Il meglio (forse) del blog – 23
… andando a ritroso nel tempo (*)
«VOTO, DIONIGI, CAFFE’ ALLA PISCIOTTA, AUTISMO, ROSSANDA»: dite voi se questo vecchio post è solo un esercizio di archeologia… e magari confrontatelo domani con “il meglio” 24 che torna sul v(u)oto. Come di consueto vedete l’effetto che fa sostituire Silvio Primo con Matteo Primo; cambiano i nomi ma i programmi (della P2) per distruggere la Costituzione restano all’incirca gli stessi.
Che strano: ben 5 persone fra quelle che leggono questo blog mi domandano delle elezioni. In quattro a impicciarsi di chi voto, una quinta a interrogare-esclamare (il classico «?!») così: «pure questa volta parteciperai allo stanco, inutile rito dell’urna?!».
Mumble-mumble. Rispondo? Ma sì, ho un sabato pomeriggio rilassato (quasi) e poi 5 persone sono… una folla.
Vado a votare. Anche questa volta. Senza entusiasmo, al solito. Scegliendo chi? Guardo nelle liste locali le persone decenti e se non ne conosco provo a fiutare le meno peggiori. Non ne faccio questione di lista. Per due ragioni: una di fondo e una contingente. Quella di fondo è che a mio avviso da tempo non esiste una forza organizzata che abbia progetti, idee e prassi di sinistra con le quali dunque possa confrontarsi anche un vecchio «cane sciolto» come me che non crede ai partiti. Quella contingente è che – in deroga a questa mia convinzione (il diritto a contraddirsi, no?) – qualche anno fa mi ero detto: «adesso che la parola comunista è diventata un insulto anche a sinistra, tanto per essere il solito bastian contrario mi interessa il tentativo, sia pure con mille ambiguità, di una “rifondazione” e forse potrei dare una manina. Oltretutto quel Fausto lì (al contrario dell’Armando) mi pare una persona con una bella storia, non solo intelligente ma anche affidabile». Presi persino la tessera qui a Imola ed era la seconda volta in una vita lunghetta: la prima, per la cronaca, avevo 17 anni e mi iscrissi, per pochi mesi, alla Fgci, l’allora organizzazione giovanile del Pci ma stava per arrivare il ’67-’68 che per fortuna sconquassò tutto. E avendo dunque commesso questo errore – prendere la tessera – mi sento ancora più disgustato per quello che Rifondazione ha fatto nell’ultimo governo Prodi, arrivando a votare missioni di guerra e leggi contro chi lavora… tanto per dirne due.
«Stanco, inutile rito» scrive la mia vecchia amica Adriana. La rispetto perché è una di quelle persone che, da sempre, si impegna 365 giorni l’anno (d’accordo: facciamo 300) per cambiare «lo stato delle cose» e dunque si può anche permettere di dichiarare: «non voto». Assai meno, quasi nulla, rispetto invece chi invita all’astensione e non si impegna neppure 5 giorni a biennio in un lavoro politico e/o sociale e/o culturale. Certo alcune persone “astensioniste” urlano al bar, talvolta si dicono pronte a «tornare in montagna». Mi viene in mente una vecchia canzone che scrisse, forse proprio nel ’68 o poco prima, il mio amico Marco Ligini: «avresti sì voluto stasera essere con noi / in faccia ai poliziotti e alla violenza / ma vacca che disdetta tv primo canale / c’era un programma sulla Resistenza». Parolai, rivoluzionari da barzelletta.
Vado a votare dunque. Non «tappandomi il naso» (come invitava, ma nel suo caso si trattava della Dc, Indro Montanelli) ma prendendo un Guttalax per il disgusto. Anzi, mi sa che domattina mi preparerò un bel «caffè alla Pisciotta». Non sapete cos’è? Vuol dire che – mannaggia – non conoscete la storia italiana e/o che non avete mai visto il film «Salvatore Giuliano» di Francesco Rosi e/o che non frequentate i Castelli romani. Una breve digressione dunque storico-alimentare.
