Il massacro di Ayotzinapa e le vene aperte del Messico
di David Lifodi (*)
Il massacro di Ayotzinapa dello scorso 26 settembre, avvenuto nella città di Iguala (stato messicano del Guerrero), quando narcos e polizia hanno assaltato gli studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos, uccidendone sei, ferendone venti e facendone scomparire quarantatrè, tuttora desaparecidos, rappresenta le vene aperte del Messico. Quanto accaduto nel Guerrero non è un’eccezione, e nemmeno un caso estremo, ma purtroppo fa parte sempre di più della quotidianità di un paese che si sta colombianizzando.
Il giornalista Luis Hernàndez Navarro ha scritto che “di giorno i criminali lavorano in uniforme e di notte in abiti civili”, riferendosi alle squadracce congiunte di narcotrafficanti e poliziotti che hanno massacrato i normalistas della Federación de Estudiantes Campesinos Socialistas de México con il beneplacito del sindaco perredista José Luis Abarca Velázquez, del governatore dello stato Ángel Aguirre Rivero, anch’esso del Partido de la Revolución Democratica (Prd), e la complicità delle più alte cariche del paese. Quali motivi si nascondono dietro all’agguato ai normalistas di ritorno da una colletta di autofinanziamento per poter partecipare alla marcia in ricordo della strage di Tlatelolco del 2 ottobre 1968? E ancora: come mai, dopo una sparatoria durata oltre un’ora, le torture inflitte agli studenti arrestati all’interno delle camionette della polizia e successivamente divenuti desaparecidos, narcos e militari hanno attaccato di nuovo i superstiti che avevano convocato una conferenza stampa per denunciare quanto accaduto? Sono molte le chiavi interpretative dell’inferno scatenato contro inormalistas, legate, però, da almeno due denominatori comuni. Il primo consiste nella quotidianità della violazione dello stato di diritto in Messico: a Los Pinos, ormai, non governa più il presidente Enrique Peña Nieto (peraltro fedele osservante del più estremo neoliberismo), ma i cartelli della droga, che si sono infiltrati all’interno dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, negli enti locali, nei partiti e nei sindacati “gialli”. Il secondo può essere individuato nella strategia del caos fomentata apertamente dallo stato messicano per distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica e della società civile attraverso episodi come il massacro di Ayotzinapa e cogliere l’attimo per vendere al capitale straniero, una volta di più, le ricchezze naturali del paese, dal petrolio al gas passando per energia e miniere. La caccia allo studente avvenuta ad Iguala, la città del Guerrero dove i normalistas hanno subito un attacco in vero e proprio stile paramilitare, avviene in un contesto di episodi di violenza ripetuta e generalizzata contro l’intera popolazione messicana, perlomeno a partire dalla lotta al narcotraffico (o presunta tale) inaugurata dal precedente presidente del paese Felipe Calderón e proseguita a colpi di riforme strutturali da Peña Nieto attraverso la Reforma Laboral, che contribuisce alla precarizzazione del lavoro, la Reforma Energética, che autorizza il fracking, passando per la Reforma Educativa contro la quale già sono scesi in piazza docenti e studenti, tra cui gli stessi normalistas, i quali studiavano per ottenere un posto come maestri nelle comunità montane del paese, dove molti insegnanti preferiscono non andare. In questo contesto, il massacro di Ayotzinapa non è il primo atto di violenza compiuto nei confronti degli studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos da parte della polizia federale: il 12 dicembre 2011 due giovani della stessa scuola furono uccisi nel corso di uno sgombero effettuato dalla polizia per rimuovere il blocco di una delle più importanti autostrade del paese, la Autopista del Sol (che collega Città del Messico con il porto di Acapulco), occupata dagli studenti che chiedevano un incontro con quello stesso Ángel Aguirre Rivero, già governatore del Guerrero, per fargli presente gli effetti devastanti della Reforma Educativa. Inoltre, non è un caso che la Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos sia finita nell’occhio del ciclone. Sorta nel 1926 nell’ambito di un progetto educativo che includeva 29 scuole rurali fondate allo scopo di