché è iniziata la Guerra stupida e del tutto inaccettabile della Russia all’Ucraina, non sembra esserci più limite a quel che si può dire dei russi e della Russia e a quel che si può fare per isolare il paese e la sua gente economicamente, culturalmente, socialmente, finanziariamente e mediaticamente. La parola ‘Putin’ spiega tutto come per magia.
Il disprezzo e l’odio devono essere stati latenti nel profondo dell’inconscio collettivo molto a lungo; probabilmente conseguenza in buona parte delle cosiddette “pagelle delle minacce” sistematiche e unilaterali dei media liberi per decenni – senza analisi comparativa con il comportamento e l’eccesso di spesa militare della NATO – e omettendo qualunque prospettiva della storia russa, dei suoi bisogni di sicurezza o la sua s percezione di noi.
Spiegare è stato distorto – da chi? – nell’essere identico a difendere. La conversazione ammutolisce, il contenuto – la palla – sparisce, e non resta che il personaggio, la categorizzazione e il posizionamento: “esperto di Putin”, “pro-russo”, “anti-NATO”, “putinista” o “pagato dal Cremlino”.
L’intollerabile follia di decisioni affrettate irreversibili
Con la classica riserva di poche eccezioni, i governi, i politici, gli scienziati, e i media oggi sono interamente alla mercé dell’emozione. Si possono trasgredire leggi, imporre regolamenti speciali, sottrarre soldi ai poveri del mondo per i profughi ucraini; il mondo degli affari è improvvisamente diventato PR politicamente corretto nelle pubbliche relazioni, con bandiere ucraine e luci giallo-azzurre e l’immediata cessazione di ogni attività in Russia.
La UE dalla sera alla mattina non ha più problemi di risorse con 2-3 milioni di profughi dall’Ucraina, mentre nel 2015 non riuscì a far fronte a un milione e mezzo – perlopiù di musulmani, e questo è importante – delle zone di guerra che gli USA e altri membri NATO devastavano da decenni e molte volte peggio di quanto la Russia abbia fatto almeno finora in Ucraina. La Germania decide – di nuovo senza analisi – di riarmarsi immediatamente con fino a 112 miliardi di US$ annui, mentre la Russia è a 66 miliardi di US$!
Nella frenesia da muta di cani, nessuno vuole rischiare di apparire cauto, moderato o intento a capire quando si tratta dei conflitti sottostanti Russia-NATO. Si denuncia la violenza – della Russia ma non di altri quasi allo stesso livello – e si trascurano del tutto i conflitti sottostanti, fra Russia e NATO e di certo non Russia e Ucraina. L’Ucraina ne è solo il teatro di guerra.
Altre armi e un maggior riarmo – costi quel che costi alla nostra società ad appena meno breve termine, che nessuno analizza – è l’unica risposta che serve. Adesso dobbiamo stare ritti insieme, e lo stiamo. Ma che cosa facciamo se dopodomani ciò risulta in politiche fondamentalmente sbagliate e autodistruttive?
Gli avvenimenti culturali che coinvolgono russi vengono annullati uno dopo l’altro – esposizioni e concerti. La cosa grottesca è che queste misure colpiscono anche artisti russi che hanno denunciato esplicitamente l’invasione russa. In altre parole, li si punisce perché russi.
Ministri che sollecitano scienziati a smettere collaborazioni di ricerca in corso e a non iniziarne di nuove. Si tolgono merci russe dai negozi. Le manifestazioni di pace e simili si rivolgono solo alle ambasciate russe, non a quelle dei paesi NATO, che – quanto mai provocatoriamente – hanno appena espanso la NATO e lasciano cadere nel vuoto tutti i saggi ammonimenti. E, come detto, hanno condotto guerre che minimizzano al confronto quella russa. Facebook ritiene opportuno permettere discorsi d’odio contro i russi – e solo loro, ovviamente – fintanto che nel contesto della guerra in Ucraina.
Mi chiedo fino a che punto i russi e il resto di noi saranno costretti a subire questo ammodernato parallelo all’antisemitismo: russofobia? Mi chiedo quando finirà questa psicosi, quest’isteria di massa con un singolo unto focale; fra generazioni? Mi chiedo se qualcuno nell’Occidente cristiano penserà a [l’evangelista] Luca: “Perché vedi il bruscolo nell’occhio di tuo fratello e non noti la trave nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio; allora vedrai abbastanza chiaro da togliere il bruscolo dall’occhio di tuo fratello”. (Luca 6:41-42).
La china scivolosa dell’illegalità
Adesso sembra esserci una foga orgiastica d’ipocrisia. Tutta quanta la reazione – ogni singola azione in risposta alla guerra della Russia all’Ucraina – è stata decisa in così breve tempo che non c’è stato modo per qualunque tipo di valutazione dell’impatto anche solo a 6 mesi da ora, figuriamoci a un orizzonte di 6 o 30 anni. Non in àmbito nazionale, europeo o globale.
I paesi del G7 stanno congelando 400 miliardi di US$ di debito russo: puro furto. Chiudono lo spazio aereo sicché, per esempio, il ministro degli esteri russo non può volare agli incontri ONU a Ginevra. Il mondo UE/NATO taglia via le importazioni di petrolio e gas dalla Russia e impone innumerevoli sanzioni a qualunque cosa e chiunque possa muoversi in Russia: “Veniamo a beccarvi!” – ha detto il presidente Biden nel suo discorso sullo stato dell’Unione. Che non è il modo in cui ci si comporta sentendosi inferiori a o timorosi di un avversario – il modo in cui si argomenta quando serve aumentare la spesa militare. E l’ex-segretario generale NATO Anders Fogh Rasmussen dice alla danese TV2 che “Putin verrà maciullato dalla NATO. Una volta che si muova, sarà con forza enorme. Bisogna ricordare che gli investimenti che facciamo nella difesa sono dieci volte tanto quelli di Putin”. E adesso gli stra-armati devono stra-armarsi ancor più?
Migliaia di aziende occidentali operanti in Russia affrontano ora una possibile nazionalizzazione governi occidentali e/o le società assicurative le risarciranno dopo che se ne siano andate? Si pensi solo al costo per gli affari tedeschi nei prossimi 10-20 anni – cioè, ben che vada, quanto ci vorrà per sperare in un riavvicinamento alla Russia dopo una cosa così.
I boomerang ci torneranno addosso, possiamo contarci. E quando avverrà così gravemente, la sola risposta si qualunque decisore sarà: Beh, è stata ed è tutta colpa di Putin! Ma questo non trattiene l’alluvione proprio secondo gli standard occidentali.
La NATO ha provocato la Russia con la sua espansione per 30 anni e ignorato dozzine di ammonimenti riguardo a dove si dirigeva. Quando statisti e intellettuali americani solidi, di grande esperienza e di calibro ben diverso da quelli attuali in Occidente – come George F. Kennan, Henry Kissinger, John Mearsheimer, Jack Matlock e William Perry – ammonivano contro l’espansione della NATO e i tentativi di farci entrare l’Ucraina, sono stati semplicemente ignorati; e sono state infrante le promesse di assoluta non espansione NATO fatte a Gorbachev nel 1989-90. Ed è stata installata la Difesa con Missili Balistici che mina deliberatamente la capacità di risposta della Russia a un attacco nucleare. Ed è stata fatta una Guerra in Jugoslavia, trattando da inferiori Russia, ONU e diritto internazionale.
Non son oil solo che ha predetto anni fa che ci sarebbe stata una reazione. Nessuno ci badò. E adesso la Russia ha reagito – stra-reagito. Concordo che ha stra-reagito e ho argomentato che Putin avrebbe potuto fare altro che quest’invasione.
Proporzionalità, castigo collettivo e violazione della libertà d’espressione
Qui siamo di fronte a un dilemma classico e a una responsabilità: posto che A provochi B, è pur sempre B a scegliere il suo modo di reagire e dev’esserne ritenuto responsabile. E’ appunto questo ragionamento sulla responsabilità del provocato per la propria reazione che deve valere anche per la risposta dei paesi NATO/UE all’invasione della Russia.
Non solo la reazione dell’Occidente è tutta una politica d’odio a riflesso condizionato, confina pure con la violazione sistematica del diritto internazionale: non è proporzionata; è un ricorso deliberato a un castigo collettivo proibito dalle Convenzioni di Ginevra e relativi protocolli. E’ tanto più così quando chi la esegue crede di aver a che fare con un dittatore. In una democrazia si potrebbe sostenere che il popolo condivida la responsabilità per le azioni intraprese dai capi perché scelti attraverso libere elezioni. La situazione è ben diversa in quel che la stessa gente chiama dittature, dove essa non può essere tenuta corresponsabile (Non dico che la Russia sia un tal caso, confuto solo il ragionamento di chi crede che lo sia [e come aggravante]).
La preclusione d’accesso ai media russi come RussiaToday e Sputnik è una chiara violazione del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966, articolo 19 sul diritto di cercare informazione liberamente; e dell’articolo 20 per cui ”Qualunque propaganda per la guerra sarà proibita per legge” e ”Qualunque patrocinio di odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento a discriminazione, ostilità o violenza sarà proibita per legge”.”
Ci si deve anche porre il tema: Quale genere di sanzioni soffocanti, durissime, ampie, incondizionate e illimitate come quelle decise da USA e UE – non dall’ONU –può essere eventualmente compatibile col diritto internazionale? Benché sia difficile giudicare quando tali cose effettivamente accadono e debbano venir condannate, l’intera trattazione pubblica tende quantomeno a violare lo spirito di queste clausole di diritto internazionale. E non si può né si deve sbarazzarsene riferendosi ai russi o ad altri che facciano lo stesso. Siamo responsabili delle nostre azioni. L’Occidente stesso attualmente calpesta la clausola internazionale 24/7 sui diritti umani.
Tali dimensioni etico-legali piuttosto ovvie vengono naturalmente del tutto relegate ai margini. Il mastino furente interiore ha la bava alla bocca e nella sua ipocrisia menzognera non ne ha mai abbastanza. Senza badare alla decenza, allo spirito e alla lettera del diritto internazionale.
I boomerang dell’odio – l’autodistruzione dell’Occidente
La pagheremo cara, noi, i nostri figli e i nostri nipoti – con l’autoisolamento e il declino accelerato e la caduta dell’Occidente. E forse la guerra nucleare – deliberate o per errore tecnico e umano. Ed è, si vuole che ricordiamo per sempre, tutto colpa di una persona, Vladimir Putin. Che “noi” non capiamo né prendiamo in considerazione. Gli psicologi dilettanti e i capi-redattori fan la coda nei nostri media per farlo diagnosticare come quasi pazzo. Impazzito il 23 febbraio 2022. In tal modo questo conflitto maledettamente complesso di parecchi decenni con almeno 50 contendenti può essere ridotto a problemi mentali di una persona. E ne segue pure che “noi” non abbiamo alcuna responsabilità di sorta per il fatto che il mondo sia adesso nella situazione esistenzialmente più minacciosa dal 1945. Ci ergiamo contro un Hitler russo – ”Putler” – ed ora nessun trucco è troppo piccolo, nessuna bugia troppo grossa.
Allora dove potrebbe coglierci questa reazione all’invasione russa? Ecco alcuni possibili scenari euristicamente scelti, che i nostri decisori occidentali hanno a mala pena degnato d’un pensiero:
- Più dura la guerra in Ucraina – e dura più di quanto sarebbe altrimenti per i gran quantitativi di armi e munizioni immessici dall’Occidente – maggiore il disastro umanitario e la ricostruzione di un paese che era già il più povero in Europa, gravemente segnato da corruzione. Anche l’odio interno in Ucraina sarà probabilmente più intenso che prima dell’invasione.
- L’infiltrazione probabilmente estesa del neonazismo nella politica e nel settore della sicurezza militare ucraini – forse la massima ovunque – non diminuirà a guerra finita. Tali circoli esigeranno uno status speciale nell’Ucraina future a causa del loro sforzo nella lotta di resistenza. Quale ruolo potrebbero cercare di avere a livello internazionale – diciamo, in movimenti analoghi USA e in paesi europei con meno estremismo d’estrema destra finora? Con gli anni il nazismo potrebbe diffondersi proprio perché i suoi affiliati sono stati considerati eroi nella propria guerra contro la Russia.
- Alla lunga il popolo russo soffrirà tanto per le nostre sanzioni che il mondo potrebbe assistere a un disastro umanitario insostenibile insieme a tutti gli altri problemi di povertà, profughi, cambiamento climatico, etc. E qualcuno comincerà ad accorgersene e dire: Questa povera gente innocente è vittima delle sanzioni occidentali imposte senza limiti di tempo.
- Molti parlano di quali paesi Putin cercherà ora di conquistare; io penso che questo sia uno scenario ragionevolmente probabile: nell’opinione USA, c’è ora un’eccellente opportunità di legare la Russia alla guerra in Ucraina e renderla lunga il più possibile pompando nel paese armi e quant’altro – pur senza parteciparvi. Al tempo stesso, il punto focale è adesso al 100% strangolare l’economia russa e far effettivamente crollare il paese come già la vecchia Unione Sovietica. Ne so troppo poco dell’economia russa per dire se questa sia una possibilità – ma nella prospettiva di Washington è questa la posta in gioco: drenare la forza militare della Russia in Ucraina e minarne la base economica in patria.
Sono invece piuttosto sicuro che la Cina e altri non asceranno che quello accada. Pur così gli USA possono allora calcolare che milioni di russi dovranno fuggire – anche in Europa. E lì finirà il consenso atlantico: la UE incolperà gli USA per aver preteso che la UE imponesse queste sanzioni soffocanti le cui conseguenze umane influiranno solo sull’Europa, non gli USA. - Persone ben più nazionaliste e militariste al Cremlino depongono Putin e si riarmano, come la Germania, del doppio e bombardano le installazioni NATO che la NATO non metterà in discussione come provocatorie. In tal caso, c’è un rischio ben oltre il 50% di guerra nucleare in Europa Centrale.
- Questo conflitto legittimerà qualunque aumento di presenza USA con equipaggiamento pesante quanto più vicino possibile ai confini con la Russia, ciò che peraltro è già in programmazione nei circoli militari USA. Gli USA s’imporranno militarmente e politicamente all’Europa a un livello forse senza precedenti. Frattanto gli USA si saranno militarizzati a morte cercando di fare due guerre fredde simultaneamente – contro la Russia e la Cina – con significativi elementi di riarmo e di politica militarista. La si chiama stra-estensione, e l’economia, come nella vecchia Unione Sovietica, crollerà sotto tale gravame. Perché gli americani stanno scommettendo tanto sull’Europa? Perché lo scopo primario della NATO – sbucciandone tutta la retorica – è assicurare che una guerra con la Russia si combatta su suolo europeo, non USA.
