Il meglio (forse) del blog – 2
… andando a ritroso nel tempo
Woody Guthrie è sempre lì, con la sua chitarra «ammazza fascisti»: chiacchierandone con Franco Minganti (*)
“Tutto ciò che abbiamo non è che la somma di tutto ciò di cui siamo debitori“
Cantore della rivolta e della dignità, cittadino del mondo eppure americano come pochi, Woody Guthrie nasce nel 1912 in Oklahoma. La sua è una famiglia benestante che in pochi anni si impoverisce: a 25 anni lascia moglie e figli per andare da uno zio in Texas. Poi segue le piste della polvere cercando fortuna in California. La sua autobiografia («Bound for Glory» del ‘43) inizia così: «Vedevo uomini di tutte le razze sballottati nel vagone merci. Stavamo in piedi o sdraiati, buttati qui e là». In fuga dalla miseria, in cammino verso gloria e libertà. Lui gira in autostop oppure “rubando strada” sui treni, come raccontano tante canzoni o il film «L’imperatore del nord». In quasi tutte le foto sulla chitarra (una delle centinaia che lui usa) si legge la scritta «This machine kills fascists», questa macchina ammazza fascisti. Dagli anni ’30 alla fine degli anni ’50 è protagonista della storia sociale, artistica e politica statunitense. In prima fila nella mobilitazione per Sacco e Vanzetti. Racconta il processo e la condanna a morte in alcune ballate: «Quando abbassarono l’interruttore in quella notte d’estate d’agosto / la gente per strada piangeva, marciava e cantava / in tutte le lingue del mondo».
Scrive, marcia, soprattutto canta. «Ci sono due generi di canzoni: quelle che buttano giù e quelle che tirano su […] che cercano di rendere le cose migliori per tutti, che protestano contro le cose che non funzionano e Dio sa quante sono». Il ribelle ottiene anche un successo commerciale con i Weavers (dove si fa notare Pete Seeger) ed è amato in mezzo mondo. Il lungo ’68 mondiale lo riscopre. Da «Bound for Glory», il regista Hal Ashby trae nel 1976 il film (lento e pieno di melassa però) «Questa terra è la mia terra».
Ancora oggi Guthrie è al centro dell’attenzione. Negli ultimi anni sono usciti in Usa libri importanti su di lui: «Ramblin’ Man. The Life and Times of W. G.» di Ed Cray e «Prophet Singer. The Voice and Vision of W. G.» di Mark Allan Jackson e un terzo di Guy Logsdon è in arrivo. Ma soprattutto molti musicisti hanno ripreso qualcuno dei tremila testi che Guthrie scrisse: da Bruce Springsteen a Billy Bragg al gruppo Klezmatics. Negli Usa un libro-cd («The Live Wire») vince il Grammy 2008 come «migliore registrazione storica»: è un lungo dialogo del 1949, in buona misura improvvisato, con la moglie Marjorie durante un concerto in un community center di Newark. L’anno scorso Derive-Approdi ristampa «Canzone politica e cultura popolare in America, il mito di W. G.» di Sandro Portelli. Feltrinelli pubblica ora il bellissimo «Le canzoni di Woody Guthrie» curato da Maurizio Battelli. E adesso il convegno «Woody Guthrie e la dignità dell’uomo» dal 21 al 23 maggio in vari luoghi di Bologna (il programma completo è su www.iger.org) rilancia ulteriormente l’attenzione su di lui.
A volere fortemente questo convegno è Franco Minganti che insegna letteratura americana all’università di Bologna. E’ lui che ci guida, come suggerisce il sottotitolo, fra «Storia, letteratura, musica, immagini».
Un convegno molto ricco a 41 anni dalla morte di Guthrie. Come nasce?
«Il convegno ha una genesi lontana e prende una forma più definita quando Maurizio Bettelli incontra Nora, la figlia di Woody, e scopre le mille attività dei Wga, i Woody Guthrie Archives di New York. Bettelli è musicista, americanista, insegna alla scuola Holden di Baricco e ha riproposto (anche con me, Sandro Portelli, Franco Meli e altri) vari spettacoli su Guthrie e la musica popolare degli Usa dai quali emergono molte e assai diverse facce di quella identità profonda dell’America che resta mitizzata più che conosciuta».
Da noi Guthrie è noto più come ribelle o “padre spirituale” di Bob Dylan che come artista poliedrico. E negli Stati Uniti di oggi?
«Oggi gli Usa rifanno i conti con un periodo cruciale della loro storia: proibizionismo, depressione, la grande crisi degli anni ’30, Roosevelt e il New Deal, guerra al nazifascismo e poi paranoia anticomunista. In tutte queste vicende lui è protagonista. Negli Usa, grazie al lavoro della figlia Nora, si sono ritrovati molti materiali preziosi mentre i libri di Cray (specialista in biografie) e Jackson hanno avuto un successo imprevisto. Guthrie lasciò centinaia di testi senza musicarli e Nora ne ha passati alcuni a musicisti (come Bragg o il tedesco Wenzel) e gruppi (Wilco, Klezmatics) che li incidono; con Wonder Wheel, proprio sui suoi testi, due anni fa i Klezmatics vincono il Grammy per il miglior disco di world music. Al convegno ci sono anche gli Stormy Six, fra i pochissimi, a mia memoria, che in Italia portassero sul palco le sue musiche. Mentre negli Usa Springsteen ha ripreso la vicenda di Tom Joad. Al convegno c’è Dave Marsh, curatore degli scritti di Woody nonchè biografo e consigliere dello Springsteen della prima ora. Parleremo anche del Guthrie meno noto sia come artista che sul piano umano».
