Il Galles di Marta Maddalon
di Pierluigi Pedretti
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Joy and sorrow
hO dovuto cercare il tuo blu nello
scHiudersi della coda del pavone;
suoNi e parole porti nel fardello,
vera Bellezza nelle colline del tuo paese
senza Tempo, marzofiorite;
nuova eRba ricopre le valli e
immoto tU controlli che nubi e
greggi di Musi, neri sprofondati nel verde,
riempiono Pascoli e cielo;
un giovane vEcchio sei, come la patria
che sempre peRduta, ovunque ritrovi.
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Il mio Galles. Piccola antologia sentimentale di poeti gallesi (ilfilorosso editore, pp. 103, euro 12) ripercorre in una silloge personale selezionata da Marta Maddalon una storia letteraria della lontana terra di origine celta.
In un viaggio a ritroso nel tempo si giunge fino all’età medievale.
Il libro curato dalla glottologa dell’Università della Calabria si chiude, infatti, con i Mabinogi (“racconto delle prime imprese”), un insieme di testi tra i più antichi non solo della letteratura gallese ma europea, che sono alla base anche del ciclo cavalleresco bretone.
Scrive la Maddalon: “Ovviamente, del tutto sconosciuta in Italia è la poesia gallese degli esordi e anche quella successiva, perché non è stata mai tradotta in italiano.”
La traduzione è stata certo la parte più complessa del lavoro, soprattutto tenendo conto del doppio registro linguistico, gallese e inglese, con cui si sono formati i diversi poeti presenti nell’antologia.
Ma crediamo di poter dire senza tema di smentite che la padovana Marta Maddalon, sia per la passione verso la “materia” che per la sua specifica formazione accademica, se le è cavata benissimo.
Suscita emozioni la sua traduzione di A Welsh History di R.S. Thomas:
“Eravamo un popolo, e ancora lo siamo./Quando avremo finito di litigare per le briciole/ sotto il tavolo, o di rosicchiare gli ossi di una cultura morta,/noi sorgeremo e ci saluteremo in una nuova alba.”
Dopo numerose pubblicazioni specialistiche la Maddalon si dedica per la prima volta a un libro intimista che fin dal titolo fa leva sui sentimenti.
Il mio Galles si intende come un omaggio anche all’uomo della sua vita, il famoso glottologo gallese John B. Trumper.
Non a caso c’è nelle prime pagine la significativa e personale lirica che introduce tema e senso del libro e le cui acrostiche maiuscole indirizzano chiaramente il lettore.
Certamente l’intento della Maddalon va oltre l’affettività, volendo essere il libro anche un affossatore di luoghi comuni:
“Fino a qualche anno fa, per molti italiani il Galles non era facilmente collocabile nella carta geografica della Gran Bretagna (…) Potremmo dire che se per molti italiani esisteva un’idea del Galles, questa era legata ai romanzi di Cronin e ai minatori visti nello sceneggiato E le stelle stanno a guardare.”
Ora, per evitare il sedimentarsi definitivo – come avvenuto per il turismo d’Irlanda – dello stereotipo musica celtica e verdi vallate, la Maddalon ci conduce grazie alla letteratura verso una terra ben più complessa.
Non fosse altro che le “dolci” colline per secoli sono state traforate alla ricerca del carbone e percorse dal duro lavoro dei minatori gallesi:
“Ora è maggio tra le montagne,/ giorni per i discorsi nelle città delle valli,/ giorni di sogni e giorni di lotta,/giorni di amara denuncia.” (da L’estate della rabbia di Idris Davies – 1926).
L’autore – ci ricorda la Maddalon – fu minatore e dopo un incidente divenne, da autodidatta, insegnante.
I poeti contemporanei scelti sono, oltre a Davies, Dannie Absie e R.S. Thomas.
“R.S. Thomas, oltre a dipingere dei ritratti del paesaggio – non in senso fisico, o non solo – ma anche dei gallesi che, secondo me, restano insuperati, ha una vena intima, dolente”: (Vivere in Galles è essere consapevole/ al crepuscolo del sangue versato/ che ha avuto parte nella creazione del cielo selvaggio,/ tingendo i fiumi immacolati/ lungo tutto il loro corso.).
Diverso è il caso di Dannie Abse. Scrive la Maddalon: “Lui, poeta cittadino (ndr: è di Cardiff), ha, e ne sorride, un rapporto da estraneo con la natura se non per notarne l’inevitabile, inconscia bellezza, suo malgrado”: (Ma no! Fatto per i sobborghi ignoranti,/berrò scotch, fissando nevroticamente il prato bagnato/ attraverso i vetri, materia verde, uccelli senza nome,/ e lascerò che mia figlia, signora, segua le lezioni di scienze).
Ovviamente non poteva mancare il gigante della letteratura britannica, il gallese Dylan Thomas, che in molti scambiano per inglese.
“Quello che canta Thomas è un paese di evocazioni, difficile da tradurre, questo sì, perché le parole sono spesso suoni che cercano di dare un’idea delle sensazioni e delle emozioni che prova”: (Gabbiani, pivieri, vongole, lumache/ lì fuori, neri come corvi, uomini/ che combattono con le nuvole, che si inginocchiano davanti alle reti del sole che tramonta).
Leggendo Il mio Galles il lettore curioso penetrerà in un mondo lontano ed emozionante che per molti aspetti è anche il suo. Il nostro mondo.
O bydded i’r hen iaith barhau (Possa l’antica lingua durare per sempre).
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