- Con le armi e le munizioni di cui NATO e UE stanno ora farcendo l’Ucraina e dintorni, c’è già di fatto una guerra fra NATO/EU e Russia. Inoltre, con i confini aperti ad ogni sorta di mercenari e avventurieri da tutto il mondo, ci si può tranquillamente aspettare più sofferenza di quanta sarebbe altrimenti necessaria. Gruppi terroristi di vario tipo se ne sentiranno senza dubbio attratti; immagino che i gruppi terroristici che la Russia ha contribuito a sconfiggere in Siria vedranno l’Ucraina come terreno d’oro per vendicarsi sui russi.
- Un altro scenario potrebbe essere che la Russia faccia ragionevolmente bene economicamente con una presenza militare prolungata in Ucraina, si converta a una sorta di economia di guerra ed espanda la cooperazione con Iran, Cina e forse India. Altri fuori dall’Occidente vedranno la stessa scritta sul muro: è futile tentare di avere un rapporto ragionevolmente fiducioso con USA, NATO e UE dopo di ciò. Se possono fare così ai russi, che cosa possono fare a noi? Il Sistema a guida USA con alleati che hanno perso la capacità di pensare e agire indipendentemente dalla volontà USA/ NATO diventerà una periferia del futuro ordine mondiale col passare degli anni.
- La risposta dell’Occidente all’invasione russa ha mostrato che l’unica cosa in grado di unirlo è il fronteggiarsi e l’odio – non è stata capace di connettersi attorno alla crisi finanziaria, al futuro della NATO e alla condivisione degli oneri relativi, ai profughi del 2015 o del Corona-virus, tutte cose che avrebbero potuto condurci più vicini insieme e a operare insieme per il nostro stesso bene e quello dell’umanità. Altro odio reca soddisfazione, solidarietà introversa e rafforza il senso dei valori condivisi. Quindi chi sarà il prossimo oggetto di odio?
- Molto semplicemente: la Cina – ancor più che finora. Abbiamo appena visto l’inizio della Guerra Fredda a guida e finanziamento USA contro la Cina. L’Occidente accuserà la Cina di non parteggiare abbastanza con l’Occidente contro la Russia (e la Cina non lo farà, benché senza dubbio molto contrariata dalla Russia per l’invasione). Sicché la future Guerra gelida al mondo potrebbe essere fra l’Occidente in declino e l’Oriente in ascesa, per semplificare. Il gigantesco riarmo dell’Occidente in “risposta” all’invasione della Russia ne prosciugherà ovviamente l’economia civile – ogni militarizzazione è nociva per tutti eccetto le industrie armiere – e causerà l’erosione col tempo della forza economica dell’Occidente persino più e più rapidamente a causa del pazzo spreco di risorse dovuto al riarmo.
L’umanità, come sappiamo, ha bisogno disperato di cooperazione costruttiva se dovremo riuscire a risolvere i problemi della disuguaglianza, del clima e dell’ambiente qui all’undicesima ora, creare progresso tecnologico e nuove infrastrutture per il bene di tutti, creare una nuova economia verde globale, ridurre il militarismo e abolire le armi nucleari…etc. Tutto ciò – tutto ciò – sarà reso impossibile dall’energia distruttiva dell’Occidente, la sua filosofia di guerra fredda, la conversione a una sorta di economia di guerra, e la totale mancanza di visione da Realpolitik positiva perfino in un orizzonte di 20 anni.
La pigrizia intellettuale, il disprezzo per ‘gli altri’ come varietà di Untermenschen [subumani], l’astio radicato nel midollo, e il cocktail di ipocrisia sono destinati a nuocere al popolo russo. Ma più si persiste in questa ‘politica’, più dannosa diventerà per l’Occidente stesso. La Cina e gli altri non avran bisogno di alzare un dito, ad uno ad uno i frutti cadranno loro nel paniere, e il sistema USA si sgretolerà.
Ma so che un tale ragionamento non ha una chance su mille di essere ascoltato in queste – fatidiche – ore e giornate. Pur così insopportabile, ho sentito di dover dirlo come ho fatto qui.
(Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis)
ma come (ci) si può sentire ? – Enrico Euli
Sono angosciato per una guerra che procede, giorno dopo giorno, a ripetere i soliti ritornelli di ogni guerra, ad avvolgerci nelle sue spire e si espande, coinvolgendoci senza lasciare scampo nell’anima e nei corpi.
Quel che sento e prevedo, purtroppo, è che, se l’Ucraina non perde la guerra e la Russia non prende i territori che ritiene propri, sarà guerra globale tra noi e loro.
E che, se l’Ucraina perde la guerra e la Russia se li prende, l’Occidente non potrà accettarlo e ci coinvolgerà nella ‘sua’ guerra.
Già a questo punto, infatti, le altre vie d’uscita iniziano a chiudersi definitivamente.
E l’escalation in corso non si fermerà, se non temporaneamente e solo per prepararsi a nuovi attacchi, da entrambe le parti.
Ci stanno trascinando, come agnelli sacrificali, verso il rogo che ci incendierà.
Non contiamo nulla come persone, né gli ucraini, né i russi, né noi.
E nessun dio ci può salvare.
Sono pieno di vergogna per quel che vedo e ascolto in giro, in rete e soprattutto in tv.
Il giornalismo libero è quasi ammutolito, scomparso, criminalizzato.
Siamo ormai a bollettini di guerra redatti direttamente dagli eserciti.
Gli inviati sono super-embedded, quelli in studio si sdilinquiscono: la loro lingua giunge a leccare l’intero Atlantico sino alle insanguinate sponde del Potomac.
La Rai offre cartoni animati in lingua ucraina, presenta video creati dalle forze armate ucraine, intervista qualunque vecchietta ucraina si aggiri per le strade distrutte o qualunque violinista si sia rifugiata ad occidente.
Su quel che si dice o si pensa (anche di noi) in Russia nessuna vera notizia.
Solo spettacolo del dolore: per spingerci ad identificazione, commozione, rabbia contro il nemico comune. Modelli fascisti, hitleriani, stalinisti applicati dalla propaganda ‘democratica’ di regime.
Ma anche se avessimo un informazione diversa, le premesse culturali profonde -già rafforzate dalla guerra al virus- appaiono al momento irriformabili, orientate ed impregnate come sono da tempo solo di immunitarismo, securitarismo, paura, oltranzismo polarizzante, cooperazione a competere, formazioni reattive, ossessive, paranoidi.
Resto perplesso quando il governo ucraino insiste per più di un mese a non far sgomberare la gente ed ora permette che invece si affollino in massa nelle stazioni ferroviarie, trasformandole così in bersagli perfetti per chi vuole colpirle ed annientarle.
Resto perplesso che si permetta già ora il rientro a Kiev di molte persone sfollate, senza che vi sia alcuna certezza che i bombardamenti e i blindati non tornino a punirle e sterminarle.
Ma che gioco stanno giocando i servizi segreti? Quali informazioni hanno e propongono ai governi?
Perchè si fanno sempre delle scelte a discapito delle popolazioni ed a vantaggio del martirio di persone e città, ma che vanno a costituire motivo d’orgoglio e gloria di una nazione e di uno stato?
Lasciare gli ucraini nel Donnbass ad attendere patriotticamente le bombe può servire se si vuole questo, ma non ci si può poi lamentare se le conseguenze sono i massacri.
Ma anche i massacri, alla fin fine, servono a bloccare le (finte) trattative ed a giustificare (e stimolare ulteriormente, anche nelle opinioni pubbliche) il fatto che li stiamo armando.
Il fine giustifica i mezzi (e qualunque perdita, se -infine- è anche questa a far guadagnare rispetto ad esso).
Sono davvero triste -ancora una volta- a vedere molti intellettuali di vaglia prendere posizioni che sostengono la guerra.
Come ricorda scorata la Arendt, il nazismo ebbe il sostegno del fior fiore dell’intellighenzia tedesca.
E lo stesso è accaduto in Italia, negli atenei e sui giornali.
Ma se la cultura non attiva la sua forza di mediazione, i suoi ponti, le sue potenzialità di dialogo ed incontro, non sta svolgendo il suo compito (che è la difesa vera, ad oltranza dell’umano e del vivente), ma soltanto collaborando ad ulteriori divisioni e disastri.
Non è cultura: è conformismo, adattamento, rabbia sublimata, irresponsabilità.
Non mi stupiscono i vari Molinari, Giannini, Flores d’Arcais, Mentana, Floris, Galli della Loggia…
Non possiamo aspettarci molto dai liberal a stelle e strisce, quando lo stress cresce e la patina di tolleranza ed equilibrio inevitabilmente va perduta.
Quel che mi rattrista è ascoltare le parole di quelli che potevo sentire come possibili compagni di strada: Erri de Luca, Manconi, Sinibaldi, Lerner e vari altri…
Quelli che ‘pur soffrendo, dobbiamo armarli…’.
Quando ci troveremo nella Terza Guerra mondiale, se saranno onesti, sapranno riconoscere il loro terribile errare di oggi?
Sono già terribilmente stanco: da un mese e mezzo di guerra, eccidi, stragi giornaliere, massacri senza fine. Dopo due anni di pandemia ed infodemia pandemica, stillicidio giornaliero e prolungato di morte e distruzione, angoscia e terrore, cos’altro ci stanno imponendo?
Un anno, due anni, un tempo infinito di telegiornali e maratone di guerra?
Ma ci si rende conto degli effetti psicosociali su una popolazione già devastata, depressa, desocializzata, disorientata, sfinita? Ammazzateci, ma ora, subito…!
Non mi interessa sapere chi ha ucciso chi, chi sono i carnefici e le vittime, chi merita un processo.
Non mi interessano i giudizi popolari, né quelli dell’Aja, che arrivino o meno.
Siamo tutti, da ogni parte, nelle mani di assassini criminali, che ci governano e ci aggrediscono nelle nostre vite, da qualunque parte ci voltiamo, di fronte a noi e alle nostre spalle, a fianco…
Lo ripeto: la guerra è un crimine legalizzato, chi vi partecipa diviene un criminale, anche se ritiene di essere nel giusto.
Abbiamo tabuizzato l’incesto, ma non l’omicidio e la guerra. Come mai?
L’omicidio può ancora accadere, ma -attenzione- non è la guerra: la guerra è pianificata, preparata. Non è una soluzione estrema, irriflessa, autoconservativa come gran parte degli omicidi. E – a differenza dell’omicidio- è legalizzata, giustificata e presentata come soluzione e rimedio.
Fare confusione tra loro è un errore -come vediamo- dalle terribili conseguenze.
Gli omicidi che avvengono in guerra rappresentano i frutti inevitabili della guerra stessa.
Lamentarsene ed esibirli è solo parte del gran teatro allestito da chi la vuole e la ama.
Grecia: I ferrovieri bloccano i treni con i carri armati della Nato
L’esempio dato dai lavoratori aeroportuali di Pisa e dai portuali di Genova è contagioso. Anche in Grecia i ferrovieri si sono rifiutati di far transitare i carri armati della Nato destinati ai paesi nell’Europa dell’Est.
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Attualmente, i veicoli corazzati e i carri armati da combattimento vengono caricati nel porto commerciale greco di Alessandropoli per essere trasportati nei paesi dell’Europa dell’Est della NATO. I lavoratori delle ferrovie non vogliono appoggiare questo e ora sono sotto la pressione degli imprenditori.
Il porto commerciale greco di Alessandropoli è un importante porto mercantile sia per merci che per combustibili, in quanto è vicino ai confini greco-turchi, collegato via mare al terminal portuale e dispone di un aeroporto internazionale. È inoltre collegato alla ferrovia e alle principali autostrade europee.
Dall’inizio degli eventi militari in Ucraina, più di 3.000 soldati statunitensi e centinaia di veicoli corazzati e carri armati sono arrivati al porto greco di Alessandropoli. Da lì continuano in treno verso la Romania e altri paesi dell’Europa dell’Est membri della NATO, riferisce il sito di notizie greco In.gr. L’articolo dice:
«I carri armati statunitensi appartenenti alle forze NATO, scaricati dall’enorme traghetto “Liberty Passion” nel porto di Alessandropoli, sono stati trasportati con la ferrovia attraverso la prefettura di Evros verso i paesi dell’Europa dell’Est. I carri armati delle forze NATO sono stati trasportati con la ferrovia da Alessandropoli alla Romania attraverso la Bulgaria».
Il 1 aprile il media greco Imerodromos ha informato che la prosecuzione della spedizione di veicoli blindati dal porto greco di Alessandropoli fino al confine con l’Ucraina è in pericolo perché parte dei lavoratori della compagnia ferroviaria TrainOSE si sono rifiutati di «appoggiare attivamente l’invio di armi».
Dicono che è stata intensificata la pressione sui lavoratori della fabbrica di macchine di Salonicco affinché si spostino ad Alessandropoli per portare aiuto lì.
Il portale di informazione del Partito Comunista di Grecia (KKE) ha aggiunto che i veicoli blindati statunitensi erano stati consegnati via mare ad Alessandropoli e poi trasportati in Polonia. Secondo il rapporto, il 30 marzo «tre treni pieni si erano già spostati in questa direzione» per mezzo del trasporto ferroviario. Secondo i mezzi di comunicazione, i ferrovieri greci hanno rifiutato di caricare il materiale e «fornire supporto tecnico per il trasporto». Il KKE ha informato che gli imprenditori «hanno invocato il contratto di lavoro in cui si afferma che i lavoratori devono lavorare dove l’azienda ne ha bisogno». Il KKE ha risposto:
«Da circa due settimane, i lavoratori della fabbrica di macchinari di Salonicco subiscono pressioni per farli andare ad Alessandroupoli. Condanniamo le minacce dell’imprenditore contro i lavoratori di TrainOSE che si sono rifiutati di partecipare alla manutenzione dei treni e di trasportare i carri armati della NATO dal porto di Alessandropoli».
