Il flusso, il recentismo e la tecnologia-dito
Una recensione (quasi apolegetica) a «Blitzkrieg tweet» ovvero «Come farsi esplodere in rete» di Francesco De Collibus
Davvero «non c’è mai stato un momento migliore di questo per essere umani»? Così scrive Don Tapscott e Francesco M. De Collibus pone la frase in apertura di uno dei capitoli del suo prezioso «Blitzkrieg tweet» – sottotitolo: «Come farsi esplodere in rete» – pubblicato da Agenzia X (136 pagine per 12 euri).
E’ una delle frasi che mi ha più intrigato in un libro tanto complesso (almeno per me, che sono un tirannosauro tecnologico) quanto affascinante. Ho meditato a lungo anche su un altro passaggio del libro. A proposito del «recentismo, ovvero l’assenza di prospettive» l’autore scrive che «immersi dentro il flusso travolgente delle informazioni […] ci dimentichiamo del passato e siamo troppo presi dal presente per preoccuparci del futuro»; aggiungendo subito dopo: «Esiste solo il presente».
Un terzo passaggio-chiave del ragionare di De Collibus è nella sintesi: «la tecnologia è il dito, le persone sono la Luna» (parafrasando la nota frase cinese sugli imbecilli) che proprio in chiusura del libro ci parla di «un futuro in perpetual beta».
Chiarisco subito che De Collibus – ricco di conoscenze scientifiche non meno che umanistiche – è un intelligente provocatore, infatti il suo libro si chiude con un «prologo» e inizia con un «epilogo». Ma c’è un perché.
Prima di provare a riassumere alcune tesi del libro devo una spiegazione a chi non mi conosce (e una risata a chi mi frequenta). Che ne so io di «perpetual beta», espressione che ho citato poco fa? Fatico a capire cosa si intende per «protocollo RSS» e «social bookmarking», tanto per riprendere due espressioni citate nella prima pagina. Non sapendo l’inglese ed essendo appunto un “tecnosauro” ogni volta che leggo «hashtag», «cloud» o «meme» devo concentrarmi per capire il senso. Di più: non sono su Facebook e/o Twitter. E se mi dicono «usa il cancelletto» inizialmente penso all’ingresso di dietro.
Insomma che cappero c’entro io con questo libro? Il quale, in quarta di copertina, dichiara che darà consigli su «come far esplodere le vostre potenziali bombe mediatiche nel web» e per «assemblare le micidiali armi di informazione DIY» (Diy?) e – citando Aaron Swartz – spiega che «dobbiamo lottare per la Guerrilla Open Access».
Beh, c’entro perché sono stato (e forse sono) un giornalista ma anche perché sono un pessottomista “voglioso” di futuro, ribelle spero fino all’ultimo e… amantissimo di fantascienza (soprattutto il martedì).
Ecco allora qualche considerazione su un libro che però sarà letto in modo ben diverso da chi in rete “ci vive” e usa tutte le nuove tecnologie in modo consapevole (e non alla stregua di una vecchia Olivetti 22, come spesso faccio io).
Il capitolo «come vincere le battaglie» parte da Gutenberg ma arriva subito ai giorni nostri per parlare della successiva rivoluzione dell’«immediatamente» ovvero di un tempo nel quale, almeno nella Rete, «è ormai impossibile distinguere la narrazione dai fatti che la riguardano». Sbagliato dunque – sostiene De Collibus – difendere «la linea Maginot della comunicazione». E l’esempio della inesistente moschea di via Puppa e della figuraccia di “Mestizia” Moratti è davvero chiarificante. Poi, per introdurre twitter, De Collibus cita un ben triste primato italiano: l’aviatore Giulio Gavotti (se n’è parlato da poco qui in blog). Spiegando che l’ordigno esplosivo singolo e il bombardamento a tappeto in Rete hanno i loro equivalenti; soprattutto De Collibus analizza la grande differenza tra «i mulinelli nel deserto del Nevada» e «il fuoco tra i cieli di Amburgo» ovvero un «firestorm» (del quale – lo confesso – ignoravo l’esistenza).
A seguire molti consigli pratici per chi twitta o è su Fb (ma anche per chi ha un blog) per passare poi alla strategia, alle ragioni di Aristotele e della buona fantascienza, alle “previsioni” e alla constatazione che «nessuno riesce a immaginare il futuro, ognuno proietta in lontananza ciò che ha visto, lasciando inalterata la propria struttura sociale e mentale». Io avrei scritto «quasi nessuno» ma insomma… siamo lì.