Gaspare Pisciotta era il luogotenente del bandito Giuliano che fu l’ideatore-esecutore della strage di Portella delle Ginestre (il 1° maggio 1947) ma soprattutto anello di congiunzione tra mafia, servizi segreti statunitensi e la Dc. Dopo la morte di Giuliano, Pisciotta si disse pronto a «fare rivelazioni»: perché non parlasse gli servirono, nel carcere di Viterbo, un caffè avvelenato. Ideuzza che molti anni dopo venne replicata per Michele Sindona, un altro anello di congiunzione (in questo caso tra mafia, Cia e Vaticano). Nel linguaggio popolare per qualche tempo circolò la battuta «il caffè lo vuoi caldo, freddo o alla Pisciotta?» e a Frascati un bar fece la sua fortuna annunciando su vistosi cartelloni «se volete il caffè alla Pisciotta lo abbiamo, però si paga prima». In quel caso però il soprannome indicava un caffè con 8-10 gocce di limone: l’ideale per digerire tutto o… per vomitare, se proprio occorre.
Ecco, io domattina vado a votare – e lo stesso spero di voi – ma prima prendo un bel caffè al limone, alla Pisciotta. Perché lo stanco rito di cui parla Adriana è diventato molto peggio. Una pur minima alternativa non c’è. Per non farla lunga cito qualche passaggio dell’editoriale di Rossana Rossanda (su «il manifesto» del 23 marzo).
A proposito del successo delle sinistre in Francia, Rossanda si chiede: «si può trarne qualche conseguenza per l’Italia?». Dopo aver detto delle somiglianze fra Sarkozy e il signor P2 tessera 1816 (è il numero di Silvio B.), la Rossanda scrive: «La differenza è che in Francia la sinistra non ha cessato di esistere mentre da noi si è suicidata o mortalmente divisa. Nelle regioni non consegnate in partenza al Pdl o a Bossi, non vedo candidati che si oppongano al governo: conosco soltanto Nicky Vendola e Mercedes Bresso. Mi appresto a votare Emma Bonino perché è una persona limpida che rispetta le regole ma è una liberista di ferro. Dove sta la sinistra? A resistere al Cavaliere c’è una specie di partito degli onesti, il popolo viola, Santoro e Di Pietro. Essi puntano a una democrazia socialmente piatta che vada oltre la vergogna in cui siamo. E’ una resa intellettuale illimitata». Saggiamente conclude Rossanda: «In Francia un’opposizione così (come la nostra) avrebbe perso». Il titolo dell’articolo è: «Almeno riformista», sottinteso… fosse questo almeno.
E’ così. Ma aggiungo qualche personale chiarimento. Io voterei per il Pd solo se mi puntassero un fucile addosso: ignoro se il signor P2 1816 qualche sera dica le preghiere ma se prega di certo chiede a dio (o chi per lui): «assicura lunga vita a Fassino, D’Alema, Veltroni e Bersani». Sono i suoi migliori alleati. Oggettivamente. In questi giorni di scampagnata elettorale ho sentito Bersani dire che «Berlusconi è un pasticcione». Non un golpista, un mafioso, un fascista, un pericolo… «un pasticcione».
Il buon Eduardo diceva «ha da passà la nottata». Speriamo. Fuori da qui, in Francia come in Kenia (consiglio ogni tanto di leggere «Internazionale» che traduce i giornali stranieri) dicono di noi – nel senso della maggioranza degli italiani – cose tremende. La parola più gentile è «rassegnati» ma si usa spesso «impauriti» e io intendo anche «vigliacchi». Il mio amico Hamid parla di «cadaveri viventi» e mi spiega: «persino fra la gente migliore avverto molto raramente energie positive». Io preferisco usare una definizione medico-psichiatrica, autismo; credo che moltissime persone in Italia fatichino a vivere, soffrano, si perdano perché hanno rinunciato (o disimparato) del tutto a comunicare, forse persino a pensare. La nottata passerà certo ma potrebbe essere molto-molto lunga.