Dopo l’intervento dei sindacati locali, le minacce contro i ferrovieri sono cessate. Una dozzina di sindacati locali hanno pubblicato una risoluzione in cui si impegnavano a non partecipare al passaggio della «macchina di guerra» attraverso il Paese, secondo le informazioni di Imerodromos. La risoluzione dice:
«È ridicolo che un datore di lavoro dica: ‘Non dovresti preoccuparti di cosa trasportano i treni, è il tuo lavoro e devi eseguirlo’».
Inoltre, il documento afferma:
«Non saremo complici della macchina da guerra che percorre i territori del nostro Paese. La ferrovia non si utilizza per il trasporto di materiale bellico all’estero.
Le locomotive utilizzate a tale scopo devono rientrare alla loro base. Nessuna minaccia a qualsiasi ferroviere rifiuti di accettare il trasferimento di materiale bellico della NATO dal nostro Paese».
La risoluzione del KKE è stata sostenuta da una dozzina e mezza di sindacati locali, tra i quali si trovavano: “lavoratori dell’industria chimica del nord della Grecia, dipendenti privati della città di Tessalonica, lavoratori dell’edilizia, lavoratori delle telecomunicazioni e della tecnologia dell’informazione, dell’industria alimentare, enti locali e aziende municipali, hotel e servizi pubblici”.
Traduzione per piensaChile: Martin Fischer
da RTDE.Site
Cosa sta succedendo dentro l’ONU? – Gianni Minà
Intervento del rappresentante permanente di Cuba presso le Nazioni Unite, Pedro L. Pedroso Cuesta, per dichiarazione di voto in merito al Progetto di Risoluzione sulla sospensione della Federazione Russa come membro del Consiglio dei diritti umani
New York, 7 aprile 2022
Signor Presidente,
Cuba ha sempre sostenuto e lavorato per un Consiglio dei diritti umani in grado di affrontare le complesse sfide che la comunità internazionale deve affrontare in questa materia, dalla quale nessun paese è esente.
Difendiamo l’obiettività, l’imparzialità e la trasparenza nell’operato di questo organismo, e che le sue procedure e meccanismi operino sulla base di informazioni veritiere e verificate.
Il ricorso alla clausola di sospensione dei membri del Consiglio non favorirà in alcun modo la ricerca di una soluzione pacifica, negoziata e duratura del conflitto in Ucraina; e tanto meno contribuirà a favorire il clima di cooperazione, dialogo e comprensione che deve prevalere nell’affrontare la questione dei diritti umani.
È inoltre irrispettoso che, a pochi giorni dalla conclusione di una sessione ordinaria del Consiglio dei diritti umani, a tale organo non sia stata nemmeno data l’opportunità di pronunciarsi sulla questione.
Signor Presidente,
Da quando è iniziato il processo negoziale per la costruzione del nuovo Consiglio che succederà alla Commissione dei diritti umani, Cuba si è opposta alla clausola di sospensione dell’adesione, per il grave rischio che venga utilizzata da alcuni paesi che privilegiano il doppio standard, selettività e politicizzazione delle questioni relative ai diritti umani.
Tale clausola può essere attivata con il sostegno di soli due terzi dei presenti e votanti; pertanto, le astensioni non contano e non è nemmeno stabilito un numero minimo di voti per l’approvazione della sospensione.
Per essere eletto membro del Consiglio per i diritti umani, un Paese deve ottenere almeno, a scrutinio segreto, il sostegno della maggioranza dei membri dell’ONU, cioè almeno 97 voti.
In tal modo, i diritti di un membro del Consiglio possono essere sospesi per volontà di un numero ancora minore di Stati rispetto a quelli che hanno deciso di eleggerlo e di concedergli tali diritti.
La Federazione Russa, eletta membro del Consiglio per i diritti umani nel 2020 con 158 voti, potrebbe essere sospesa oggi con un numero inferiore.
Quel meccanismo di sospensione, che non ha eguali in nessun altro organismo delle Nazioni Unite, può essere facilmente utilizzato in modo selettivo. Oggi è la Russia, ma domani potrebbe essere uno qualsiasi dei nostri paesi, in particolare le nazioni del sud che non si piegano agli interessi del dominio e che difendono fermamente la propria indipendenza.
Non è un caso che i promotori più entusiasti della clausola sospensiva, quando si negoziava la costruzione del nuovo Consiglio per i diritti umani, fossero nazioni sviluppate con una dimostrata tendenza ad accusare i Paesi del Sud che non si conformano ai loro presunti modelli di democrazia, pur rimanendo complici del silenzio di fronte alle flagranti violazioni dei diritti umani nei paesi occidentali.
Naturalmente, non tutti in questa sala condividono le nostre preoccupazioni sul meccanismo di sospensione, sapendo che le vittime del suo uso selettivo saranno sempre gli altri.
Riuscirà mai questa Assemblea ad approvare una risoluzione che sospenda l’appartenenza degli Stati Uniti al Consiglio per i diritti umani, per fare solo un esempio?
Sappiamo tutti che questo non è accaduto e non accadrà, nonostante le sue flagranti e massicce violazioni dei diritti umani, a seguito di invasioni e guerre predatorie contro Stati sovrani, basate sui loro interessi geopolitici. Hanno causato la morte di centinaia di migliaia di civili, che chiamano “danni collaterali”; milioni di sfollati e vaste distruzioni in tutta la geografia del nostro pianeta, ma questa Assemblea non ha mai sospeso nessuno dei loro diritti.
Sappiamo anche tutti che la clausola sospensiva non sarà applicata allo Stato che ha imposto a Cuba, da più di 60 anni, un blocco criminale economico, commerciale e finanziario che costituisce, senza dubbio, il più prolungato, flagrante, massiccio e violazione sistematica dei diritti umani di un intero popolo e un vero atto di genocidio contro un intero Paese.
È a dir poco ironico che il Paese che si è opposto all’istituzione del Consiglio per i diritti umani e ha chiesto, proprio in questa aula, un voto contrario alla risoluzione che l’ha creata, sia lo stesso che si è attivato ora a suo piacimento, in quanto fatto nel 2011, una delle clausole più controverse di quel forum.
Signor Presidente:
Cuba sarà coerente con le riserve formulate in merito al meccanismo di sospensione dell’adesione, quando nel 2006 è stata adottata la risoluzione 60/251, che istituiva il Consiglio dei diritti umani e la 65/265, del 2011, sulla sospensione dei diritti della Libia.
L’adozione della bozza di risoluzione che stiamo esaminando oggi creerà un ulteriore pericoloso precedente, in particolare per il Sud.
Non basta loro imporre risoluzioni contro i paesi e mandati selettivi. Ora intendono fare un nuovo passo avanti verso la legittimazione della selettività e la formazione di un Consiglio dei diritti umani sempre più al servizio di alcuni paesi, come lo era all’epoca l’estinta e screditata Commissione per i diritti umani.
Per i motivi esposti, la delegazione cubana voterà contro il progetto di risoluzione A/ES-11/L.4
Grazie mille.
Ucraina: attualità di un esempio di mistificazione storiografica – Silvio Marconi
La rappresentazione dei collaborazionisti ucraini del nazifascismo come “patrioti nazionalisti in lotta contro il regime bolscevico” è alla base della loro trasformazione in eroi nazionali avvenuta dopo il colpo di stato voluto dagli USA e dalla NATO a Kiev nel 2014; alle già preesistenti parate di reduci e discendenti dei volontari della XIV Divisione Waffen SS “Galizien”, formata da collaborazionisti ucraini e benedetta dal clero cattolico di Leopoli, e di altre formazioni collaborazioniste come quelle di Stepan Bandera, iniziate subito dopo l’indipendenza ucraina del 1991, si sono aggiunte dopo il 2014 dediche di strade e piazze e scuole, lapidi, francobolli commemorativi, cerimonie ufficiali che onorano tali soggetti, fatto denunciato fra gli altri dal centro Simon Wiesenthal, dalla FIR (Federazione Internazionale dei resistenti, di cui fa parte anche l’ANPI, Associazione Nazionale dei Partigiani d’Italia) e rimarcato ancora recentemente dal Presidente dell’ANPI Pagliarulo sulla rivista online dell’Associazione, “Patria Indipendente”.
Antony Beevor sottolinea come “The whole lebensraum plan in the East required cleansed areas and a complete subservient peasantry”1, caratteristiche della strategia hitleriana già esplicitate nel Mein Kampf. Edito fin dal 1925-26. E’ del tutto ridicolo quindi sostenere che i collaborazionisti ucraini potessero essere effettivamente convinti che l’arrivo delle truppe hitleriane nell’estate 1941 potesse creare le basi per una “ucraina indipendente da Mosca” e che quindi il loro entusiastico collaborazionismo potesse avere tale risultato; ciò vale in particolare per le leadership intellettuali e politiche di quelle forze.
La tesi, ovviamente cara anche alle forze neonaziste presenti sia nelle truppe ucraine (i battaglioni prima parte della Guardia Nazionale e poi integrati nelle Forze Armate come l’”Aidar”, il “Dnipr” e quell’”Azov” che ha adottato il simbolo che fu di quella Divisione SS “Das Reich” autrice della distruzione di 648 villaggi bielorussi e ucraini e, successivamente, sul fronte occidentale della strage di Oradour), sia fra i ministri ucraini, si basa su un misto fra falsificazione e confusione anche relativa al termine “nazionalismo”, supportato purtroppo anche da studiosi occidentali come Giorgio Cella, che nel suo Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi (Carocci Editore, Roma, 2021) utilizza impropriamente il termine “nazionalismo” per le realtà dei secoli XIV e XVI, mentre tutti gli storici più accreditati, come Braudel, Mathiez, Lefebvre, Barbero, ecc., sottolineano talora da decenni che è del tutto improprio applicare un concetto come “nazionalismo”, figlio in realtà della Rivoluzione Francese e inscindibilmente legato a quello di “cittadino”, ad epoche storiche anteriori, quando esistevano solo dinastie e sudditi e quando il termine stesso “nazione” aveva solo un significato di “comunità di persone che parlano la stessa lingua” (a questo si riferiscono ad esempio le intitolazioni di tante chiese romane a “nazioni” di pellegrini) e non possedeva alcun senso connesso con lo Stato o la sua rivendicazione. Dire che esisteva un “nazionalismo ucraino” nei secoli XIV o XVI equivale a classificare retrospettivamente e falsamente i partecipanti alla rivolta di Spartaco nella Roma Repubblicana come “proletari” o, peggio, a riversare su di loro i concetti degli “spartachisti” tedeschi del 1918.
Anche evitando di approfondire tale confusione concettuale storiografica voluta, basterà accennare ad alcune caratteristiche del collaborazionismo ucraino per evidenziare la falsità dell’attribuzione ad esso di un carattere patriottico-nazionalista. Infatti è evidente che i “patrioti”, se possono talora partecipare a lotte di altri popoli contro comuni nemici o anche solo per comuni ideali2, non si fanno mai strumento di oppressione o aguzzini verso altre genti al servizio di un potere straniero occupante la loro stessa terra; così non è nel caso dei collaborazionisti ucraini degli hitleriani ed in altri casi consimili3. Oltre a partecipare attivamente al massacro di Ebrei, Polacchi, prigionieri di guerra sovietici, partigiani antinazifascisti ucraini, reparti di collaborazionisti ucraini parteciparono alla repressione della rivolta di Varsavia, della sollevazione antinazista slovacca alla repressione antipartigiana in Friuli, Veneto e Piemonte, come narrato anche dall’ex-partigiano Giorgio Bocca; così, ad esempio, mentre nella 41° Brigata Garibaldi (comandata da Eugenio Fassino ed operante fra la Val Susa e la Val Sangone) caddero il 18.07.1944 come partigiani due soldati sovietici di origine ucraina fuggiti dalle grinfie dei nazisti ed entrati nella formazione, Denyanovic di Kirovgrad e Kochanovsky di Odessa, Rolando Besana, comandante della formazione partigiana “Italia Libera” veniva ammazzato a S. Anna di Piossasco il 23.4.1944 proprio da una formazione di SS ucraine.
Va anche ricordato inoltre che non solo la realizzazione da parte dei gruppi di sterminio degli ebrei nazisti detti einsatzgruppen in Ucraina vide la partecipazione entusiastica delle formazioni collaborazioniste ucraine, come a Baby Yar, dove in tre giorni vennero massacrati oltre 33.000 donne, bambini e uomini ebrei, non solo i seguaci ucraini di Bandera sterminarono in Volinia e Galizia oltre 100.000 fra Ebrei e Polacchi4. Ma che sotto la direzione delle SS tedesche, migliaia di collaborazionisti ucraini rappresentarono la quasi totalità dei guardiani dei campi di sterminio nazisti di Majdanek, Sobibor e Treblinka ed operarono in altri lager, incluso quello della Risiera di San Sabba a Trieste.
La mistificazione che presenta quei criminali ucraini collaborazionisti dei nazifascisti invasori come “patrioti nazionalisti” trova più facile attenzione in un’Italia che non ha mai voluto fare fino in fondo coi crimini commessi dalle sue truppe nelle invasioni mussoliniane dell’Etiopia, della Grecia, dell’Albania della Yugoslavia e, appunto, della Russia. Se storici come Barbero, Del Boca, Conti e molti altri sottolineano in rapporto all’insieme di quei crimini (e va ricordato che in base alla sentenza di Norimberga contro i leaders nazisti già la stessa guerra di aggressione è crimine in sé) come la favola degli “Italiani brava gente” contrapposti ai “cattivi Tedeschi” sia del tutto ingiustificata e si colleghi alla totale impunità postbellica per tutti i criminali di guerra italiani (mai processati da tribunali italiani, mai estradati alle nazioni che ne avevano denunciato i crimini, mai processati da tribunali alleati!), è Schlemmer5 che definitivamente svela la artificiosità di tale mistificazione proprio riguardo alla “campagna di Russia” italiana. Una mistificazione che centra l’attenzione solo sulla ritirata drammatica italiana dal Don e non narra cosa facessero le truppe italiane nel lungo periodo di occupazione di vastissime aree dell’URSS, soprattutto nella prima fase della Campagna, ossia quando erano lo CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) e non la più nota e vasta ARMIR (Armata Italiana in Russia), e quando occupavano tra l’altro proprio il Donbass, avendo il comando piazza a Stalino (odierna Donetsk). A questa mistificazione hanno contribuito sia film come la coproduzione italo sovietica “Italiani brava gente” del 1964, di De Santis (ma il titolo in russo era diverso: “Venivano da Ovest”!), sia soprattutto la memorialistica di tanti reduci (soprattutto ufficiali, date le condizioni culturali dell’epoca), sia la volontà di non affrontare il fatto che gli Italiani parteciparono alla feroce repressione antipartigiana, commisero crimini di guerra autonomamente, per i quali i Sovietici chiesero invano l’estradizione di 12 alti ufficiali, e consegnarono tanti Ebrei ai nazisti tedeschi ed ai collaborazionisti ucraini ben sapendo che fine facessero, come testimoniano sia tante lettere di militari italiani che gli stessi rapporti della polizia politica fascista.