Dopo aver citato Elisabetta Gregoracci (di lei ignoro tutto), Wu Ming e Carmilla-online, ecco una delle frasi-sintesi che destano in me una sconfinata ammirazione per De Collibus: «ogni individuo appare fortunatamente più pazzo di quanto gli uffici marketing abbiano mai sospettato».
Da qui si scende in allegria con storie esemplari: la morte «mediatica» del signor P2-1816 (noto ai più come Silvio Berlusconi); lo sputtanamento di Daniele Luttazzi e del collettivo Macao di Milano; la falsa-vera-verosimile blogger siriana Amina; l’aritmetica di Jekill più Hyde e di Jekill meno Hyde; perfino le foto di De Collibus in giacca e cravatta oppure abbigliato (abbagliato?) come Gheddafi; e più avanti le santificazioni “immediate” della rete da Marco Simoncelli a Sarah Scazzi.
Altra magia. Oscillando fra Matrix (film), la rivoluzione russa e la rete arriva una sintesi decollibusiana perfetta: «Appurato che possiamo avere accesso rapido a tutte le risposte esistenti, dovremmo quindi sforzarci di fare domande più intelligenti». Ne deriva che fra le coordinate essenziali c’è la «scarsa ventilazione degli intelletti» e «il contatto con esseri umani che non abbiamo scelto di frequentare» e che «tiene le idee fresche» anche perché «solo chi non la pensa come voi ha la possibilità di insegnarvi qualcosa».
Restano tanti nodi irrisolti. Per esempio quando De Collibus in rete comincia a prendere per il culo Mario Monti ed è subito diluvio ci sono almeno due questioni da esaminare: «ho fatto piovere io o sarebbe piovuto comunque?» è quella che lui stesso pone; l’altra è «vale la pena o è solo un gioco effimero?». Però la possibilità di far “esplodere” la rete ci può insegnare a guardare avanti: insomma «dobbiamo alzare lo sguardo e tentare mosse audaci che non solo prevedano ma influenzino il futuro».
E’ consapevole De Collibus che «piaccia o meno la rete è ancora un fenomeno di nicchia». E che forse non è tanto utile essere tempestivi nella discussione su Sara Tommasi anzi, per usare le sue parole: «chi è Sara Tommasi? Perché cazzo le sto dedicando il mio tempo anziché andare a correre?». Ancora: «il numero di cose degne di attenzione nel mondo aumenta quotidianamente ma la quantità di attenzione non cresce proporzionalmente. La capacità di attenzione del pubblico resta molto scarsa e, come tutte le risorse scarse, dall’oro al petrolio, è estremamente preziosa».
E siamo al prologo messo come epilogo, a un’altra (già citata) frase-chiave: «La tecnologia è il dito, le persone sono la Luna» e l’invito a nuotare: «Non dovete aver paura di interagire con gli altri. […] Chiudete questo libro e fatelo ora. Ci ritroveremo da qualche parte, nella rete».
(*) Questa recensione si colloca nella rubrica «Chiedo venia», nel senso che mi è capitato, mi capita (e mi capiterà?) di non parlare in blog di alcuni bei libri, magari letti e apprezzati. Perché accade? A volte nei giorni successivi alle letture sono stato travolto (da qualcosa, qualcuna/o, da misteriosi e-venti, dal destino cinico e notoriamente baro, dalla stanchezza, dal super-lavoro … o da chi si ricorda più); altre volte mi è accaduto di concordare con qualche “testata” (contro il muro, come dice la battuta) una recensione che poi rimane sospesa per molti mesi. Ogni tanto ho perso e magari ritrovato e riperso quel tal libro… Tempo fa ho deciso che avrei rimediato in blog a questi buchi, con una rubrica apposita appunto chiedendo venia. Nel caso di «Blitzkrieg tweet» (uscito in primavera) non ho quasi scuse. Però-peron-peronpompero dopo aver sentito Francesco De Collibus presentarlo al festival del libro di Pescara (in realtà ha parlato di tutt’altro, ma che importa?) mi sono pentito – mea culpa, mea maxima culpa – e precipitato a leggerlo. Il treno Pescara-Imola ancora risuona dei miei ululati di approvazione. Per inciso, quando De Collibus racconta la storia del «torchio per l’uva» che Gutenberg trasformò in ben altro… non ho potuto fare a meno di pensare (ridacchiando sì) che in certe zone del Nord Italia ancora non hanno notato la differenza fra vino e stampa. E purtroppo si vede. (db)