Il fascismo è un caprone con le corna
Considerazioni sulla serie tv di animazione «Vultus 5» di Tadao Nagahama
di Fabrizio («Astrofilosofo») Melodia
«La razza è una categoria immaginaria applicata a gruppi umani reali, è una metafora naturalistica (così la chiama l’antropologa Colette Guillaumin) che serve a nominare differenze di potere, di status, di classe e a naturalizzare la stessa svalorizzazione, stigmatizzazione, gerarchizzazione, discriminazione di certi gruppi, minoranze, popolazioni»: così Annamaria Rivera.
Un pianeta in fiamme, è appena terminata una guerra sanguinaria fra le popolazioni della Terra e un pianeta alieno invasore, Boazan.
La guerra andava avanti da molto tempo, senza esclusioni di colpi e in nome della razza superiore che deve necessariamente assoggettare e schiavizzare per portare avanti la propria economia volta al consumo e allo sfruttamento intensivo.
I Boazani sono del tutto simili ai terrestri con un unica differenza, sono dotati di corna. Un aspetto che in certi casi farebbe solo sorridere, in altri ambiti rimanda a incubi ricorrenti non del tutto sopiti. I Boazani sono strutturati secondo un assetto imperialistico, con una economia improntata alla sfruttamento dei nati senza corna.
Uno di loro era il figlio legittimo dell’imperatore, un bambino cui sarebbe stato imposto il nome di Kentarus, mentre suo fratello Zambazir era nato (adeguatamente provvisto di corna) da una cortigiana.
Kentarus fu protetto con protesi artificiali: nel tempo si distinse nelle scienze e nella lotta, abilità che provocarono nel fratellastro Zambazir un crescente rancore misto a invidia. Quando Kentarus fu scoperto si vide costretto a fuggire in esilio, per poi giungere sulla Terra dove incontrò una donna terrestre, la sposò ed ebbe tre figli: Michel, Karl e Ivan.
Come aveva previsto, l’attacco alla Terra non si sarebbe fatto attendere. Kentarus, grazie alle proprie conoscenze tecnologiche, si adopera allora per proteggere la propria patria d’adozione, che lo ha accettato pur essendo un alieno. Addestra alla lotta i propri figli insieme a un orfano di nome Gepi e alla figlia del generale Okanin, Sonjia. Lavora duramente Kentarus, il tempo è poco: prima di partire nuovamente alla volta di Boazan per organizzare al suo interno la rivolta, fornisce tutte le disposizioni all’amata moglie Annabelle e al suo collega e amico dottor Esperus.
I cinque ragazzi sono chiamati alle armi non appena all’orizzonte del cielo si presenta la possente figura di un’astronave del tutto simile a un castello medievale a forma di teschio. La nave boazana è comandata dal principe Sirius, nipote di Zambazir, arrogante e autoritario, dai modi aristocratici e signorili e con un forte senso dell’onore. L’attacco alla Terra è tremendo, i Boazani scatenano la bestia combattente, una sorta di androide geneticamente modificato, con tremende armi di distruzione.
Mentre le nazioni terrestri, perdute in lotte intestine, vengono richiamate all’ordine da un accorato appello del generale Okanin, cinque navette da battaglia si levano in cielo verso il mostro. I cinque ragazzi tentano in tutti i modi di respingerlo, ma la situazione volge a favore dei Boazani. I ragazzi mettono all’opera il frutto della scienza di Kentarus: al loro comando le navette si uniscono a formare un gigantesco robot da combattimento, il Vultus 5.
A colpi di catene, missili, trottole affilate e una devastante spada, il Vultus 5 pone il proprio segno sulla bestia, riportando la prima vittoria dopo tante battaglie.
Nello scontro finale, Michel e Sirius si ritrovano a duello l’uno contro l’altro, per scoprire alla fine di essere fratelli di sangue. Sirius infatti è il figlio di Kentarus e della nobildonna che amò in segreto ma che fu costretto a lasciare per mettersi in salvo. Sirius, nel tentativo di aiutare il ritrovato fratello Michel, sacrifica la propria vita rimanendo intrappolato dalle fiamme.
Ecco come l’odio razziale e l’ideologia imperialistica si sposano alla perfezione per determinare l’invasione arbitraria di un altro popolo, considerato inferiore.
La serie televisiva «Vultus V» (超電磁マシーン ボルテスVovvero «Chōdenji Machine Borutesu Voltes V») – trasmessa per la prima volta in Giappone nel 1977 e in Italia nel 1983 – tocca temi attuali e scottanti, senza alcuna remora o tabù.
La politica, l’impegno, la partecipazione e lo spirito di sacrificio sono valori che permeano la serie nel suo tessuto più profondo, restituendoci un affresco di guerra e sopraffazione, contro cui nessuno può esimersi dalla ribellione.
«Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente arbitrario o dettato da sue necessità di carattere economico, che sfugge alle logiche razionali. Io detesto soprattutto il potere di oggi. Ognuno odia il potere che subisce, quindi odio con particolare veemenza il potere di questi giorni. È un potere che manipola i corpi in un modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo nuovi valori che sono alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio delle culture viventi, reali, precedenti. Sono caduti dei valori e sono stati sostituiti con altri. Sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti da altri. Questa sostituzione non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma imposta dal nuovo potere consumistico, cioè la nostra industria italiana pluri-nazionale e anche quella nazionale degli industrialotti voleva che gli italiani consumassero in un certo modo, un certo tipo di merce, e per consumarlo dovevano realizzare un nuovo modello umano» (Pier Paolo Pasolini in «Il caos. L’orrendo universo del consumo e del potere», a cura di Gian Carlo Ferretti, Editori Riuniti, Roma 1998).
L’imposizione e la violenza che trasformano la persona nell’esercizio e nella funzione degli interessi di potere, ecco come si presentano i Boazani, popolo imperialista e sfruttatore. Nulla nei Boazani è adibito alla ricerca e alla conoscenza, tutto nella loro economia è mirato a favorire i pochi, come Zambazir e la casta dominante, e a non usare la tecnologia come bene comune ma come arma di sopraffazione non appena le risorse giungono al termine. E’ una mentalità da parassiti, un modo di vedere la realtà come semplice fruizione e consumo, una maniera di reificare il mondo e gli altri, trasformandoli in oggetti. E’ un sistema nemmeno troppo atavico, purtroppo. Anzi, esso permea sensibilmente l’umanità, la Storia insegna l’alternanza tremenda degli interessi economici e dello sfruttamento delle risorse e della schiavitù.
Ancora adesso si tende nell’esercizio stesso del potere padronale a considerare l’altro qualcosa da sfruttare ma da non retribuire. Ecco dunque l’auto-riconoscersi come aristocrazia, con valori che superano la “plebaglia” e la pongono sotto il giogo. Sono gli sfruttatori a “elargire” il lavoro. Gli schiavi vengono considerati bestie, uno stato di natura per cui coloro che sono in cima alla catena alimentare detengono ogni qualità mentre per le altre specie vi è solo vessazione.
Solo con la lotta e la coscienza organizzata si ribalta questa dittatura dall’alto. Solo il coraggio, l’impegno e l’unione di spiriti giovani, aiutati dal buon uso della scienza paterna sembra poter risolvere questa lotta, con molte perdite e sofferenze, ma senza mai venir meno all’utopia di un altro mondo alternativo, possibile.
Michel, Karl, Ivan, Gepi, Sonija sacrificano la propria giovinezza a prezzo di interminabili e spesso brutali allenamenti perpetrati dal duro e autoritario dottor Barion, ma che alla fine mostrano i loro frutti, permettendo di vincere scontri apparentemente senza uscita. Solo con la forza interiore, con alti valori di uguaglianza e solidarietà, è possibile vincere la lotta contro un sistema atto allo sfruttamento dei molti in favore di pochi.
«Il razzismo è un odio di classe inconscio. Si confronti il razzismo americano: esso è stato appunto, fino a oggi e ancora oggi, un odio di classe inconscio. Ma dal momento che i negri hanno incominciato a lottare ad avere consapevolezza di sé come classe povera, l’odio razzistico, oscuro e indecifrabile, si sta trasformando in un chiarissimo e decifrabilissimo odio di classe. L’odio cioè che un borghese italiano prova per un comunista, non per un “terrone” o un carcerato (che è ancora oscuro e indecifrabile)»: ancora Pier Paolo Pasolini (in «Il caos», citato sopra).
Contro questo odio, ecco assurgere la condizione fondamentale della fratellanza universale, cosmica in questo caso. Una presa di coscienza che porta a considerare l’altro come noi siamo considerati da lui, a prendere decisamente posizione contro la reificazione e la banalizzazione. L’opportunismo, il profitto, i beni superflui e di consumo di cui l’economia capitalista alimenta il desiderio, valori che sfociano nella guerra e nella sopraffazione, l’esatto contrario di un sistema democratico.
Il sacrificio di Sirius è emblematico, l’amore universale può vincere se si raggiunge la consapevolezza che siamo tutti fratelli contro un nemico tremendo. Il fascismo è solo un caprone nero con le corna che fomenta odio e violenza per prosperare sulla pelle del gregge che domina, almeno fino a quando esso non si ribella, come i piloti del Vultus 5.
E sul fascismo, ancora Pasolini: «L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società» (da «Saggi sulla politica e sulla società», a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Mondadori).
Essere fortissimi contro l’impero boazano, per affermare ancora una volta che la libertà è accettazione e condivisione dell’altro.