Tantomeno si affronta il fatto che la partecipazione italiana all’invasione dell’URSS non fu richiesta da Hitler, che anzi preferiva vedere gli italiani impegnati in Africa Settentrionale e non nelle steppe russe, ma domandata piagnucolosamente da Mussolini ad Hitler e che nei mesi precedenti il giugno 1941 il regime fascista aveva commissionato agli uffici tecnici del Ministero dell’Agricoltura uno studio per sfruttare le fattorie collettive ucraine (con l’invio di 5.000 gestori italiani) per rapinarne il grano, non tenendo conto dell’ovvio fatto che i tedeschi mai avrebbero permesso una partecipazione al loro saccheggio. Si era perfino ventilata l’ipotesi di usare 6.000 prigionieri di guerra sovietici con esperienze minerarie (sostanzialmente del Donbass) come forzati nelle miniere di carbone sarde, ma Mussolini scartò l’ipotesi per paura che “contaminassero di bolscevismo i Sardi”!…
“COL SANGUE DEGLI ALTRI”. UNA LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – Peppe Sini
“Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt”
(Aen., I, 462)
“Certo non l’arte di dominare sugli altri,
non l’arte di governare, di uccidere, di accumulare terra e capitale”
(Virginia Woolf, Le tre ghinee)
“Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.
La voce che li comanda
e’ la voce del loro nemico.
E chi parla del nemico
e’ lui stesso il nemico”
(Bertolt Brecht, Poesie di Svendborg, traduzione di Franco Fortini)
“Noi umanizziamo cio’ che avviene nel mondo e in noi stessi solo parlandone,
e, in questo parlare, impariamo a diventare umani.
I greci chiamavano filantropia questa umanita’ che si realizza nel dialogo dell’amicizia,
poiche’ essa si manifesta nella disponibilita’ a condividere il mondo con altri esseri umani”
(Hannah Arendt, L’umanita’ in tempi bui)
“Ora lo vedi quanto sono scaltri:
fanno gli eroi col sangue degli altri”
(Omero Caiami Persichi, Lettere dalla clausura)
Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,
ogni persona senziente e pensante prova un’angoscia profonda e un indicibile orrore per la guerra e le stragi di cui e’ vittima la popolazione ucraina aggredita dal folle e criminale governo russo.
L’umanita’ intera dovrebbe fare quanto e’ in suo potere per far cessare questa barbarie assassina, per salvare tutte le vite che e’ possibile salvare, per far tacere le armi e ripristinare la pace, il diritto, la civile convivenza.
Ma mi sembra che talune decisioni del governo italiano da lei presieduto, invece di promuovere la pace e salvare le vite, contribuiscono ad alimentare la guerra scatenata dal folle e criminale governo russo.
E mi sorprende, addolora ed angoscia che lei non se ne avveda.
Dovrebbe essere evidente cio’ che occorre innanzitutto fare: far cessare al piu’ presto la guerra; cercare di salvare tutte le vite che e’ possibile salvare; promuovere negoziati di pace.
E concretamente ed immediatamente: inviare ingenti, ingentissimi aiuti umanitari alla popolazione ucraina; soccorrere, accogliere, assistere tutte le persone in fuga dalla guerra (e dovremmo farlo anche con le persone in fuga dalle altre guerre, dalla fame, dai lager libici: invece di farle morire nel Mediterraneo); adoperarsi per disarmare il conflitto (le armi sempre e solo servono a uccidere gli esseri umani, la guerra in quanto tale e’ un crimine contro l’umanita’, il piu’ grande dei crimini contro l’umanita’); promuovere nei luoghi del conflitto azioni di interposizione internazionale non armata e nonviolenta (sollecitando ovviamente anche l’intervento dell’Onu a tal fine); favorire il dialogo tra le parti in conflitto (giacche’ ogni guerra deve pur concludersi con un negoziato, e prima si negozia prima cessano le stragi), sostituendo le parole alle armi, le ragioni alla violenza, il ragionevole compromesso alle barbare uccisioni, facendo cessare il fuoco il prima possibile e facendo riscoprire a tutti i soggetti coinvolti la semplice verita’ che sono esseri umani quelli che vengono uccisi, e che uccidere degli esseri umani e’ il crimine piu’ mostruoso che degli esseri umani possano commettere.
Il governo italiano si sta impegnando per queste iniziative di pace e di solidarieta’, di soccorso e di accoglienza, di azione diplomatica ed interposizione nonviolenta per salvare tutte le vite che e’ possibile salvare? Ahime’, piu’ no che si’. Quel poco di buono che sta facendo in materia di aiuto umanitario e’ di gran lunga sopraffatto da quel tanto di folle e scellerato che sta facendo in favore della prosecuzione e dell’estensione della guerra, e quindi per ineludibile conseguenza in favore della prosecuzione e dell’estensione delle stragi, favoreggiando di fatto la criminale follia del governo russo.
E valga il vero.
*
Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,
1. l’irragionevole e sciagurata decisione delle cosiddette “sanzioni” non solo non ha fermato la guerra, non solo non ha inceppato la macchina delle stragi, non solo non ha dissuaso il governo russo dal perseverare nella sua furia onnicida, ma ha invece imposto nuove sofferenze e ulteriore poverta’ alle classi popolari, alle persone e alle famiglie gia’ piu’ sfruttate, rapinate, emarginate ed oppresse del nostro stesso paese. E non solo: l’annunciata decisione di tornare alle centrali a carbone e addirittura alle centrali nucleari (decisione che il governo pretenderebbe di imporre come esito necessitato delle predette “sanzioni”), danneggia gravemente ed irreversibilmente l’umanita’ intera e l’intero mondo vivente.
Sembra che il governo non si renda conto della sofferenza e della poverta’ di milioni e milioni di italiane ed italiani che queste decisioni stanno precipitando in ulteriori sofferenze, ulteriore impoverimento, ulteriore paura, umiliazione ed angoscia.
Sembra che il governo non si renda conto della sofferenza e della poverta’ di miliardi di esseri umani che sono gia’ oggi vittime della crisi climatica, delle devastazioni ambientali e della fame (oltre che delle guerre e dei regimi antidemocratici e fin terroristi che si servono anche di armi italiane per esercitare la loro disumana violenza sulle popolazioni inermi).
2. La folle e criminale decisione di inviare armi in Ucraina, in flagrante violazione dell’articolo 11 della nostra Costituzione, fa entrare l’Italia sia de jure che de facto nella guerra in corso, cosi’ accrescendola ed estendendola, cosi’ contribuendo a nuove uccisioni e nuove devastazioni, cosi’ cooperando a provocare nuove stragi , nuovi orrori e nuove indicibili sofferenze alla popolazione ucraina gia’ cosi’ crudelmente martoriata.
Sembra che il governo non si renda conto delle concrete conseguenze di tale decisione. Tale decisione non solo fa aumentare le violenze e le uccisioni in Ucraina, ma contribuisce a provocare un allargamento della guerra con il conseguente pericolo di una guerra nucleare che puo’ distruggere l’intera umanita’.
Nessuno ha il diritto di mettere in pericolo l’esistenza dell’intera umanita’. Occorre fermare la guerra scatenata dalla criminale follia del governo russo, non favoreggiarla e farla crescere fino ad esiti apocalittici. Peraltro il fatto che l’Italia dopo anni ed anni non abbia ancora ratificato il trattato dell’Onu per la proibizione delle armi nucleari, e’ tragicamente sintomatico della perdurante, assurda cecita’ del governo e del parlamento del nostro paese.
3. Ed e’ grottesca e insensata la decisione di espellere alcuni diplomatici russi dal nostro paese, mentre invece occorrerebbe valorizzare il piu’ possibile tutti i canali diplomatici per arrivare il prima possibile al negoziato che solo puo’ porre termine alla guerra e alle stragi.
Sembra che il governo non si renda minimamente conto di quali siano le uniche vere vie praticabili e le uniche vere azioni virtuose necessarie per porre fine alla guerra e alle stragi di cui essa consiste.
4. Nulla aggiungo sull’insensatezza del riarmo; sulla delittuosita’ dell’aumento delle spese militari quando invece il nostro paese ha estremo bisogno di incrementare le spese sociali; sull’abissale stoltezza di scelte energetiche che contribuiscono all’avvelenamento e alla desertificazione della biosfera.
5. E nulla aggiungo sul triste e tristo fatto che l’Italia non si e’ minimamente dissociata dalle decisioni scellerate degli Stati Uniti d’America che mirano a devastare ed impoverire l’intera Europa per meglio asservirla, della Nato terrorista e stragista che degli Usa e’ braccio armato, dei vertici razzisti e bellicisti dell’Unione Europea; decisioni che contribuiscono a far massacrare la popolazione ucraina, che contribuiscono a trascinare l’umanita’ in una esiziale guerra mondiale, che impoveriscono e ancor piu’ opprimono tutti i popoli europei, che accelerano la catastrofe ambientale.
6. Aggiungo invece che non so se lei abbia mai avuto occasione di averne notizia, ma nella legislazione del nostro paese gia’ da molti anni e’ entrata – anche se purtroppo finora senza le necessarie e urgenti realizzazioni pratiche – la “difesa civile non armata e nonviolenta”. E’ questa l’alternativa alla guerra, e’ questa la risorsa che puo’ salvare l’umanita’ dalla catastrofe: cosi’ come occorre un’immediata conversione ecologica dell’economia, occorre un’immediata conversione nonviolenta della politica della difesa e della sicurezza comune.
Occorre sostenere la resistenza nonviolenta della popolazione ucraina all’invasione, alla guerra, alle stragi.
Occorre sostenere l’opposizione nonviolenta della popolazione russa alla guerra e al regime.
Occorre sostituire alla “difesa armata” che non difende ma uccide, la difesa popolare nonviolenta che salva le vite e riconosce e rispetta ed invera i diritti umani di tutti gli esseri umani.
La nonviolenza – scrisse Aldo Capitini – e’ il varco attuale della storia.
*
Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,
lei ha piu’ volte dichiarato di volersi impegnare per la pace. Parole benedette.
Ma purtroppo cio’ che sta facendo il suo governo e’ l’esatto contrario di cio’ che occorre fare: il suo governo sta operando per la guerra, per la prosecuzione ed estensione delle stragi.
Lei ha ripetutamente espresso il suo orrore per le stragi e il vivo desiderio che cessino al piu’ presto. Parole benedette.
Ma purtroppo cio’ che sta facendo il suo governo e’ l’esatto contrario di cio’ che occorre fare: il suo governo sta operando per la guerra, per la prosecuzione ed estensione delle stragi.
Lei ha piu’ volte chiesto che tacciano le armi e si avviino negoziati di pace. parole benedette.
Ma purtroppo cio’ che sta facendo il suo governo e’ l’esatto contrario di cio’ che occorre fare: il suo governo sta operando per la guerra, per la prosecuzione ed estensione delle stragi.
*
Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,
credo che anche lei converra’ che non e’ possibile opporsi al male aggiungendo altro male, che non e’ possibile opporsi alla violenza aggiungendo ulteriore violenza, che non e’ possibile opporsi alle stragi provocando altre stragi.
Credo che anche lei sia consapevole del fatto che la popolazione ucraina ha estremo bisogno di aiuti umanitari che salvino le vite, non di ulteriori armi che provocano sempre e solo ulteriori stragi ed ulteriori devastazioni.
Tutti i retori esaltatori della guerra, tutti i governanti che armano la guerra, occultano la tragica realta’: la tragica realta’ e’ che ogni nuovo giorno di guerra altri esseri umani vengono massacrati in Ucraina. La tragica realta’ e’ che chi non si adopera per la pace e’ complice dei massacri. La tragica realta’ e’ che i governanti ben protetti si esibiscono in pose gladiatorie e in discorsi roboanti dinanzi alle telecamere nei loro eleganti salotti, e la popolazione ucraina inerme muore sotto le bombe.
Tutti i retori esaltatori della guerra, tutti i governanti che armano la guerra, cooperano all’uccisione di esseri umani inermi e innocenti, contribuiscono alla prosecuzione del massacro del popolo ucraino vittima della criminale follia del governo russo, trascinano l’umanita’ verso l’abisso.
*
Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,
La prego con tutto il cuore di voler riconsiderare quanto il suo governo ha fatto e sta facendo, e di revocare al piu’ presto le decisioni piu’ sciagurate.
Mi permetta di ripeterlo una volta di piu’: dobbiamo far cessare immediatamente il massacro del popolo ucraino; dobbiamo far cessare immediatamente la guerra onnicida; ogni vittima ha il volto di Abele; salvare le vite e’ il primo dovere.
*
Augurandole ogni bene, voglia credermi il suo fraterno, sincero ed angosciato amico
Peppe Sini, responsabile del “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo
Viterbo, 10 aprile 2022
Il ‘whitewashing’ dei nazisti non aiuta l’Ucraina – Branko Marcetic
Gli stessi media occidentali che una volta documentavano e condannavano l’estrema destra ucraina, ora la minimizzano e addirittura riabilitano i suoi leader – inclusi i veri nazisti. Tale apologetica non sta facendo alcun favore agli ucraini o alla loro lotta contro l’aggressione della Russia.
Da quando il presidente russo Vladimir Putin ha lanciato l’invasione della vicina Ucraina un mese fa, qualcosa di curioso è successo con la copertura mediatica occidentale sull’estrema destra del paese. In mezzo all’ondata globale di indignazione per la guerra di aggressione della Russia, che Mosca ha giustificato con il pretesto della “denazificazione”, la stampa occidentale – fissata negli ultimi cinque anni sulla prospettiva del fascismo e dell’estrema destra in patria – ha iniziato a minimizzare la questione.