facilitare l’accesso all’istruzione per i figli dei campesinos nelle zone più impervie e isolate del paese, la Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa si trova nel municipio di Tixtla, a circa 125 chilometri da Iguala. Delle 29 scuole rurali sorte in Messico adesso ne rimangono una quindicina e, ancora oggi, sono frequentate dai figli delle famiglie più povere che le ritengono uno strumento comunque valido per la loro istruzione. A partire dal 1994, sotto la presidenza di Ernesto Zedillo, lo stato ha cercato di chiudere le escuelas rurales, in parte riuscendoci, ma la cosa più preoccupante è che la chiusura dell’ultima scuola rurale è avvenuta ad opera di due governatori dello stato di Hidalgo adesso incaricati di indagare sul massacro di Ayotzinapa: Jesús Murillo Karam, attuale direttore della Procura Generale della Repubblica, e Osorio Chong, attuale Secretario de Gobernación. Sull’alto grado di corruzione e il groviglio tra narcos, governatori, sindaci e le più alte cariche del governo non esistono dubbi. Sul sindaco di Iguala, José Luis Abarca Velázquez, pesa l’accusa di aver ordinato, nel 2013, l’esecuzione di tre esponenti perredistas (cioè del suo stesso partito) a lui ostili, di cui uno ucciso in persona proprio dal primo cittadino: nonostante la richiesta di un’indagine in tempi rapidi da parte della Camera dei Deputati, sia Jesús Murillo Karam sia il governatore Ángel Aguirre Rivero hanno sempre opposto un netto rifiuto. Altra cosa grave è il coinvolgimento del Prd, che si dichiara un partito di sinistra, nei fatti di Iguala e in episodi simili. La carriera di José Luis Abarca Velázquez in qualità prima di imprenditore e poi di sindaco è stata fulminante e culminata con il suo ingresso in politica nella cordata che appoggiava l’ex sindaco di Iguala Lázaro Mazón, membro del Movimiento de Regeneración Nacional-Morena, diretto e fondato da Andrés Manuel López Obrador. Da quando José Luis Abarca Velázquez è divenuto sindaco di Iguala, le organizzazioni sociali lo hanno contestato ripetutamente, accusandolo di aver distrutto il sistema dei servizi sociali della città, rubato denaro pubblico, cacciato i venditori ambulanti dal centro storico, fino ad aver ordinato il sequestro di sette membri dell’Unión Campesina Emiliano Zapata, oltre ad ulteriori nefandezze. La rete Todos los Derechos para Todas y Todos ha denunciato che tra il 2005 e il 2014 a Iguala si sono registrate oltre duecento sparizioni. La moglie stessa di José Luis Abarca Velázquez, María de los Ángeles Pineda Villa, è un personaggio tutt’altro che raccomandabile, sorella di tre esponenti di primo piano del cartello della droga dei Beltrán Leyva, uno dei quali è poi passato alla guida dei Guerreros Unidos, il gruppo di narcos che ha partecipato in prima persona alla mattanza di Iguala e fa parte dei cartelli che spadroneggiano nel Guerrero assieme a quelli di Los Rojos e La Familia. Quanto a José Luis Abarca Velázquez, è definito abitualmente come narcoempresario. La spoliazione delle risorse del paese, attraverso la svendita delle risorse naturali del Messico sancita dalle riforme strutturali dei vari presidenti neoliberisti transitati da Los Pinos, si somma alla compiacenza di questi ultimi verso i narcos, che agiscono tramite le loro squadracce e con metodi mafiosi per difendere i loro interessi: in questo senso forze dell’ordine e crimine organizzato spesso rappresentano la stessa faccia della medaglia. Per lo stato e i cartelli della droga l’obiettivo è lo stesso: annichilire qualsiasi forma di resistenza sociale, ma è proprio qui che, nonostante le violenze, le intimidazioni e le minacce, anche stavolta a contrastarli hanno trovato una grande reazione popolare. Il vescovo Raúl Vera, uno dei più impegnati del paese, ha fatto un appello per una Costituyente Ciudadana, in tutto il Messico si sono svolte manifestazioni di protesta contro i fatti di Ayotzinapa e il caso dei 43 normalistas desaparecidos è divenuto presto di portata nazionale. Padre Alejandro Solalinde, più volte minacciato di morte per il suo attivismo a fianco dei migranti, ha denunciato, senza alcun timore, il fatto che alcuni studenti desaparecidossono stati bruciati vivi. Il sacerdote non ha citato le sue fonti, per evitare ripercussioni nei loro confronti, ma ha