Il formaggio e i vermi
di Gianluca Cicinelli
Quello che ho capito della rivolta sulla pubblicità del parmigiano e Renatino è che le altre pubblicità quindi direbbero cose vere? Cioè quando ti dicono che un prodotto è frutto della cura di cento artigiani o che la pasta per quei dolcetti o pizze è lievitata in 96 ore o che il proprietario della banca che t’invita a investire non pensa che a te e al tuo bene, quello è tutto vero? Sono spot, l’antitesi del vero, se non che c’è qualcosa di molto vero nello spot di Renatino e il parmigiano. Tutti i Renatini che lavorano h24 365 giorni l’anno per pochi euro l’ora: lo sfruttamento dovrebbe fare più scandalo dello spot che esalta lo sfruttamento. Ma a noi ormai le parole fanno molta più paura dei fatti, della sofferenza vera. Girate il contratto dell’industria alimentare a Christian Raimo, fategli conoscere un lavoratore in carne e ossa, per contare quanti Renatini materiali e non virtuali, il più delle volte immigrati, lavorano come cani e quanto prendono l’ora e come il loro problema non sia lo spot ma lo sfruttamento.
Per fare una forma di 40 chili di parmigiano servono circa 5 quintali di latte, e la forma viene venduta tra i 12 e i 24 mesi dopo la confezione e la stagionatura. Il Parmigiano Reggiano conta su 348 caseifici per 3310 allevatori, i quali pagano come forma associativa 7 euro per ogni forma prodotta. 7 euro per 3,3 milioni di forme prodotte l’anno fa 20 milioni di euro circa. Mediamente le forme vengono vendute a 7 euro al chilo. Poi ci sono le sanzioni agli operatori che superano il limite quantitativo fissato dalle quote latte, scomparse a livello europeo ma che per il Parmigiano Reggiano sono state attribuite direttamente agli allevatori e non ai caseifici, per non far crollare i prezzi. I 20 milioni annui sono spesi dal Consorzio del Parmigiano Reggiano in 8,4 milioni per la tutela e la vigilanza, 11 milioni invece utilizzati metà per la promozione del Parmigiano in Italia e l’altra metà per quella sul mercato estero, a cui è destinato un terzo della produzione pari a 1,1 milione di forme.
Adesso, fatti due conti, andatevi a rileggere questo articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 28 giugno 2015, che comincia così: “La sveglia suona presto ogni mattina, non ci sono sabato o domenica che tengano. Si lavora con fatica 365 giorni all’anno in mezzo al fieno delle stalle o tra il vapore dei caseifici da cui escono forme di Parmigiano Reggiano …”.
Qual è allora lo scandalo, che uno spot trasformi in valore positivo lo sfruttamento o che venga esercitato lo sfruttamento? Io sono antico e penso che quello contro cui ci si dovrebbe scagliare è lo sfruttamento e non lo spot.
IL TITOLO rimanda a un celebre libro di Carlo Ginzburg (per Einaudi) che sempre di sapienza contadina contrapposta all’autorità ufficiale si occupa.
Se la pubblicità non mi ha colpito, in negativo, sarà perché quando hai a che fare con bovini da latte con il quale ci fai del formaggio è ovvio che il mantra h24/365gg è normale. Ma non è che i lavoratori lavorino h24/365gg!
Saranno sfruttati, questo si, ma non più e non meno che gli altri lavoratori.
Che uno spot mi dica che lavorano h24/365gg per fare del formaggio non mi dice niente di nuovo.
Mi dice che faranno dei turni, che saranno sfruttati etc.
Ma alla fine mi dice una verità. Il processo produttivo ha quella durata.
Chi ha a che fare con l’agricoltura e la trasformazione dei suoi prodotti sa bene che i tempi non sono dettati dall’orologio ma dai tempi della natura.
Qualcuno si lamenta se i fornai, quelli bravi, iniziano il lavoro a notte tarda? Anzi, iniziano a prepare il tutto al pomeriggio? O che ai Mercati Generali dell’ortofrutta si lavori di notte? O che i pescatori rientrino a notte inoltrata perché il pesce da Goro deve arrivare a Milano prima al Mercato del Pesce poi nei negozi?
Prima informarsi, poi criticare, se si deve criticare.
Non sono i tempi di lavoro ad essere essere brutti, brutto e cattivo è lo sfruttamento che di questo tempo si fa e da sempre.