L’estrema destra ucraina, ci dicono ora, è trascurabile, non diversa o più influente delle sue controparti in Occidente e irrilevante grazie alla sua mancanza di successo elettorale. Qualsiasi affermazione del contrario è mera propaganda putiniana. Come potrebbe non esserlo, quando il presidente del paese, Volodymyr Zelensky, è egli stesso ebreo? Per quanto riguarda il nome più famoso del movimento – il neonazista Reggimento Azov che è stato ufficialmente incorporato nella Guardia Nazionale Ucraina nel 2014 – beh, Azov, ci dicono, non è più di estrema destra.
Con il Cremlino che fa del suo meglio per dipingere l’intera popolazione dell’Ucraina come fascista mentre riduce scuole e ospedali in macerie, si può capire perché questa linea di argomento possa essere allettante. Ma la narrazione emergente è infondata – un tradimento della missione del giornalismo di raccontare la verità, e che rischia di mettere a tacere il dibattito su un movimento pericoloso e violento la cui esistenza è altamente rilevante per le questioni della politica occidentale verso la guerra. Ci sono modi migliori per sostenere gli ucraini che lottano per ripristinare l’indipendenza e la sicurezza del loro paese, piuttosto che fingere che l’estrema destra locale non sia un pericolo – o addirittura riabilitare i veri nazisti…
Ucraina: L’Occidente ha spianato la strada alla Guerra con menzogne – Jan Oberg
Mentre viene scritto quest’articolo, aumenta la tensione attorno alla formazione di un conflitto più esteso in Ucraina, che se esplode in vera guerra – Dio non voglia! – avrà come ragione principale una triade di gravi menzogne disseminate sul versante NATO.
Le bugie si usano nella cosiddetta politica di sicurezza quando qualche progetto militarista non riveste alcun (buon) senso per persone intelligenti, quando i motivi reali devono essere celati mentre si sta preparando la guerra o quando il cancro sociologico chiamato il Complesso Militar-Industrial-Mediatico-Accademico (MIMAC) e le élite che lo gestiscono cercano di spremere ancor più spese militari dai propri contribuenti.
Si mente per fabbricare un nemico che possa giustificare quel che si farà arricchendosi. Con oltre 40 anni di esperienza nella politica di sicurezza in generale e nelle sue attuazioni NATO/USA in particolare, ne so anche troppo – scusate l’arroganza – e mi sono fatto troppo cinico da credere che quanto accade accada per l’autodifesa, la sicurezza o la pace.
Qualche esempio sbrigativo di bugie grossolane sparate al mondo e rivelatesi tali empiricamente – con i vari bugiardi tutti ancora in circolazione:
- Negli anni 1990, il presidente jugoslavo Milosevic era il nuovo Hitler d’Europa (Bill Clinton) e programmava il genocidio degli albanesi in Kosovo.
- I soldati di Saddam Hussein gettavano fuori i neonati dalle incubatrici a Kuwait City.
- L’Afghanistan doveva essere distrutto a causa dell’11 settembre [2001].
- Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa.
- La Guerra globale al terrore a guida USA[GWOT] ha riguardato la riduzione del terrorismo.
- Il tentativo di cambio di regime in Siria orchestrato da USA/NATO fra il 2011 e il 2016 era dovuto esclusivamente all’improvvisa sadica “uccisione della propria gente” del dittatore al-Assad.
- Gheddafi stava per massacrare tutti gli abitanti di Benghazi.
- Il conflitto a proposito dell’Ucraina fu iniziato dalla “aggressione” di Putin alla Crimea, senza nulla che la precedesse.
- L’Iran ha sempre complottato e mentito per acquisire armi nucleari.
- C’è da dire solo male di Russia e Cina e…
Si può continuare per conto proprio
Le Tre grosse bugie riguardanti l’Ukraina:
- I leader occidentali non hanno mai promesso a Mikhail Gorbaciov e al suo ministro degli esteri Eduard Shevardnadze di non espandere la NATO verso est. Né hanno mai dichiarato di prendere sul serio gli interessi di sicurezza sovietici/russi attorno ai propri confini. E perciò ciascun paese dell’ex-Patto di Varsavia ha diritto di associarsi alla NATO se lo decide liberamente.
- Il conflitto ucraino cominciò per l’improvvisa aggressione di Putin all’Ucraina e l’annessione della Crimea.
- La NATO ha sempre la porta aperta ai nuovi membri, pur senza tentare d’invitarli o trascinarli dentro in cerca di espansione. Ciò capita perché i paesi est-europei dal 1989-90 hanno volute associarvisi senza alcuna pressione da parte NATO. Il che vale anche per l’Ukraina.
Riguardo alla prima menzogna, si ascolti o si legga cosa dice il segretatio di stato US, Antony Blinken, il 7 gennaio 2022.
Egli presenta una serie di accuse e bugie empiriche sulla politica russa e i suoi comportamenti, omettendo come prevedibile ogni menzione del semplice fatto che bisogna essere in due per un conflitto e trascurando il saggio consiglio di Eric ”prima di accusarmi, guardati un momento”. Il suo linguaggio corporeo e parlata a mo’ di mitra rivelano che sa bene di star mentendo. Si Noti di passaggio che i giornalisti presenti fanno solo domande di “comprensione”. Tutto quanto smacks l’URSS appena prima del suo crollo. Why is it so evident that he lies?
La TFF ha riprodotto due brani essenziali dall’Archivio della Sicurezza Nazionale all’Università George Washington con una documentazione irrefutabile che a Gorbaciov furono effettivamente date tali assicurazioni – “a cascata”, come detto nell’articolo – da tutti i più influenti leader occidentali alla fine del 1989 e financo nel 1990:
“NATO Expansion: What Gorbachev heard” – e
“NATO Expansion: The Budapest Blow Up 1994”
Leggeteli e ne sarete sconvolti. Troverete che hanno molte note e nell’insieme non meno di 48 documenti storici originali. Per esempio, eccone uno dei 48 che c’informa sull’allora Segretario Generale NATO, Manfred Woerner: opinione e dichiarazione:
“Woerner aveva fatto un discorso molto considerate a Bruxelles nel maggio 1990 in cui sosteneva: “Il compito principale del prossimo decennio sarà costruire una nuova struttura di sicurezza europea, comprensiva dell’Unione Sovietica e delle nazioni del Patto di Varsavia. L’URSS avrà un importante ruolo da giocare nella costruzione di tale sistema. Se si considera la sua attuale situazione balorda, rimasta praticamente senza alleati, si può ben capire il suo giustificato desiderio di non venire espulsa dall’Europa”.
Ora a metà del 1991, Woerner risponde ai russi affermando che egli stesso e il Consiglio NATO sono contro l’espansione – “13 dei 16 membri NATO condividono questo punto di vista” – e che egli parlerà contro l’associazione di Polonia e Romania alla NATO con i capi di queste nazioni come ha già fatto con quelli d’Ungheria e Cecoslovacchia. Woerner sottolinea che “Non dovremmo permettere […] l’isolamento dell’URSS dalla comunità Europea”.
Questa è giusto una della “cascate” di dichiarazioni e assicurazioni fatte ai russi all’epoca. Oltre 30 anni fa 13 su 16 membri erano contro l’espansione NATO perché rispettavano la crisi russa e i suoi legittimi interessi securitari! Oggi – 2022 – la NATO ha 30 membri!
Il segretario di Stato USA, i suoi consiglieri e chi gli scrive i discorsi non sanno nulla dell’Archivio della Sicurezza Nazionale lì accanto? Dobbiamo davvero credere che non abbiano la più pallida idea delle condizioni e dei dialoghi alla fine della prima Guerra Fredda? Se così, dovrebbero dimettersi o essere silurati per la propria incredibile incompetenza.
Se non è così – se conoscono il contenuto di questi documenti storici – Blinken, consiglieri e scrittori dei discorsi sanno di mentire.
La seconda menzogna lo è per omissione. Antony Blinken e quasi tutti i politici occidentali, compreso il Segretario Generale NATO, e i media mainstream semplicemente omettono che l’Occidente ha tentato un cambiamento di regime a Kyiv nel 2014 e che Putin vi reagì annettendo la Crimea.
I moti di [piazza] Maidan ebbero luogo nel febbraio 2014, la sparatoria dei cecchini nel febbraio ’20. La Russia formalmente annesse – o accettò l’autodeterminazione – della Crimea il 18 marzo. I complessi disordini istigati e finanziati dall’Occidente furono orchestrate dai dirigenti UE, USA e NATO, come si può leggere in articoli o libri di gente che ne sa come Gordon M Hahn e Richard Sakaw (“Linea del fronte Ucraina: crisi nelle terre di confine”), Stephen Cohen, Henry Kissinger e molti altri qui.
Per dirla schietta, il tema del conflitto era il tentativo occidentale di far sì che l’Ucraina si schierasse non con la Russia bensì con le istituzioni occidentali, la UE e, poi, la NATO. Un problema sarebbe stato le minoranze russofone, i sondaggi d’opinione sull’associazione alla NATO non a favore e, più ancora, che la Russia non avrebbe mai accettato l’Ucraina nella NATO – ma ben volentieri uno stato neutrale intermedio – né che la grossa base militare russa in Crimea, in affitto per oltre 30 anni, finisse per essere situata in un paese NATO.
Tutta questa politica del cambio di regime sotto il governo Obama fu un’ideaccia indifferente e proprio stupida anche alla luce delle vecchie promesse fatte a Gorbaciov. Ma chiaramente non lo si può ammettere adesso, otto anni dopo. Per nasconderla USA/NATO devono incolpare della attuale situazione la Russia, solo la Russia, che non ha annesso la Crimea per qualche buona ragione; nulla di ciò che “noi” abbiamo fatto ha preceduto quella mossa o potrebbe spiegarla.
Come la bugia sulle promesse mai fatte a Gorbaciov e questa omissione sul cambio di regime a filo-occidentale in Ukraina, ci si deve chiedere: sono davvero così disperati e politicamente ingenui da credere che noi non ricordiamo e non sappiamo fare 2 + 2?
Adesso, alla terza bugia. Asserita ripetutamente e in più vasto contesti dal Segretario Generale NATO Jens Stoltenberg qui:
La NATO in quanto alleanza ha enormi risorse per influenzare le opinioni in potenziali stati membri. Contrariamente al suo discorso sulla porta aperta, lo statuto NATO parla solo di invitare nuovi membri, non di tenere la porta aperta a chiunque volesse entrarci.
Dovrebbe essere ormai ben noto – ma non lo è – che verso la fine degli anni 1990, Vladimir Putin chiese di entrare nella NATO – ma non avvenne, giusto, sig. Stoltenberg? E perché no? Perché Putin – la Russia – voleva essere invitato come membro uguale anziché starsene ad aspettare che il Montenegro fosse diventato membro, per dirla papale papale. La NATO decise di chiudere la porta alla richiesta di Putin.
Questa storia – fantastica – viene raccontata da un ex-segretario generale NATO, George Robertson; Non c’è ragione di credere che non sia credibile o solo una voce. O, magari che Putin non facesse sul serio.
E che pensiero eccitante: la Russia nella NATO! Ma allora chi avrebbero poi dovuto incolpare Stoltenberg e Blinken – e tutto il resto del Complesso Militar-Industrial-Mediatico-Accademico? Come legittimare allora l’armamentario permanente NATO e la sua spesa militare 12 volte superiore a quella russa?
Stoltenberg deve sapere di mentire quando dice che la NATO ha una porta aperta. Non per la Russia. Non ha neppure orecchie aperte per le legittime preoccupazioni di sicurezza della Russia. Ma sa come non accetterebbe mai quello che chiede alla Russia di accettare. Ecco una citazione del 14 gennaio 2022, che documenta i due pesi e due misure, l’opinione di sé eccezionalista degli USA:
“Gli USA agiranno ‘decisamente’ se la Russia schiera sue truppe a Cuba o in Venezuela.”
Il Consigliere alla Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti presso la Casa Bianca, Jake Sullivan, ha definito l’idea una “spacconata nel commento [del] pubblico” e ha fatto notare che lo schieramento d’infrastrutture militari russe in LatinAmerica non fosse un punto di trattazione al recente Dialogo Russia-USA sulla Stabilità Stategica a Ginevra. “Se la Russia dovesse muoversi in tale direzione, la tratteremmo con decisione” ha detto rispondendo a una domanda di un giornalista.
L’opposizione USA a uno stazionamento di truppe russe nelle Americhe può suscitare qualche aggrottamento di fronte a Mosca, che si è ripetutamente lamentata delle forze armate USA in dislocamento presso la frontiera occidentale della Russia.” (Russia Today, 14 gennaio 2022)
Infine, Stoltenberg va molto fiero dell’addestramento e assistenza generosi della NATO a suoi potenziali membri. Prima che vengano ammessi devono sottostare a ogni tipo di riforma e accettare sostegno pratico, militare e politico. E qual è il vero scopo di tutto quell’addestramento e generoso aiuto? Lo dice Stoltenberg nel video:
“…Rende anche più forti le società dell’Ukraina e della Georgia. Società così resilienti, ben funzionanti sono anche meno vulnerabili a interferenza della Russia.”
In semplice lingua da realpolitik: l’obiettivo è sconnettere paesi dall’influenza della Russia, programmarli per essere membri NATO, dopodiché decidono in completa libertà di chiedere l’ammissione.
Ricordiamo, la NATO non trascina mai dentro i suoi membri. La NATO ha installato il suo uficio a Kyiv nel 1994. E qui si vede come Olga Stefanishyna, vice-primo ministro d’Ukraina, al quartier generale NATO con Stoltenberg, parlando coerentemente della NATO come degli “alleati” dell’Ucraina e aspettandosi ogni sorta di garanzie, sostiene – ovviamente su Foreign Policy – che l’Ukraina ha bisogno di un percorso chiaro verso lo status di membro NATO considerando l’aggressione russa.
Si accumulano aspettative aggiungendoci una serie di bugie quando la Realtà emerge come un treno in senso contrario nel buio di un tunnel. E si ha la ricetta perfetta per la guerra – fredda o calda. O tutt’e due.