Potremmo dire che Guthrie fu il massimo esponente di un modo molto americano di essere “antiamericani”?
«Sicuramente. Disegni, scritti e canzoni si inseriscono in un filone che potremmo chiamare la radicalità della libertà: la responsabilità di denunciare quel che contraddice i primi emendamenti della Costituzione, considerati da molti la faccia più importante, autentica della Rivoluzione americana. C’è il Guthrie che collabora con People’s World, rivista collegata al Partito comunista (la sua rubrica si intitolava “Woody dice”) e che suona ovunque per solidarietà in cambio d’un piatto di fagioli o poco più. Mark Allan Jackson, uno dei relatori, ci parlerà del “vangelo sociale” nelle sue canzoni mentre Sandro Portelli rintraccerà il Guthrie politico persino nelle canzoni dedicate all’infanzia, riscoperte appieno da poco. Ma sul piano storico sarebbe riduttivo vederlo solo come esponente dell’Altra America. C’è l’artista e il comunicatore sempre più raffinato: ancora giovane,nel 1937, inizia a Los Angeles un’esperienza radiofonica mentre gli viene offerta la possibilità di scrivere. Man mano completa il quadro: musica, radio, disegni, articoli. Da qui il sotto-titolo del convegno».
Le altre facce di Guthrie?
«Frank London dei Klezmatics a esempio parlerà del suo rapporto con la cultura ebraica e yiddish. Era un curioso, in un certo senso onnivoro o globale, diremmo oggi. Una sua frase famosa ci ricorda: “Tutto ciò che abbiamo non è che la somma di tutto ciò di cui siamo debitori” e può valere anche in questo contesto. Guthrie riconosceva i suoi debiti: un punto di riferimento fu certamente Will Rogers, caustico umorista e affabulatore populista, un figlio dell’Oklahoma che fu anche pioniere dell’aviazione e star della radio, dunque una sorta di icona popolare. Il populismo di Guthrie è più raffinato, con maggiore chiarezza politica, ma in comune c’era il desiderio di un linguaggio comprensibile a tutti. Le esperienze radiofoniche influenzano la sua oralità: “devi parlare come chi ti ascolta”. Ma anche i suoi disegni sono semplici, vernacolari».
E invece il Guthrie più privato?
«Ci sono le canzoni per i bambini che scrisse dopo la seconda guerra: era andato volontario in marina e al ritorno cercò un po’ di serenità in famiglia. Si diverte a scrivere: “Mi spalmerò di colla e con i francobolli in testa mi spedirò a te” ma ai bambini canta anche “Com’è che il padrone si prende tanti soldi? Come mai, oh come mai? Non lo so neanche io. Ciao, ciao, ciao, ciao”. C’è il Guthrie che conosce John Steinbeck sul set di un documentario e resta folgorato dalla lettura di “Furore” che cattura perfettamente i migranti delle tempeste di polvere, l’anima della sua gente e delle sue canzoni. Quando John Ford ne gira il film, Woody si ritrova sul set e forse dà anche qualche consiglio musicale. A Los Angeles invece frequenta i “radicali”, poi a New York riscopre la cultura nera (in testa Leadbelly) e quella yiddish, dalla quale quasi viene adottato. Per lui si adopera spesso il termine “filosofo casereccio”, noi diremmo saggezza popolare. All’inizio c’è una fascinazione reciproca fra lui e il mondo degli intellettuali e degli artisti, ma poi ne critica certi aspetti “industriali” rifiutando censura e auto-censura che gli vengono chieste; non si vuole fare incasellare, ripulire. Infine c’è il Guthrie malato degli ultimi anni».
Come finisce in ospedale psichiatrico?
«Inizia a stare male, si fa iracondo e dà segni di squilibrio, spesso se ne va di casa. Nel ’54 è arrestato per vagabondaggio, gli viene diagnosticata la Corea di Huntington, una malattia ereditaria. E’ ricoverato. Parenti, amici e musicisti della nuova scena folk vanno a trovarlo in una sorta di pellegrinaggio. Alterna momenti di lucidità e di buio ma non si riprenderà. La fondazione diretta dalla figlia Nora è impegnata anche nella lotta a questa terribile malattia della quale si sa ormai tutto ma per la quale non esiste cura. Per vedere alcune delle tante facce di Guthrie consiglio il sito www.woodyguthrie.org, in inglese, lì si trova quasi tutto».
(*) Un po’ perché 5600 articoli sono tanti e (nonostante i “santi” tag) si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà e occorre cercare post per non star fermi, quando altre/i invece continuano – come Mauro Antonio Miglieruolo che non mollerà il suo mercoledì neppure con l’afa che stritola – a regalare i loro contributi a codesto blog. Per queste due ragioni ho deciso, d’intesa con la piccola redazione, di recuperare un certo numero di vecchi post… con l’unico criterio di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più “attuali”.
Il “meglio” è sempre soggettivo: in questo caso è inteso a ritrovare soprattutto semi, ponti, pensieri perduti… più che a cercare la bella scrittura, l’inchiesta ben fatta, la riflessione intelligente.
Ci sarà fantascienza (il Marte-dì canonico), ci saranno le «scor-date», ci sarà di tutto un po’: con le firme più varie, stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia che – noi speriamo – ci caratterizza in questo blog “collettivo”.