IL NESPOLO
(di Pabuda)
stamattina un vecchio,
infilando il braccio
tra le inferriate del cancello
che separa ogni giorno
le nostre vite
e tenendolo ben teso
dalla spalla al dito indice
m’ha mostrato, in fondo
al vicolo cieco,
oltre al negozietto di timbri e targhe,
al carrozziere verniciatore con forno
e al solarium
per amanti dell’abbronzatura perenne,
spuntare le fronde d’un albero di nespolo:
perché superano d’un metro e mezzo
il tetto di bei cocci rossi
che ripara i tre esercizi commerciali
o d’artigiano lì rifugiati
(ben lontani dagli sguardi vogliosi
di qualsiasi eventuale clientela).
a completare lo scenario
– impossibile non vederlo quello –
incombe un alto palazzo
d’edilizia popolare ottocentesca
che di molto sovrasta il nespolo.
io l’albero non l’avevo mai visto…
però, adesso, a guardar bene,
e allungandomi un po’
sulla punta dei piedi
o montando s’un cassone,
scorgo pure
una piccola ma fitta
costellazione
di frutti
del tipico colore arancione.
nespole!
mature ma circondate
da un assedio
di proprietà private
cresciute intorno
con relativo
divieto d’accesso: tassativo.
caspita