SI (“NON”) VIS PACEM PARA BELLUM – Se (“non”) vuoi la pace, prepara la guerra
Si è cambiato poco dai romani in duemila anni…
Gigi Eusebi
Ho e abbiamo partecipato a “Stop the War, now!”, iniziativa di inizio aprile contro la guerra indetta da 153 realtà dell’associazionismo italiano, che ha coinvolto 221 attivisti e in loco decine di volontari internazionali. Si è andati nell’ovest dell’Ucraina, nella zona di Leopoli, quella che costituisce il corridoio preferenziale dei convogli umanitari di mezzo mondo e da dove stanno passando milioni di profughi, per portare cibo e medicine (32 tonnellate), “caricare” circa 200 persone, tra cui parecchi disabili, che vengono ora insediate in strutture di accoglienza in tutta Italia. Ma soprattutto, nelle intenzioni, siamo andati per incontrare e coinvolgere realtà locali impegnate per la cessazione del conflitto ed effettuare una marcia condivisa, sabato 2 aprile, per le vie della città. Sulla falsariga di analoga iniziativa a Sarajevo nel 1992 ai tempi dei massacri dei civili nella ex-Jugoslavia, ci si è proposti di testimoniare, là dove il conflitto si svolge, l’opposizione a questa come a tutte le guerre, senza parteggiare per gli uni o per gli altri, pur con azioni concrete di solidarietà con la gente.
Come si legge su diversi social emergono anche perplessità su qualche aspetto dell’iniziativa, peraltro messa lodevolmente in piedi in pochissimi giorni: poco coinvolgimento dei locali nella marcia, interlocutori istituzionali ucraini più propensi all’armamentismo che al pacifismo (la parola “mir“, pace, non l’abbiamo sentita pronunciare da nessuno), una conduzione gestita da gruppi di area cattolica (capofila la Giovanni XXIII di Rimini) con una lettura forse più assistenziale che socio-politica di questa complessa vicenda.
Ma pur con qualche dubbio si è realizzato qualcosa di concreto e speriamo utile, che apra la strada al moltiplicarsi di iniziative internazionali più strutturate anche su quel territorio, visto che tutto lascia pensare che i tempi della guerra non saranno brevi. Mentre gli intellettuali da salotto, soprattutto in Italia, pontificano “verità” assolute su tutti i canali TV generalisti, spiegando ogni dettaglio e dando soluzioni come se masticassero la materia da sempre e non fossero anche in questo caso costretti a “marchette” al soldo delle lobby editoriali di riferimento, oltretutto dopo due anni in cui quasi tutti loro (e molti di noi) erano diventati esperti virologi (sempre marchettari e sempre da salotto…).
E’ stata una prima risposta alla banale domanda che spunta sempre quando scoppia una guerra, almeno quando i “cattivi” sono gli altri e non l’Occidente, considerando che di guerre oggi nel mondo, occultate, ce ne sarebbero 57: “dove sono i pacifisti?”.
Sono qui, dentro il terreno del conflitto, seppur un po’ ad ovest. Si pensava che la zona di Lviv (Leopoli) fosse meno a rischio del sempre più lungo elenco dei luoghi focolaio di battaglie, massacri, del risiko indecente dei signori della guerra. Ma spesso suonano le sirene anche da queste parti, specie di notte, allertando su possibili e imminenti bombardamenti in arrivo. Su e giù dalle scale dei bunker approssimativi sparsi qua e là, con una funzione che appare a volte più psicologica, di sensazione apparente di protezione, che reale. Le prime volte anche noi ci si precipitava uscendo dai bozzoli dei sacchi a pelo nella palestra allestita a mega dormitorio, mentre dopo un po’ si tende a fare come la gente del posto, ovvero continuare a vivere, o almeno provarci. Questo segno di “anestetizzazione”, pur alimentato da una propaganda interna che spinge invece verso sentimenti di resistenza e lotta, o addirittura di “vittoria”, come alcuni pensano o gridano, mi è parso generalizzato. Che si provi a gestire nel modo più normale possibile la quotidianità, che si mettano insieme velocemente quattro cose da infilare nei bagagli prima di fuggire dall’Ucraina, pensando o sperando di tornare in tempi brevi, o che si entri o esca dai bunker in attesa che le sirene cessino di suonare, tutto ciò all’apparenza viene gestito con postura calma, una calma con faccia triste, quasi rassegnata.
Nella manifestazione ho sfilato con la bandiera No Tav. Ero in dubbio se portare in Ucraina la bandiera palestinese, alla fine ho pensato che il tema delle grandi opere inutili ed energivore fosse più inerente alle battaglie contro le cause delle guerre, gli interessi di chi le fomenta e agisce per non farle finire, gli effetti collaterali, come il disastroso sperpero di denaro pubblico per armamenti e grandi opere. E poi tanti sembrano ignorare colori e storia della bandiera palestinese. Per dire, al Friday for Future di Torino del 26 marzo scorso, mentre marciavo con i colori della Palestina qualche ragazzo aveva chiesto di che squadra di calcio fosse quella bandiera…
Non è comparso alla fine il vessillo No Tav nelle foto “ufficiali” con gli altri striscioni durante la marcia a Leopoli, in quel momento è stato chiesto di toglierla, con due giustificazioni, tra il sorriso amaro di alcuni di noi: “cosa c’entra” e “nessuna bandiera di partiti“.
As-vidanja
Seguono flash su quanto visto in zona condivisi con Anna Spena, di Vita
Paura e speranza
L’A4 è un’autostrada che attraversa la Polonia da ovest ad est, traccia il percorso che arriva ai valichi di frontiera con la Germania e che da Cracovia porta al confine ucraino. Nelle ultime settimane è intasata da camion e minivan che la percorrono ad ogni ora. Sui mezzi, a caratteri cubitali, le stesse diciture: Humanitarian Aid. Gli aiuti umanitari servono ai confini ad est, i più prossimi all’Ucraina. I confini sono un’altra fotografia della guerra, non si vedono le armi e non si sentono i bombardamenti. A chi popola questi confini il rumore delle bombe rimbalza nelle orecchie sotto forma di paura, la stessa che li ha fatti scappare dalla loro casa. Dov’è casa? Casa non c’è più. Qualcuno si chiede se è rimasta in piedi. Tutti hanno una domanda non espressa: “Che succede a chi è rimasto lì?”
Przemyśl Główny
A Przemyśl Główny arrivano le persone che sono riuscite a salire su un treno in partenza da una città ucraina. Come Olga, scappata con la madre: «mio padre è rimasto a Dnipro a combattere». Alla stazione di Przemysl la guerra ha un odore di corpi ammassati. E la faccia dei bambini – imbacuccati con abiti da neve – e degli anziani. I primi messi in salvo dalle madri, scappare significa la possibilità di una vita nuova, hanno dalla loro il tempo. Gli anziani? No, il tempo per una vita nuova non ce l’hanno. Stanno fermi e pazienti, con disperazione composta, osservando un’altra guerra insensata. Guerra con le sembianze di donne come Alina, Ania, Katia, due sorelle e la madre. Non parlano inglese. Ania ha 13 anni, dice: «Solo ucraino e russo». Su russo si ferma, fa una smorfia tra il beffardo e il rassegnato. «Siamo arrivate da Dnipro. Vogliamo andare a Praga, vogliamo vivere sicure. Papà? Papà no, non poteva partire». Sui passaggi di confini gli uomini sono assenti, chi ha dai 18 ai 60 anni non può lasciare l’Ucraina, deve combattere
Confine di Korczowa
Cosa vuoi fare in Germania? “Vivere”. Liuba ha 40 anni. È scappata da Kirovograd. Nelle mani stringe il cellulare, sta guardando i video della sua città bombardata. Sei partita da sola? «No», gira la testa e indica il cane, un cane grande. Tutti, o quasi, hanno un animale con loro. Da casa non hanno portato niente, non c’era tempo. L’animale è il legame con una quotidianità che non esiste più. Liuba è seduta su una brandina del Korczowa dolina centrum in Polonia, la frontiera più vicina è a pochi minuti. Chi può l’attraversa in macchina, ma la maggior parte non può, varca il confine a piedi. Nei pressi un centro commerciale che dal 24 febbraio si è trasformato in un campo di accoglienza. Le brandine riempiono corridoi e stanze che prima erano boutique
Border Crossing Dolhobyczon Uhrynow
E’ una frontiera secondaria. Un militare saluta moglie e figlia. La bambina tiene un cagnolino al guinzaglio e con la mano libera regge una gabbietta con dentro un coniglio. Arriveranno in Polonia insieme ad oltre due milioni di profughi. Marito e moglie si stringono forte, la testa di lei incastrata nel collo di lui. Lei lo abbraccia con gli occhi chiusi. Non chiusi e basta, proprio stretti, impegnati nello sforzo di non voler guardare. Il valico di frontiera, e subito dopo i banchetti delle ong, che distribuiscono pasti caldi. Sono stati installati dei bagni chimici, l’attesa è lunga. Per uscire dall’Ucraina le persone rimangono in fila anche dieci ore. Su entrambi i lati della strada che porta a Lviv si intravedono periferie abitate, piccole case alternate a palazzoni grigi. Dalle finestre si illuminano poche luci accese. Sulla strada uno slalom tra cavalli di frisia, sacchi di sabbia, fuochi improvvisati nei bidoni per riscaldare dal freddo polare i checkpoint. La nebbia appesantisce l’aria
Lviv (Leopoli)
Lviv è una città caotica, trafficata. Eppure silenziosa, con le orecchie tese ad ascoltare i rumori del cielo. La guerra qui è posizionata di profilo, un profilo a due facce: paura e speranza. All’inizio dell’invasione si pensava che la parte ovest del paese fosse più sicura, sarebbe stata risparmiata dai missili. Invece no. Le sirene hanno iniziato a suonare anche qui, con la luce e con il buio, non danno scampo, un suono senza ritmo, lungo. Le sirene di notte spaventano di più, di giorno non c’è tempo. La città è diventata un centro di accoglienza a cielo aperto, frenetica, la paura nascosta dall’agire. Poco più di 700mila abitanti che in queste settimane hanno superato il milione, per ospitare gli sfollati. Le persone hanno appreso che se non c’è un bunker dove nascondersi è meglio stare tra due muri, il primo per attutire le schegge e il secondo per proteggersi. I missili sono caduti una mattina all’alba, diretti all’aeroporto civile e un pomeriggio, hanno colpito un deposito petrolifero. Si dorme con le scarpe vicino al letto e con i documenti a portata di mano.
Lviv dista 70 km dal confine polacco. Città strategica, da qui passano gli aiuti umanitari internazionali per le migliaia di profughi che ogni giorno, senza sosta, arrivano in città. Ma passano anche gli aiuti per le città sotto assedio. Il condizionale in guerra è d’obbligo, non c’è nessuna certezza che i camion riescano a raggiungere altre zone. E’ il profilo della paura, ma nella bruttura della guerra, davanti alla sua insensatezza, l’umanità traccia anche altri percorsi. A Lviv quello della speranza
Stazione ferroviaria
La stazione di Lviv è un agglomerato di persone che si muove in due direzioni: chi scende dai treni che ancora riescono a partire dalle città sotto assedio e chi si mette in fila, si trascina quel poco che è riuscito a prendere da casa, per salire su un altro treno, o su un bus, per uscire dal paese. I biglietti non si pagano, un’attesa pienissima, le persone riempiono lo spazio, sembra non esista altro. Ma è un’attesa ordinata, nessuno sgomita per essere il primo. Tutti condividono lo stesso dolore. Ci sono centinaia di volontari, indossano casacche gialle, molti sono giovani, spesso sfollati da altre città, hanno deciso di rimanere qui. Indirizzano le persone su dove passare la notte, distribuiscono pasti caldi, vestiti. In città ogni casa privata, ogni luogo pubblico, ogni scuola è diventata un hub che raccoglie, smista, prepara pacchi.
Prima della guerra la palestra Sport Life, poco distante dalla stazione, aveva mille clienti. Le sale dove si giocava a panel ora sono rifugi per la notte. Lilia ha 50 anni, ne dimostra meno. Non si fa fotografare, dice che non si è mai vista così sfatta e brutta. «Bruciava tutto, bruciava la mia casa, sono morte le persone con le bombe». «Chiudete i cieli, chiudete i cieli», piange. Traduce per lei Yevgeniy, 41 anni, lavora con WeWorld. Prima dell’inizio della guerra era consulente di un’azienda di servizi ingegneristici. Alto, longilineo, ha sempre una sigaretta in bocca: «Non fumavo da sei anni. Il 6 marzo hanno bombardato Irpin, la mia città. Alle due di notte sono uscito fuori, tutto era esploso, ho riacceso una sigaretta. Ho una moglie e una figlia adolescente, siamo scappati a Kyïv, dopo due giorni sono venuto a Lviv, mia moglie e mia figlia sono in una città sicura». Ma l’aggettivo sicuro in Ucraina non esiste più. A Leopoli l’accoglienza è un incastro tra privati e istituzioni. Il direttore del Palazzo delle Arti ha chiamato a raccolta i suoi: “Togliamo i quadri dalle pareti, questo diventa un sito umanitario”. Al posto dei dipinti ci sono fogli dove è indicato il contenuto degli scatoloni. Tre piani, uno dedicato ai farmaci, uno al cibo a lunga conservazione e ai kit igienici, un altro alla scarpe e ai vestiti. 300 volontari coprono i turni h24. I rifugiati si mettono in fila, si registrano, chiedono quello di cui hanno bisogno. «Poi ci sono i pacchi per il fronte», dice Julia, 18 anni, prima della guerra era una studentessa di economia. «Distribuiamo fino a 500 pacchi al giorno, andremo avanti, fino alla fine».
Chiese rifugio
Nella chiesa Giovanni Paolo II, tra centro e periferia della città, si accolgono i profughi, soprattutto mamme con bambini. Natalia ha 39 anni, tiene in braccio Anastasia, due mesi e mezzo e Johor, di nove anni. Arrivano da Kyïv «non so dove voglio andare, non so cosa voglio fare. Mio marito è rimasto a combattere, mi chiama e dice che sparano tutti i giorni. Dove vado? Dove andiamo?». Tamara ha 69 anni, è scappata da Charkiv: «i miei figli non sono voluti venire via. Mi hanno messo su un treno e sono arrivata qua. Aspettiamo la… vittoria, ma chiudete i cieli, ci cadono le bombe in testa»
Nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo, una delle più importanti della città, la gente prega composta. Nella navate sono esposti i cartelloni con le immagini dei morti nel conflitto. «I nostri eroi», dice Margherita. Manda un bacio verso le immagini. Insieme al marito aveva appena comprato un terreno, dovevano costruire una casa più grande. «Adesso è tutto fermo. Ma questo non è il tempo della ricostruzione, adesso dobbiamo avere la forza per sopravvivere». Tutte le mattine un minuto di silenzio per le vittime.