fortemente contestato la scelta del procuratore generale della Repubblica, José Murillo Karam, il quale, di concerto con il presidente Peña Nieto, ha rivolto un appello alla popolazione offrendo ricompense in denaro a chi darà informazioni e notizie in merito al rapimento degli studenti. Il problema è politico, e la responsabilità è tutta del sindaco di Iguala José Luis Abarca Velázquez e del governatore del Guerrero Ángel Aguirre Rivero, autosospesosi ipocritamente dalla sua carica, non si sa fino a quando: loro sanno perfettamente qual è stato il destino deinormalistas. Se la strage di Tlatelolco del 2 ottobre 1968 servì per stroncare un’ampia mobilitazione nel paese allo scopo di far svolgere in giochi olimpici senza alcuna contestazione, stavolta il Messico è sul punto di incendiarsi. Il paese è stanco, stufo di una serie di massacri che si perpetuano almeno a partire dagli anni ’60. La mattanza avvenuta a fine settembre a Iguala non è la prima nella città del Guerrero. Nel 1962 una manifestazione dell’opposizione convocata dal maestro Genaro Vázquez si concluse con un saldo di otto morti. Nel 1967, la strage dei maestri ad Atoyac, compiuta dalla polizia, terminò con cinque insegnanti uccisi, ma fu da quell’episodio che il maestro Lucio Cabañas, uscito proprio dalla scuola rurale di Ayotzinapa, gettò le basi per la guerriglia del Partido de los Pobres, raccontata splendidamente da Carlos Montemayor nel suo romanzo La guerra in paradiso. E sempre lo stato del Guerrero detiene il poco ambito primato di essere il primo luogo dell’America Latina dove è stata inaugurata la pratica dei voli della morte, poi utilizzata in maniera massiccia dalla dittatura militare argentina. In seguito, fu la volta del massacro di Aguas Blancas, nel 1995, quando l’omicidio di 17 campesinos fu il detonatore che determinò l’insurrezione dell’Ejército Popular Revolucionario (Epr). Dopo il massacro dei normalistas, Iguala è stata definita la capitale del “fascismo alla messicana”, dove l’impero dei narcos, i partiti politici istituzionali (Prd, Partido Revolucionario Institucional e Partido Acción Nacional) e l’oligarchia finanziaria rappresentano un’unica massa informe, ma pericolosa, violenta e vendicativa. In questo contesto, e negli ultimi, durissimi, anni, in cui il Messico è prevalentemente scivolato verso l’abisso, sono stati gli studenti ad animare la resistenza al neoliberismo. Enrique Peña Nieto aveva iniziato la sua campagna elettorale per arrivare a Los Pinos nel segno della contestazione del movimento studentesco #YoSoy132, i giovani dell’università privata Iberoamericana, fucina della futura classe dirigente del paese, in teoria un luogo amico per il presidente. Gli studenti imputavano a Peña Nieto la responsabilità della violenta repressione scatenata contro la gente di Atenco, avvenuta nel 2006, per mettere in discussione la costruzione del nuovo aeroporto di Città del Messico. Allora Enrique Peña Nieto rivestiva la carica di governatore. Poi le contestazioni proseguirono in occasione dell’insediamento del presidente, avvenuto il 1 dicembre 2012 nel segno di una nuova e rabbiosa protesta studentesca contro la sua elezione, appoggiata dalle principali televisioni del paese: anche il quel caso, nei confronti delle organizzazioni studentesche fu scatenata la violenza della polizia, nota per non andare troppo per il sottile. La tragedia di Ayotzinapa è coincisa con lo sciopero dell’Instituto Politécnico Nacional contro la riforma dell’istruzione e si è sommata alle numerose proteste studentesche che chiedevano giustizia per i desaparecidos di Iguala, oltre che contro la Reforma Educativa.
La drammatica repressione di Iguala, per quanto possa sembrare paradossale, ha risvegliato quella lotta di classe mai sopita in Messico: stavolta è stato un intero paese a capire che il massacro dei normalistas non riguardava solo gli studenti, ma tutte le classi sociali, ed è stato imposto e avallato da un coacervo impersonificato dal potere economico, politico e mediatico. Il tempo dirà se ci saranno le condizioni per un’insurrezione a livello nazionale in un paese stremato dalle riforme strutturali e da una classe politica corrotta al servizio esclusivo delle mafie e del grande capitale.
(*) tratto da www.peacelink.it del 29 ottobre 2014