Il femminismo fa bene al mondo
Dal comunicato stampa che annuncia l’uscita dello studio «The civic origins of progressive policy change: combating violence against women in a global perspective, 1975-2005»; traduzione di Maria G. Di Rienzo.
Pubblicato di recente sull’«American Political Science Review» (e disponibile online: www.journals.cambridge.org/psr) un nuovo studio sulla violenza contro le donne condotto per oltre 30 anni in 70 diversi Paesi. Rivela che, per il cambiamento, la mobilitazione dei movimenti femministi è più importante dello status economico delle nazioni, dei partiti politici di sinistra o del numero delle donne presenti in politica.
Tramite movimenti femministi autonomi dai partiti politici e dallo Stato, le donne si organizzano sulle proprie priorità senza dover rispondere alle diverse preoccupazioni associative o ai bisogni degli uomini. Mobilitandosi attraverso i vari Paesi, i movimenti femministi hanno spinto i governi ad approvare norme e accordi, su scala regionale e globale, riguardanti la violenza di genere.
Movimenti femministi forti e autonomi sono sempre i primi ad articolare la questione della violenza contro le donne e fungono da catalizzatori per le azioni dei vari governi, mentre altre organizzazioni marginalizzano la questione percependola come importante solo per le donne. Forti movimenti femministi guadagnano sostegno nell’opinione pubblica e attenzione, convincendo i media dell’importanza di discutere di violenza di genere. Nei Paesi più lenti ad adottare politiche anti-violenza, i movimenti femministi hanno fatto leva sugli accordi globali e regionali per ottenere il cambiamento politico locale.
S. Laurel Weldon, co-autrice dello studio, dice: «La violenza contro le donne è un problema globale. Ricerche in America del nord, Europa, Africa, America Latina, Medioriente e Asia hanno rilevato percentuali allucinanti di aggressioni sessuali, stalking, traffico, violenza nelle relazioni intime ed altre violazioni dei corpi e delle menti delle donne. In Europa la violenza è un rischio maggiore, per le donne, del cancro, poiché il 45% delle donne europee sperimenta qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le percentuali sono simili nell’America del nord, in Australia, in Nuova Zelanda; e gli studi in Asia, America Latina e Africa provano che la violenza verso le donne è onnipresente».
Lo studio è senza precedenti per vastità: include ogni regione del mondo, diversi stadi di democrazia, Paesi ricchi e Paesi poveri, svariate religioni mondiali e include l’85% della popolazione mondiale. La sola analisi dei dati ha richiesto cinque anni di lavoro, ed è per questo che i dati più recenti risalgono al 2005.
Mala Htun, co-autrice dello studio, aggiunge: «I movimenti sociali danno forma alle agende pubbliche e governative e creano la volontà politica di occuparsi delle istanze. L’azione governativa, di per sé, manda un segnale rispetto alle priorità nazionali e al significato di cittadinanza. La radice del cambiamento per ottenere politiche sociali progressiste sta nella società civile».
UNA BREVE NOTA
Le traduzioni di Maria G. Di Rienzo sono riprese – come i suoi articoli– dal bellissimo blog lunanuvola.wordpress.com/. Il suo ultimo libro è “Voci dalla rete: come le donne stanno cambiando il mondo”: una mia recensione è qui alla data 2 luglio 2011. (db)