Medyca e Rzeszów
A Medyca, valico di frontiera vicino a Lviv, le persone passano il confine anche a piedi. Ma dall’Ucraina escono sempre meno rifugiati. Spostarsi dalle città sotto assedio è diventato difficile.
Alla stazione di Rzeszów, un’altra stazione di confine, due fratelli sono fermi nell’ingresso. Non si capisce chi sia il maggiore, uno spinge la sedia a rotelle dell’altro. La disparità esiste anche nella tragedia: una cosa è scappare con le tue gambe, un’altra è farlo su una sedia a rotelle. Una cosa è provare a metterti in salvo con tuo fratello, un’altra è farlo mentre spingi la sua sedia a rotelle.
E’ una prima accoglienza senza risparmio di energie, ma bisogna pensare a quello che sarà dopo, se ci sarà un dopo… Domande che dobbiamo farci adesso
ESISTONO GLI STATI CANAGLIA? – LA RAGIONE DEL PIU’ FORTE
di Jacques Derrida
Muovendo dal problema della sovranità dal ruolo attuale degli stati Uniti e dagli sconvolgimenti causati dalla globalizzazione, il filosofo francese Jacques Derida si chiede cosa diventino i concetti di “ragione” e di “democrazia”, come anche quelli di “politica”, di “guerra” e di “terrorismo” allorché il vecchio fantasma della sovranità statale perde la propria credibilità. Le Monde Diplomatique pubblica in esclusiva un significativo passo di Voyous, il suo nuovo libro.
L’abuso di potere è costitutivo della stessa sovranità. Cosa significa, in relazione ai rogue states – i cosiddetti “stati canaglia”? Che gli Stati uniti sono in condizione di denunciare questo o quello stato, di accusarlo di violazioni o inadempienze in materia di diritto, di perversioni o deviazioni. Ora, gli Stati uniti – che sostengono di portarsi garanti del diritto internazionale e prendono l’iniziativa di guerre, operazioni di polizia o mantenimento della pace, perché hanno la forza per farlo – questi stessi Stati uniti, così come gli stati loro alleati nelle suddette azioni, sono, in quanto sovrani, i primi rogue states.
Quanto ai dossier di prossima costituzione (peraltro utili e illuminanti) istruiti ad esempio in base alle requisitorie di un Noam Chomsky o di un William Blum e ai lavori dedicati ai rogue states: senza che ciòsuoni offesa a queste opere coraggiose, vi si avverte purtroppo la mancanza di un pensiero politico coerente, in particolare riguardo alla storia, alla struttura, alla “logica” del concetto di sovranità. Da questa “logica” apparirebbe che a priori, gli stati in grado di dichiarare guerra ai rogue states, nella loro più legittima sovranità, sono essi stessi rogue states, e abusano del proprio potere. Laddove c’è sovranità, c’è abuso di potere, e quindi rogue state. L’abuso è la legge dell’uso: è questa la legge stessa, la logica di una sovranità che può regnare solo indivisa. Più precisamente – poiché a regnare non arriva mai se non in maniera critica, precaria, instabile – la sovranità non può che tendere, per un tempo limitato, a un regno indiviso. Non può che tendere all’egemonia imperiale. Usare di questo tempo vuol già dire abusarne – come sto facendo, da quel rogue che sono io stesso, in questo momento. Perciò non esiste stato che non sia tale, in potenza o in atto. Lo stato è rogue, è canaglia. E i rogue states sono sempre in numero maggiore di quanto si pensi. Più stati canaglia, in che senso?
Apparentemente, alla fine di questa circonvoluzione, si sarebbe tentati di rispondere “sì” alla domanda posta nel titolo: “La ragione del più forte. Esistono gli stati canaglia?” Ebbene sì, esistono, ma sono in più di quanto si pensi o si dica, e sempre di più. E qui abbiamo un primo ribaltamento.
Ma eccoci all’ultimo ribaltamento, il più recente. L’ultimissimo giro di un volteggio, di una rivoluzione o di un revolving door – una porta girevole. In che cosa consiste? Si sarebbe portati a pensare di primo acchito – ma io resisterò a questa tentazione tanto facile quanto legittima – che se gli stati sono tutti canaglie, se la “canagliocrazia” è la grazia stessa della sovranità statale, se tutti sono canaglie, nessuno lo è più. Fine delle canaglie. Laddove i rogues sono sempre in più di quanto si dica o si voglia far credere, non esistono più rogues. Ma al di là di questa necessità, in qualche modo intrinseca, di porre fuori uso il senso e la portata del termine, dal momento che più sono e meno sono, e poiché il fatto che esistano “più canaglie”, “più stati canaglia” significa due cose tanto contraddittorie, sorge un’altra necessità di porre fine a questa definizione, di circoscrivere il suo tempo, di delimitare l’uso tanto frequente, ricorrente, ossessivo che ne hanno fatto gli Stati uniti e taluni dei loro alleati.
Ecco la mia ipotesi: da una parte, quest’epoca è iniziata alla fine della cosiddetta guerra fredda, durante la quale due superpotenze superarmate, membri permanenti del Consiglio di sicurezza, avevano creduto di poter far regnare l’ordine nel mondo attraverso un equilibrio del terrore nucleare interstatale. D’altra parte, benché quella locuzione continui ad essere usata di tanto in tanto, la sua fine è stata, più che annunciata, confermata teatralmente, in forma mediatico-spettacolare, l’11 settembre: data indispensabile per riferirsi economicamente a un evento al quale non corrisponde – e non senza ragione – alcun concetto; un evento peraltro costituito strutturalmente (in ragione di quella sua potenza spettacolare e mediatica, calcolata da entrambe le parti) come evento pubblico e politico, e dunque al di là di tutte le tragedie delle vittime, davanti alle quali non si può che inchinarsi con una compassione senza limiti.
Con le due torri del World Trade Center è crollato, visibilmente, tutto il dispositivo (logico, semantico, retorico, giuridico, politico) che rendeva utile e significativa la denuncia dei rogue states, tutto sommato rassicurante. A breve distanza dal crollo dell’Unione sovietica (“crollo”, poiché rappresentava una delle premesse, o una delle fasi preliminari del crollo delle due torri) Clinton inaugurò di fatto, fin dal suo arrivo al potere, la politica delle rappresaglie e sanzioni contro i rogue states, dichiarando alle Nazioni unite che il suo paese avrebbe usato come meglio credeva l’articolo eccezionale (art. 51) e aggiungendo testualmente: gli Stati uniti agiranno “multilateralmente se possibile, ma unilateralmente se necessario”.
Questa dichiarazione è stata ripresa e confermata più d’una volta: da Madeleine Albright quando era ambasciatore presso le Nazioni unite, o da William Cohen, segretario alla difesa. Lo stesso Cohen annunciò che contro i rogue state, in buona sostanza, gli Stati uniti erano pronti a intervenire militarmente in via unilaterale ogni qualvolta sarebbero stati in gioco i loro interessi vitali.
Cito testualmente ciò che intendeva per interessi vitali: “ensuring inhibited access to key markets, energy supplies, and strategical ressources” (assicurando, ove inibito, l’accesso ai mercati chiave, alle forniture energetiche e alle risorse strategiche) e quant’altro fosse stato definito interesse vitale da una “domestic jurisdiction”, cioè da una giurisdizione interna. Sarebbe dunque bastato che al proprio interno, senza bisogno di consultare nessuno, gli Stati uniti considerassero gli imperativi dei loro interessi vitali una buona ragione per attaccare, destabilizzare o distruggere qualsiasi stato la cui politica fosse in contrasto con questi interessi.
UN SOVRANO UNILATERALISMO
Per giustificare questo sovrano unilateralismo, questa indivisa sovranità, questa violazione – per dar ragione alla ragione del più forte – della sedicente democraticità e normalità istitutiva degli Stati uniti, bisognava decretare che un determinato stato, ritenuto aggressivo o minaccioso, agisse da stato canaglia. “A rogue State – come ha detto testualmente Robert S. Litwak – is whoever the United States say it is” (Uno stato canaglia è chiunque sia così definito dagli Stati uniti). E ciò nel preciso momento in cui, annunciando che avrebbero agito unilateralmente, gli Usa si comportavano essi stessi da rogue state. Stati canaglia, l’11 settembre gli Stati uniti furono autorizzati ufficialmente dall’Onu ad agire come tali procedendo a tutte le misure che ritenessero necessarie per proteggersi, in qualunque parte del mondo, contro il cosiddetto “terrorismo internazionale”.
Ma cos’è avvenuto, o più precisamente, cos’è stato segnalato, esplicitato, confermato l’11 settembre? Al di là di quanto si è potuto dire in proposito, più o meno legittimamente – e di questo non tornerò a parlare – cosa è risultato chiaro quel giorno, un giorno meno imprevedibile di quanto si sia voluto far credere? Un fatto macroscopico e fin troppo evidente: dopo la guerra fredda, la minaccia assoluta non aveva più forma di stato. Se durante la guerra fredda era stata controllata, nell’equilibrio del terrore, da due stati-superpotenze, oramai nessuno stato poteva più controllare la dispersione del potenziale nucleare fuori dagli Stati uniti e dai paesi loro alleati. Per quanto si tenti di contenerne gli effetti, molti indizi potrebbero dimostrare chiaramente che se trauma vi è stato l’11 settembre , negli Usa e nel mondo, non si trattava, come spesso si pensa dei traumi in genere, di una ferita prodotta dall’evento effettivamente accaduto, che avrebbe magari potuto ripetersi un’altra volta, bensì dell’innegabile apprensione per una minaccia futura e più grave.
Il trauma rimane traumatico e incurabile perché proviene dal futuro. Anche il virtuale colpisce. Si è traumatizzati perché feriti da un colpo che di fatto ancora non è stato inferto, se non con il segnale del suo annuncio. La sua temporalità procede dal futuro. Ora, in questo caso il futuro non è soltanto la caduta, o il crollo virtuale di altre torri o strutture analoghe, né la possibilità di un attacco batteriologico, chimico, o “informatico”. Anche se tutto ciò non può comunque essere escluso. Ma la prospettiva peggiore sarebbe quella di un attacco nucleare con la conseguente distruzione dell’apparato dello Stato americano: di uno stato democratico la cui egemonia è tanto evidente quanto precaria, in crisi; di uno stato che si suppone garante, solo ed ultimo guardiano dell’ordine mondiale degli stati normali e sovrani. Questo virtuale attacco nucleare non ne esclude altri, e potrebbe essere accompagnato da offensive chimiche, batteriologice, informatiche.
Ora, aggressioni del genere erano state immaginate fin dalla prima apparizione del termine rogue state. Ma allora erano identificate, quanto alla loro origine, con entità statali, cioè con potenze organizzate, stabili, identificabili, localizzabili, territorializzate; le quali, non essendo suicide o presunte tali, potevano essere sensibili alle armi di dissuasione. Come l’House Speaker (1) Newt Gingrich aveva giustamente osservato nel 1998, l’Urss era “rassicurante” perché sensibile alla dissuasione, dato che il potere vi si esercitava in maniera burocratica e collettiva, e quindi non suicida. E aveva aggiunto che purtroppo la stessa cosa non si poteva dire di due o tre regimi del mondo di oggi.
Avrebbe dovuto precisare che non ritrattava nemmeno più di stati, di regimi, di organizzazioni statali legate a una nazione o a un territorio.
A New York, a meno di un mese dall’11 settembre, io stesso ho avuto modo di sentire alcuni membri del Congresso annunciare alla televisione l’adozione di misure tecniche volte a evitare che un altro attacco alla Casa bianca distrugga in pochi secondi l’apparato dello stato e tutto ciò che negli Stati uniti rappresenta lo stato di diritto. D’ora in poi si doveva assolutamente evitare la presenza contemporanea del presidente, del vicepresidente e della totalità dei membri del Congresso nello stesso luogo e nello stesso momento, come accade a volte, per esempio il giorno della Dichiarazione presidenziale sullo stato dell’Unione. Ai tempi della guerra fredda, questa minaccia assoluta era ancora contenuta da una teoria dei giochi strategici. Ma oramai non può più essere contenuta, perché il pericolo non proviene più da uno stato costituito, e neppure potenziale, che si possa trattare da stato canaglia. Risultava così inutile e vano tutto il dispendio in termini di retorica (per on parlare delle spese militari) per giustificare la parola guerra, e la tesi secondo la quale la “guerra al terrorismo internazionale” doveva colpire determinati stati che offrivano sostegno finanziario, basi logistiche o rifugi, o servivano, come si dice da quelle parti, da sponsor o da harbour ai terroristi.
Tutti questi sforzi volti a identificare stati “terroristi” o stati canaglia sono “razionalizzazioni” destinate a denegare, più dell’angoscia assoluta, il panico o il terrore davanti al fatto che la minaccia assoluta non procede più, e non è più controllata da un qualsivoglia stato o entità statale. Occorreva dissimulare, attraverso questa proiezione identificatoria, e soprattutto dissimulare a se stessi che ordigni nucleari o armi di sterminio sono oramai virtualmente prodotti, e accessibili, in luoghi non più dipendenti da un qualsiasi stato. Neppure da un rogue state. Ci si sforza e ci si agita invano e le stesse “razionalizzazioni” e negazioni si esauriscono nel disperato tentativo di identificare questi rogue states, e di far sopravvivere concetti moribondi come quello di guerra (secondo il buon vecchio diritto europeo) e di terrorismo. D’ora in poi, non si ha più a che fare con una guerra internazionale classica – perché nessuno stato l’ha dichiarata, o vi si impegna in quanto tale contro gli Stati uniti. E neppure – poiché nessuno stato-nazione vi è coinvolto in quanto tale – con una guerra civile; né con una “guerra partigiana” (secondo l’interessante accezione di Karl Schmitt) dato che non si tratta più di resistenza a un’occupazione territoriale, di guerra rivoluzionaria o di guerra d’indipendenza per liberare uno stato colonizzato e fondarne un altro. Per queste stesse ragioni, si giudica in maniera non pertinente il concetto di terrorismo, che per l’appunto è stato sempre associato a quelli di “guerre rivoluzionarie”, “guerre d’indipendenza” o “guerre partigiane”, delle quali lo stato ha sempre costituito la posta in gioco, l’orizzonte e il terreno.