Tanti anni fa ebbe successo (grazie a un libro di Umberto Eco) la definizione «apocalittici o integrati». Rispetto al mondo che mutava e si complicava, i sedicenti intellettuali si dilettavano in visioni apocalittiche o, con arditi voli, finivano per atterrare sull’idea che questo fosse il migliore dei mondi possibili, dunque non restava che integrarsi. L’idea che si potesse essere invece seriamente riformisti o convinti rivoluzionari era estranea a tanti che infatti rimasero molto sorpresi dal ’68 e dalla sua lunga-lunga onda. Oggi di nuovo Silvio Primo (il signor P2 1816) o Bersani sarebbero il mondo meno brutto, l’alternativa è solo la catastrofe. Io invece credo che la scelta fra Bersani e Silvio sia già catastrofica.
Ma allora perché voto? Non solo per le poche persone decenti (e con questo termine intendo anche con qualche idea e magari buone pratiche) che posso rintracciare nelle liste – almeno nelle regionali posso scegliere, cosa che ora non si può più fare nelle politiche – ma anche perché in questa rassegnazione o autismo dilagante un voto massiccio contro il signor P2 1816 potrebbe dar forza alle poche e ai pochi che si impegnano e magari risvegliare persino qualcuno dei «cadaveri ambulanti». E si sa che l’entusiasmo, «l’energia positiva» per dirla con Hamid, è una scintilla.
Se pure l’asse BB uscisse a pezzi dalle urne, comunque questo voto non potrebbe fare il miracolo di cambiare la natura del Pd; di quel partito bisogna sbarazzarsi se qualcosa di serio si vuole combinare. Però siccome molte e molti pensano che il Pd sia appunto il miglior alleato «oggettivo» del signor P2 tessera 1816, allora c’è chi ne conclude che sia indifferente chi votare o appunto tanto valga astenersi. Così mi torna in mente spesso (forse anche perché presi un brutto voto) una vecchia versione di latino. Si raccontava di un viaggiatore che arrivato a Siracusa sentì tutte le persone inveire, ovviamente sottovoce, contro il tiranno Dionigi. Nessuno spendeva una parola per difenderlo. Continuando a camminare il viaggiatore però ascoltò per caso una vecchietta invocare gli dèi affinché dessero «lunga vita a Dionigi». Stupito il forestiero chiese alla vecchia se Dionigi fosse una persona retta. «No, è un tiranno tremendo, il peggiore che Siracusa abbia avuto» rispose convinta l’anziana. Stupito, il viaggiatore le domandò perché allora lei gli augurasse una lunga vita. «Perché il tiranno prima di lui era terribile e si diceva che nessuno poteva essere peggio, ma quando è morto abbiamo visto che sì, poteva andare peggio» gli rispose la vecchiettina: «così io spero che Dionigi campi a lungo». Se questa versione di latino mi è rimasta in mente (brutto voto a parte) è perché va esattamente all’opposto della mia visione del mondo: avere paura che il mondo possa solo peggiorare significa condannarsi all’immobilità, all’impotenza, alla disperazione, alla viltà. Il nostro futuro non è scritto, dipende sempre – almeno in parte – da quel che facciamo.
Per quel poco dunque che un voto può cambiare, se indebolirà il tiranno sarà un bene e lo dico anche se ho fiducia zero in Bersani e soci. Perché potrà fra l’altro ricordarci che non bisogna delegare a nessuno il nostro riscatto e la nostra dignità ma occorre riprendere il futuro nelle mani. Cioè in primo luogo pensare; sperare, parlare, tornare nelle piazze, scioperare, boicottare, sabotare, lottare e così riguadagnarci la nostra libertà. Che non sta nelle urne ma nelle nostre teste, in quello che decidiamo di fare.
(*) Un po’ perché 5600 articoli sono tanti e (nonostante i “santi” tag) si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà e occorre cercare post per non star fermi, quando altre/i invece continuano a regalare i loro contributi a codesto blog. Per queste due ragioni ho deciso – d’intesa con la piccola redazione – di recuperare un certo numero di vecchi post… con l’unico criterio di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più “attuali”.
Il “meglio” è sempre soggettivo: in questo caso è inteso a ritrovare soprattutto semi, ponti, pensieri perduti… meglio se accompagnati – talvolta capita – dalla bella scrittura, l’inchiesta ben fatta, la riflessione intelligente.
Ci sarà fantascienza (il Marte-dì canonico), ci saranno le «scor-date», ci sarà di tutto un po’: con le firme più varie, stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia che – noi speriamo – ci caratterizza in questo blog “collettivo”. (db)