Dunque ormai gli stati sono tutti rogue states, e perciò i rogue states non esistono più. Il concetto sta toccando il suo limite e la fine, più terrificante che mai, della sua epoca. Una fine che già dall’inizio è sempre stata prossima. Ma a tutti i segni sopra citati, in qualche modo concettuali, se ne deve aggiungere un altro, che configura un sintomo di ordine diverso. Proprio coloro che durante l’amministrazione Clinton avevano più contribuito ad accelerare e intensificare questa strategia retorica, abusando dell’espressione demonizzante di rogue states, hanno finito per dichiarare pubblicamente, il 19 Giugno del 2000, di aver deciso di abbandonare almeno questa dizione. Madeleine Albright ha fatto sapere che lo State department non la considerava più appropriata, e aveva quindi deciso di sostituirla con il termine, più moderato e neutro, di states of concern.
Come tradurre States of concern cercando di rimanere seri? Diciamo “Stati preoccupanti”. Stati che ci impensieriscono, ma dei quali dobbiamo anche seriamente preoccuparci, nonché occuparci, al fine di trattare bene il loro caso. Il loro caso in senso medico, non giudiziario. Di fatto – come è stato notato – l’abbandono di quel termine segnala una vera e propria crisi nel sistema, così come nel bilancio della difesa missilistica antimissile. Oramai quest’espressione, anche se Bush cerca di riesumarla di tanto in tanto, è caduta in disuso. Questo, in ogni caso, è ciò che ho ipotizzato, tentando di giustificarne la ragione ultima. E il fondo senza fondo. La parola “canaglia” è stata colata a picco, e il suo affondamento ha una storia; e come la parola rogue, non è eterna. Ma “canaglia” e rogue sopravvivranno per qualche tempo agli “stati canaglia” e ai rogue states, che in verità hanno preceduto.
1) Ndr. Presidente della camera dei rappresentanti.
(traduzione di E.H.)
Jacques Derrida è filosofo, scrittore, docente all’«Ecole de Hautes Etudes en Sciences Sociales» (Ehess). Questo testo è estratto dal suo ultimo libro Voyous, ed. Galilée.
(Tratto da “Le Monde Diplomatique – Gennaio 2003)
foto soldati Usa in Iraq con le armi di distrazione di massa
Impedire ai potenti di “giocare alla guerra” – Francesco Scatigno
…Dobbiamo impedire ai potenti di aumentare le spese militari. Maggiori risorse per l’acquisto di armi significa che ci saranno meno risorse per la sanità pubblica, per la scuola e l’educazione, per la ricerca scientifica, per le politiche a sostegno dei più deboli.
Non possiamo permettere che questo avvenga. Le risorse della comunità sono anche nostre, frutto del nostro lavoro e del nostro contributo. In questo periodo storico in cui sentiamo un maggiore bisogno di dotarci di una ricerca scientifica al servizio del bene comune, piuttosto che di interessi privati e speculazioni economiche, e di rafforzare il sistema sanitario per affrontare meglio eventuali altre epidemie non possiamo consumare risorse per il riarmo.
Ecologia sociale
Il militarismo ha quasi sempre lo scopo di difendere il controllo di risorse energetiche e minerarie nel mondo. Nel nostro caso, l’esercito italiano è presente in quei paesi in cui Eni effettua esplorazione ed estrazione di gas e petrolio. Queste spese militari non vanno nella direzione della transizione ecologica dal consumo di energie fossili ad una produzione di energia pulita e rinnovabile, ad un altro modello di economia e di sviluppo.
Europa antifascista
Dobbiamo impedire ai potenti di tollerare organizzazioni neofasciste e neonaziste in Europa. I neofascisti sono il braccio armato del potere quando c’è da fare il lavoro sporco. Così è stato in Italia durante la strategia della tensione con la strage di piazza Fontana a Milano, la strage di piazza della Loggia a Brescia e la strage della stazione di Bologna per la quale nei giorni scorsi, con l’ultimo processo, è stato condannato un altro attentatore fascista ex Nar.
Il fascismo e il nazismo sono un pericolo per i nostri paesi e lo sono in misura maggiore in quei paesi coinvolti nei conflitti in cui si fa più forte il sentimento nazionalista e patriottico. Alla fine di questa terribile guerra, con i fascisti e i nazisti europei dobbiamo fare i conti. Queste idee autoritarie, repressive, liberticide, suprematiste e razziste non possono avere agibilità politica. E non possono averla neanche i nazisti ucraini.
L’auspicio è che i movimenti antifascisti, i sindacati e le associazioni riescano a creare una grande mobilitazione che affermi il rifiuto della guerra e che riesca ad avviare percorsi politici collettivi.
Demenziale, indecente criminale riarmo. Se vuoi la Pace prepara la Pace – Giacinto Botti
…Nel mondo interdipendente le conseguenze di una guerra, come delle sanzioni estreme, si riverbereranno globalmente e per questo non vanno rimossi i tanti conflitti nazionali e internazionali ancora presenti, e si debbono accompagnare gli aiuti umanitari ai profughi con nuove politiche economiche e sociali europee e del governo italiano, di sostegno alla popolazione, al sistema Paese, per evitare ulteriori diseguaglianze, crisi sociali, economiche, industriali, energetiche e alimentari. Occorre ripensare, costruire il possibile mondo di Pace multipolare e multiculturale. Una strada lunga ma percorribile.
Se vuoi la Pace la devi ricercare, preparare e volere con l’azione diplomatica e una politica e una cultura di Pace e di prevenzione delle guerre. Se vuoi fermare la guerra devi armare le coscienze, investire nel progresso sociale, nell’eguaglianza dei diritti e delle possibilità. Non bisogna arrendersi all’idea della guerra, occorre contrastare politicamente e culturalmente chi la invoca, la giustifica, la prepara, e chi la decide e fa enormi profitti mandando al macello intere generazioni.
La guerra per sua natura travolge qualsiasi etica e morale, spazza via ogni barlume di civiltà e di umanità, riproduce e amplia odio, intolleranza e sofferenze per decenni, distrugge territori e annienta vite e speranze, annichilisce ogni solidarietà e ogni umana pietà. La guerra come sempre divide, segna uno spartiacque, determina campi di posizionamento politico, libera ipocrisie e sbugiarda falsi pacifisti, arricchisce i produttori di armi e i mercenari di morte, i moderni lanzichenecchi.
La retorica e l’ipocrisia ormai straripano negli organi di informazione e dilagano in un pezzo sempre più consistente, ancora però minoritario, di un’opinione pubblica sottoposta a un messaggio distorcente, a un pensiero unico che rimuove la memoria storica per far posto agli aspetti emozionali, a riferimenti storici improvvidi e strumentali, e a un’idea di democrazia e di etica occidentale mistificante.
Come scrive Gino Strada nel suo ultimo libro ‘Una persona per volta’: “Non c’è bisogno di avere principi etici intransigenti, né visioni politiche specifiche, per capire che la guerra come strumento non funziona. Basta un minimo di intelligenza, basta solo guardare le cose in modo obiettivo e senza pregiudizi. La guerra, anche quella che si invoca o si fa per porre fine ad altre atrocità, per far finire tutte le guerre, non può funzionare perché è di per sé antitetica alle ragioni che la sostengono; la guerra è la negazione di ogni diritto. La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”.
qualche link:
https://www.panorama.it/news/cronaca/open-fact-checker-facebook
https://libertariam.blogspot.com/2022/04/severgnini-e-la-guerra-caro-severgnini.html
https://libertariam.blogspot.com/2022/04/la-guerra-impero-della-bugia-di-cataldo.html
https://libertariam.blogspot.com/2022/04/severgnini-e-la-guerra-di-rocco-altieri.html
IL TAMBURO DELLA GUERRA
Tamburo della guerra
che suoni, suoni, suoni,
e non t’importa niente
se innanzi a un focolare
una madre piange e prega,
una madre piange e prega, una madre piange e prega…
Figlio… dove sei, figlio ?
“Santa Maria, madre di Dio, prega per noi poveri peccatori”
“E Maria dietro le porte, che sentiva le frustate:
– Non gliele date così forte, sono carni delicate”
Figlio… che brutta notte,
Che brutto vento…
Come sbattono le porte,
Che bruttu presentimento…
M’hanno portato un fazzoletto
nero, nero, nero, nero…
M’hanno portato un paio di calze
nere, nere, nere, nere…
M’han portato una camicia
bianca, bianca, bianca, bianca…
Ma con un buco in petto,
ma con un buco in petto, ma con un buco in petto…
Figlio… figlio bello…
Figlio!… com’eri bello, figlio…
Un giglio profumato… che brutto momento hai passato.
Che male hai fatto…perché ti è tocata questa malasorte?
Figlio…
Tamburo della guerra
che suoni, suoni, suoni,
e non t’importa niente
se innanzi a un focolare
una madre piange e muore,
e muore di dolore… e muore di dolore.
Figlio… figlio… giglio profumato, figlio…
Carni delicate mie… figlio… figlio…
Figlio.
UNA NOTA DELLA “BOTTEGA” SUI NOSTRI DOSSIER
Care e cari,
da quando la guerra fra Ucraina e Russia si è allargata (durava da 8 anni con morti e tragedie che però i media occidentali rendevano invisibili) la nostra piccola redazione ha pubblicato molti dossier, dando spazio a voci diverse … con un limite ovvio: escludere bugiardi e guerrafondai. Diciamo subito grazie a Francesco Masala che li ha curati in quasi solitudine e con gran fatica. C’è chi li ha mooooolto apprezzati («dò una prima letta veloce al dossier ma poi li metto da parte per studiarli meglio» ha scritto Elena) e chi ha detto «esagerati» o magari «tanti e un po’ disordinati» (sul pianeta Terra effettivamente regna il disordine ma noi escludiamo sia colpa – o merito – di Masala).
Purtroppo la situazione “di guerra” è statica mentre la “diplomazia” e la voglia di pace latitano. Chi ha voluto studiare almeno un poco e sottrarsi al coro del GBU – Grande Bugiardo Unificato – ha capito questa tragedia non è l’unica, che viene da lontano ed è la “logica” conseguenza delle decisioni politiche, economiche e militari che l’Occidente da decenni ha preso contro la Russia e in realtà contro tutti i popoli… persino i “suoi” popoli che al massimo raccattano le briciole del banchetto-saccheggio ma vivono egualmente nella merda di un mondo in disfacimento dove solo l’1% ha tutto. Senza nulla togliere alle colpe e ai crimini di Putin (già noti ma spesso taciuti quando faceva comodo essere in buoni rapporti con lui; o vendergli armi) il problema numero 1 del pianeta è l’Occidente, quello che in “bottega” da anni db ribattezza «Uccidente», tanto per dire la verità cambiando una sola vocale. Ovvero l’asse Usa-Nato con i suoi tanti servi, megafoni ben pagati e complici.
Se la situazione è relativamente statica e chiara nelle sue linee storico-politche, ci chiediamo: ha senso continuare con i dossier? O rischiamo di ripetere cose note? La nostra risposta (soggetta a ripensamenti, se la situazione muterà) è di interrompere questo flusso continuo… e fare riposare un pochino Masala come chi legge. Cercheremo di proporvi – e grazie a chi ci aiuterà – più articoli sulle novità, su nuove proposte e/o su temi specifici con magari le inchieste (“sul campo”) che attualmente sono rare come i Panda albini oppure suonano “fasulle” come le monete da 49 MILIONI DI EURO (ogni riferimento a Matteo Salvini è lecito, tanto più che la Lega è riuscita a rubare in Padania, in Italia e quasi certamente a farsi dare quattrini anche da Putin & soci).
Che ne dite? [la redazione]
Dai pacifisti e pacifiste dell’ora in silenzio per la pace
Dalle Veglie contro le morti in mare
lettera aperta a Gianfranco Pagliarulo
Caro amico, caro compagno Gianfranco Pagliarulo
Abbiamo molto apprezzato il coraggio tuo e dell’ANPI nello schierarsi contro l’invio di armi all’Ucraina: siamo convinti/e, con te e con voi, che va riconosciuto che l’Ucraina è l’aggredito, e la Russia l’aggressore; ma siamo altrettanto convinti/e che posizionarsi al fianco dell’aggredito non significhi automaticamente rifornirlo di armi.
Ci ha particolarmente indignato l’argomento di chi tira in ballo la Resistenza di cui tu e l’ANPI volete fare memoria. Sappiamo bene che gli alleati che rifornivano anche di armi i partigiani erano con loro cobelligeranti contro i fascisti ed i nazisti; che iniziarono a rifornirli a guerra già in atto e non, come hanno fatto gli USA con l’Ucraina in funzione antirussa nel periodo prebellico; che oggi l’Italia avrebbe dovuto e potuto farsi promotrice di pace e di trattative, cosa che la sua posizione di belligerante non dichiarata rende impossibile.
Abbiamo assistito impotenti al banchetto di tutti imedia che hanno dipinto la tua dichiarazione “la resistenza ucraina è legittima” come una marcia indietro o un voltafaccia.
Sappiamo bene che è legittima. Resta da stabilire se è umana, opportuna, consigliabile, utile, sensata.
Resta da stabilire se chi la guida non avesse alternative per evitare l’llegittima (questa sì è illegittima) invasione russa
Resta da stabilire se chi la sostiene con le armi (USA, NATO, Europa, Italia) è disinteressato
Resta da stabilire che fine farà l’arsenale internazionale che è stato recapitato in Ucraina, e consegnato non si sa a chi
Resta da stabilire se non trascinerà in guerra altri paesi
Resta da stabilire se i combattenti civili ucraini, arruolati senza tanti complimenti e ripresi dalle tv di mezzo mondo mentre salutano mogli e figli non avrebbero preferito fare altre scelte.
…Anche la pena di morte negli USA è legittima.
Anche il finanziamento italiano alla guardia costiera libica è legittimo
Anche il job act e il licenziamento dei lavoratori scomodi è legittimo
Anche Frontex è legittimo.
Anche sottrarre risorse alla sanità, alla scuola ed al welfare per destinarle alle armi è legittimo.
Anche le 90 bombe nucleari USA stoccate nel sottosuolo italiano sono legittime.
Ma….
Cerchiamo di comprendere la fatica ed il travaglio cui sei sottoposto in questi giorni, e vogliamo farti giungere il nostro abbraccio affettuoso e solidale.
Le Veglie contro le morti in mare
Pacifisti e pacifiste dell’ora in silenzio per la pace di Genova http://www.orainsilenzioperlapace.org
Info: Norma Bertullacelli tel 3473204042